25 giugno 2014
Il riferimento per questo spunto corre al bisogno di ristabilire una specifica rilevanza sociale al ruolo dell’imprenditore, oggi schiacciato da una presa di posizione istituzionale molto sindacalizzata, a favore delle maestranze. Va anche detto che un confronto facciale, tra operai e dipendenti contro imprenditori, non è affatto la corretta chiave di lettura: l’uno sono la ricchezza dell’altro. Come già è stato scritto in questa rubrica, senza imprenditori, in Italia, saremmo tutti ancora dei contadini inseriti in un feudo. Se la contrapposizione tra le due facce della stessa medaglia è sciocca, è palese come in questo momento storico della democrazia occidentale, la categoria imprenditoriale sia poco considerata in termini di rilevanza sociale o comunque sotto pressione fiscale, contributiva e sul piano della sicurezza del lavoro. Dove e come trovare il giusto equilibrio?
Philip Kotler, nel testo Marketing Management, in 864 pagine sostanzialmente esprime questi concetti:
a) se si guarda si capisce;
b) se si capisce si compra;
c) si compra se è stato spiegato;
d) l’impresa è stata capace d’illustrare le sue scelte di prodotto?
Capisco quanto possa apparire brutale questa sintesi per un testo che richiede anni di studio e comprensione, ma il potere della sintesi è alla base della civiltà con tutti i suoi difetti.
Da queste elementari regole di marketing, emerge che per comprare serve apprezzare, a patto che qualcuno sappia spiegare. Così tradotto il concetto, pone a nudo le numerose difficoltà per valorizzare la categoria degli imprenditori nella comunità nazionale. E’ facile assistere, come i figli dei proprietari d’azienda, impongano le loro paure e debolezze all’impresa, lasciando i genitori incapaci di reagire. Non è difficile assistere a criteri di selezione per posti di responsabilità basati solo sull’ordine e grado di parentela, totalmente sganciati dall’effettiva capacità. Addirittura i capi figli dei Capi, raramente provengono da severe esperienze condotte all’estero per allargare quelle visuali con le quali dovrebbero internazionalizzare le imprese, quando non si sono mai spostate oltre la cucina e la loro cameretta. Quando le vedute dei giovani imprenditori sono limitate allo schermo di un computer, controllando la posta, mentre fanno selezione del personale, a quel punto è meglio alzarsi, salutare e andarsene prima di restare coinvolti nel loro fallimento. La memoria corre a quella figlia d’imprenditore, in provincia di Biella, che spese 43mila euro in riparazioni sulla propria Y10 Lancia, utilizzata nel ruolo di direttore commerciale. Infatti questa figura, quella di marketing, il direttore amministrativo e del personale, sono le tipiche occupazioni riservate ai parenti.
Quelli descritti sono solo casi, ma indicano come troppo spesso, in particolare l’azienda familiare, considera l’impresa come il retro bottega di casa propria. Finchè la mentalità padronale sarà così diffusa, in presenza d’imprese da 12 e anche 18 milioni di euro di fatturato, mascherate in Sas o società di persone, è difficile credere ai nuovi capitani d’industria. Il motivo di così tanti trucchi risiede nel celare i propri margini di reddito o per arrendersi all’incapacità di trovare un accordo interno tra proprietari, bloccati nel mito dell’unanimità. Le nuove generazioni d’imprenditori non sono riuscite a essere migliori dei padri, veri avventurieri, negli anni Cinquanta, ai quali tanto deve l’Italia. Dove sono celebrati questi leader d’industria nelle piazze italiane?
Tutti abbiamo più di un blocco di difetti e questo è naturale, chi però è “stato baciato da Dio”, con il carisma dell’imprenditorialità, ha un onere in più: farsi amare diffondendo ricchezza in una società tra sordi e distratti.
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