7 maggio 2020
Si fa presto a dire “Fase 2”. Perché, quando vai a parlare con chi ci si sta confrontando in prima persona, scopri che non è tutto rose e fiori, ma che di spine ce ne sono fin troppe ed il rischio di farsi male è ancora alto. Molto alto. Soprattutto perché la “Fase 1” ha fatto danni seri.
Per spiegare quanto sia altro il prezzo pagato dalla Siderpighi di Pontenure (PC), l’amministratore delegato Francesco Pighi utilizza due numeri: «Il primo trimestre dell’anno lo abbiamo chiuso con un -47% che, proiettato sull’intero 2020, potrebbe tradursi in un -25% e credo che tanto basti per dare l’idea di quale sia stato l’impatto del Covid-19».
La “fase 2”, dice Pighi, «non ha ancora, e non era certo possibile, portato novità di rilievo. Qualche piccolo segnale lo abbiamo registrato, ma, visto soprattutto che i prezzi all’origine non sono certo diminuiti, è ancora presto per poter parlare di ripresa. Piuttosto – segnala – abbiamo ricevuto molte richieste di dilazione dei pagamenti da parte dei clienti».
Soprattutto, dice, «da parte dei titolari di imprese piccole e poco organizzate per far fronte a situazioni come quelle che si sono presentate in questa fase e che ci costringono, di fatto, a fare loro da banca. Mettendoci però in difficoltà».
E questo lo porta a fare una considerazione sul «mercato assicurativo del credito, che a mio parere è inadeguato e sul quale come azienda stiamo facendo delle serie riflessioni». Perché, spiega l’ad di Siderpighi, «a mio avviso le strategie adottate dalle compagnie assicuratrici stanno portando ad una perdita di appeal dei prodotti che offrono».
E spiega perché: «Se ci garantiscono una copertura del 60% delle somme che dovremmo incassare, la cosa ha un senso, ma se la copertura scende sotto il 40%, come accade ora, trovo ingiustificato pagare fino a 70mila euro l’anno per non correre dei rischi ai quali posso far fronte ricorrendo ad un plafond interno».
Insoluti in «deciso aumento», racconta Eric Mattioli, anche alla Interacciai di Reggio Emilia: «Sarà il tema dominante dei prossimi mesi – spiega – perché se ne registra un numero preoccupante la ripartenza lenta alla quale stiamo assistendo non autorizza certo a prevedere un’inversione di tendenza».
E questo, «se lo registriamo noi, che abbiamo clienti che hanno praticamente lavorato sempre, credo che sarà un problema ancora più serio per chi deve confrontarsi con chi, invece, si sta rimettendo in marcia solo ora».
Secondo quanto registrato dalla Interacciai «più che di voglia di ripartire si deve parlare di necessità assoluta di farlo, altrimenti per molti non ci sarebbero prospettive, ma questo determina un sentiment tutt’altro che favorevole»
Per Mattioli «il mercato si sta infatti muovendo molto lentamente ed è difficile da interpretare, ma di sicuro per il riallineamento saranno necessari tempi lunghi», tanto che arriva a dire che «io ho previsto tre scenari diversi e nessuno è a lieto fine. Il migliore, se così possiamo dire, prevede che se la filiera sarà a buon punto per l’estate e se non ci saranno fermate lunghe, spero che riusciremo a chiudere l’anno con un calo dei volumi del 20-30% rispetto all’anno scorso».
Altri numeri preoccupanti sono quelli che offre Marco Gatti, che guida lo Steel Group di Sarmato (PC): «Pur ricordando che il 2019 è stato un anno ottimo, a marzo abbiamo registrato un -56% rispetto all’anno scorso, mentre ad aprile ci siamo fermati a -35%. Credo sia chiaro cosa sia stato e cosa sia il Covid-19 per noi».
E per spiegarsi meglio dice che «di fatto Steel Group ha perso un mese di attività, perché nei due che ho indicato abbiamo messo insieme i volumi che normalmente totalizziamo in uno».
La ripartenza, dice Gatti, «fino ad ora è stata caratterizzata da grande lentezza e noi siamo sui numeri di aprile, anche se gli ordini già acquisiti sono stati confermati. Per avere un’idea sulla tendenza, però. Dovremo aspettare almeno la fine della prossima settimana».
Un problema in meno, rispetto agli altri operatori ascoltati da siderweb, per Steel Group è quello degli insoluti: «Sinceramente non ne abbiamo dovuti registrare un numero tale da creare preoccupazioni. Sinceramente temevamo peggio».
Decisiva «per provare a salvare il 2020 – dice Marco Gatti – potrebbe essere l’estate, perché nel caso si decida di non interrompere le produzioni e quindi la distribuzione, credo che si possano fare numeri in grado permetterci di recuperare il tempo perso».
Gatti, però, inserisce nella chiacchierata anche un paio di elementi positivi: «Ad aprile – spiega – il relativo contenimento del dato negativo di Steel Group è stato determinato da un ottimo 56% ottenuto dall’export e che ci incoraggia a puntare con decisione sui mercati oltre confine» e poi conclude con autentico inno all’ottimismo: «Se siamo riusciti a sopravvivere alla crisi del 2009, sono certo che riusciremo a superare anche questa».
Anche alla Carboni di Correggio (RE) si spera, come spiega Daniele Carboni, «in una decisione che porti a tenere aperte le aziende anche in agosto ed al traino del settore automotive che anche noi potremmo sfruttare», perché «di sicuro noi con il lockdown abbiamo perso l’equivalente di due mesi di attività e sarà impossibile recuperarli entro la fine dell’anno».
Tenendo presente che alla Carboni «dobbiamo confrontarci con l’aumento degli insoluti e delle richieste di posticipazione dei pagamenti. Se l’incidenza media – dice Daniele Carboni – era compresa tra il 4 e il 5%, ora registriamo un raddoppio e se questo fenomeno dovesse proseguire anche nei prossimi mesi, rischierebbe di mettere in discussione equilibri già instabili di loro».
E anche lui segnala il «malumore che cresce per le decisioni prese dalle compagnie di assicurazione, che hanno scelto di operare dei tagli sulle coperture, con il rischio di generare una spirale negativa che potrebbe interessare l’intera filiera».
Quanto alle misure messe in campo dal governo, Carboni usa una metafora interessante: «È stato come usare un’aspirina per curare una malattia grave» e spiega che «il complesso delle norme messe in campo non ha fatto altro che rendere ancora più farraginose delle procedure che la tipica burocrazia italiana complicava già molto di suo».
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