21 maggio 2014
Il titolo è tratto da un’affermazione di un imprenditore di un’importante azienda italiana di manifattura che si lamenta dell'assenteismo e giorni di malattia delle sue maestranze (comunque in calo rispetto al passato) e di un generalizzato lassismo. E’ raro che nella stessa domanda sia contenuta la risposta, ma accade anche questo. Infatti com’è possibile pretendere che gli operai siano contenti e lavorino con partecipazione in una logica di blocco quarantennale della loro attività? Dialogando con l’imprenditore, dopo la sua affermazione iniziale, si propone d’istituire un itinerario di crescita per cui “l’operaio modello” dopo 20 anni d’attività, ad esempio, dovrebbe avere capacità di carpenteria, falegnameria, meccanica, saldatura e di montaggio. Quindi si chiede al capo dell’azienda: è saggio ipotizzare una carriera dell’operaio in stabilimento per prepararlo alla selezione futura per capo reparto entro i prossimi 20 anni maturando una professionalità da un reparto all’altro?
La risposta è: "andremmo a confonderli e disorientarli. Lei non capisce quanto sia importante per gli operai la conservazione del loro posto, nel quale sono invecchiati per anni. A volte avremmo bisogno di spostare di reparto qualcuno, ma è sempre un pianto greco!".
A questo punto il concetto di "spostare le persone" per fronteggiare alcune problematiche di produzione, travisa l’idea di carriera e crescita professionale.
In realtà, per combattere la noia e stanchezza da attività monotone, “spostare” assume tutta una valenza diversa se concepita come processo a tappe in un itinerario di crescita, spiegato nel primo giorno d’assunzione. Ovviamente l’opportunità di crescere sarà offerta a tutti i neo assunti, ma non verrà colta dalla massa.
La carriera di operaio, se accettata, dovrebbe prevedere il cambio di reparto ogni 4-5 anni. In questo senso non è una punizione, ma un’opportunità per crescere, puntando a diventare vice capo reparto e quindi capo di uno degli 11 reparti di produzione dell’impresa dove questo ragionamento è stato sviluppato.
In questo modo il Capo Reparto di carpenteria, ad esempio, potrà interloquire con i suoi colleghi degli altri reparti, grazie a una specifica esperienza maturata in quelle stesse fasi di lavorazione. Almeno 5 anni di saldatura, 6 di carpenteria e altrettanti di falegnameria, 3 di magazzino e altri 5 di montaggio, rendono l’operaio completo nella sua visuale professionale, quindi maturo per coordinare una squadra o andare all’estero per insegnare il lavoro ad altri.
Oltre la dinamica appena descritta, l’argomento si apre sugli stili di direzione del personale, focalizzando una domanda: valorizzare il personale dipendente significa solo pagarlo di più?
Ovviamente no, esiste la gestione delle risorse umane. Questo vuol dire:
- remunerazione tramite buoni pasto (che hanno un limite in valore al giorno) e buoni benzina (che non hanno nessun limite giornaliero);
- mandare a casa quell’operaio che oggettivamente lo si riconosce malato, affinchè non procuri infortunio a se stesso e contagi gli altri;
- l’organizzazione di gite aziendali con i familiari;
- la concessione di una vacanza premio o anche fine settimana alla famiglia del dipendente del mese;
- la cena aziendale con familiari;
- l’uso di tesserini di riconoscimento sul posto di lavoro per favorire l’identificazione del gruppo aziendale;
- borse di studio per i figli dei dipendenti e degli operai;
- assunzioni privilegiate ai figli/e dei dipendenti e degli operai;
- pagamento della retta universitaria per i figli dei dipendenti/operai;
- allestimento di una mensa decente;
- creazione di luoghi di culto;
- tessere sconto per dipendenti/operai verso negozi specializzati;
- biglietti del cinema;
- sconti sull’acquisto di servizi, beni e convenzioni con agenzie di viaggio, banche e assicurazioni;
e ancora altre possibilità a cui possano accedere sia indifferentemente tutti i dipendenti/operai che selettivamente, in una politica d’incentivazione che non premi sempre gli stessi.
Concludendo, non si vive di solo denaro.
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