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«Business senza confini»

Una terapia d'urto per il sistema industriale italiano

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In questi giorni mi è capitato di riprendere in mano un recentissimo rapporto redatto dall’ISTAT con riferimento ai processi di internazionalizzazione del sistema industriale italiano. I dati che se ne ricavano sono davvero impressionanti. Il 57,8% delle imprese dell’industria e dei servizi con almeno 3 addetti svolge la propria attività esclusivamente su un mercato locale; circa una su cinque amplia il suo raggio di azione al mercato nazionale e una quota di poco superiore si affaccia anche sui mercati esteri. Tale risultato medio sintetizza comportamenti diversi in termini sia di dimensione aziendale, sia di attività economica. Solo poco più del 20% del totale delle imprese italiane ha uno sbocco sui mercati dell’export e il 60% vive addirittura di un mercato locale, questa è la dura realtà che va affrontata. Per l’80% delle piccole e medie imprese ciò che conta è il mercato domestico. Come conciliare queste analisi con il fatto che, in termini medi, il nostro Paese si colloca immediatamente dietro la Germania per livello di competitività del commercio internazionale? Molto semplice: abbiamo un sistema industriale che è letteralmente spaccato in due. Vi è una minoranza di imprese, che macina risultati importantissimi in termini di fatturato e profitti e compensa le enormi difficoltà della stragrande maggioranza delle imprese, che guarda con difficoltà al di fuori dei confini regionali. Molto spesso il problema è di consapevolezza: queste imprese, a torto (e non di rado con atteggiamento provinciale) non si sentono adeguate per il salto fuori dai confini domestici e/o non sono consapevoli delle opportunità che sussistono su scala globale. Abbiamo indubbiamente a che fare con una situazione decisamente complessa, che molto probabilmente fa perdere di vista ai policy maker – troppo spesso impegnati a commentare le straordinarie performance complessive del sistema Italia all’estero, incuranti del fatto che il dato (di export) complessivo è davvero poco significativo – le reali difficoltà in cui versano le nostre imprese dello Stivale. Che cosa fare? Serve fornire uno scossone, occorre aiutare imprenditori e manager di imprese (progettate per un mondo che non c’è più) a cambiare: non bastano bandi e voucher volti a supportare percorsi di apertura internazionale delle singole aziende. Serve un elettroshock che induca una vera e propria sferzata di consapevolezza del ruolo che i mercati esteri possono giocare per la ripresa. E a questo riguardo l’occasione di Expo ha tutte le caratteristiche per prestarsi bene allo scopo: sta maturando un’enorme attenzione intorno al mega evento, tutte le imprese guardano a Expo come occasione di visibilità commerciale. Allora: oltre ai voucher volti a favorire un primo (e spesso timido) accesso ai mercati esteri target perché i portatori di interesse delle imprese e dei territori non si fanno carico di sfruttare l’occasione in cui per 6 mesi l’Italia e Milano saranno “centro del mondo” per organizzare sessioni di vero e proprio business matching tra le imprese del territorio e player stranieri interessanti, che allo stesso modo (e simmetricamente) guardano ad Expo come opportunità per costruire relazioni e/o maturare nuovi rapporti commerciali. Serve muoversi subito; facendo in modo che la presenza a Padiglione Italia sia solo una prima tappa di un percorso molto più ampio di accreditamento e valorizzazione delle eccellenze dei singoli territori. Ma è fondamentale evitare qualsiasi forma di improvvisazione: è fondamentale scegliere accuratamente i paesi e player stranieri a cui rivolgersi in virtù delle specificità/eccellenze del singolo territorio e del relativo sistema di vincoli. Muoviamoci dunque, con determinazione e coraggio, ma anche con la consapevolezza che se il mondo associativo e delle istituzioni si muoveranno bene, Expo potrà rappresenta uno stimolo/pungolo molto importante per favorire un processo di cambiamento ormai indispensabile (quantomeno per coloro, che vorranno sopravvivere).

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Le rubriche precedenti

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«Business senza confini»
«Internazionalizzazione: da dove si inizia»

 

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«Business senza confini»
«Tigri italiane continuate a ruggire»

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«Business senza confini»
«Non chiudiamo le porte alle opportunità della rete»

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«Business senza confini»
«Il Made in Italy è qualità. Rendiamolo anche sinonimo di business»


«L'angolo di Carlini»

«L’imprenditore ostaggio»

«Due parole con il professore»

«Quale vocazione per il nostro sviluppo?»

di Carlo Mapelli

«Oikos Nomos»

«Consumi, investimenti e export. Renzi punta sui primi. I pro e i contro»

di Gianfranco Tosini

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«Exponiamoci»

La rubrica a cura di Giancarlo Turati, coordinatore gruppo di lavoro di Associazione Industriale Bresciana per EXPO 2015

di Fiorenza Bonetti
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