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Shock da coronavirus e conseguenze sull’economia

L’analisi di Gianfranco Tosini (Centro studi siderweb) sulla base di quanto accade e delle misure messe in campo

La diffusione del Covid-19 sta avendo un impatto rilevante sul sistema economico globale, principalmente attraverso le misure restrittive, volte al contenimento del contagio, che sono state adottate in quasi tutti i Paesi, in modo più o meno stringente. Tali misure, se da una parte aiutano a contenere la pandemia, dall’altro generano un effetto economico negativo sia attraverso la chiusura delle attività commerciali non essenziali ed i cambiamenti nelle decisioni di spesa, sia attraverso il blocco o la sospensione di attività nelle imprese industriali e dei servizi. In Italia, le restrizioni adottate sono più restrittive di quelle adottate in altri Paesi, esclusa la regione dello Hubei in Cina, con effetti negativi sul sistema economico che si stanno propagando attraverso un doppio shock, della domanda e dell’offerta.

Lo shock dell’offerta

Lo shock dell’offerta dipende direttamente da blocco dell’attività in determinati settori, dovuta a misure di contenimento della diffusione del Covid-19, al fermo della produzione in alcune aziende per consentire la sanificazione dei locali e garantire le condizioni di lavoro in sicurezza per gli operai, alla sospensione dell’attività per ritardi nell’approvvigionamento di materie prime o beni intermedi per le difficoltà a ricevere la merce dall’estero a causa del rifiuto degli autotrasportatori di entrare in Italia per timore di essere contagiati. Lo shock dell’offerta dipendente, indirettamente, dalle interruzioni lungo le catene globali del valore in conseguenza del blocco dell’attività negli altri Paesi; questo shock è destinato ad accentuarsi, poiché l’interruzione della produzione di beni intermedi a monte della catena globale del valore, causa il rapido esaurimento delle scorte di magazzino delle imprese e provoca strozzature nell’offerta in quelle produzioni che utilizzano tali input.

E l’Italia è fortemente integrata nelle catene internazionali del valore. Secondo stime del Centro Studi di Confindustria, circa il 33% del valore aggiunto manifatturiero è generato dalla partecipazione a filiere produttive estere, che attivano domanda di beni intermedi italiani. Più di metà dell’export italiano dipende, a monte o a valle, dalla partecipazione a tali catene. Questo comporta oggi, con la pandemia, forti rischi di blocchi lungo le filiere di produzione internazionali, come accaduto nel 2009. L’effettiva esposizione di queste filiere allo shock dipende da diversi fattori, in primis la durata del blocco e lo stock di scorte. L’impatto è tanto più forte quanto maggiore è la durata dei blocchi e minore la consistenza delle scorte. In questo senso, le imprese di minori dimensioni appaiono più vulnerabili.

Lo shock della domanda

Lo shock della domanda si propaga in tre modi. Il primo attraverso la riduzione e la ricomposizione della spesa delle famiglie in conseguenza della chiusura di molte attività commerciali e delle particolari condizioni in cui si trovano a vivere le famiglie, obbligate a stare a casa ed a lavorare in smart working ed a limitare allo stretto necessario gli spostamenti. Secondo il Centro Studi di Confindustria tutto questo comporterebbe un calo dei consumi di circa il 9% cumulato nei primi due trimestri del 2020, se le misure verranno confermate fino a tutto il mese di maggio. Tale diminuzione dei consumi, che non ha precedenti nei dati trimestrali disponibili dal 1970, include anche un effetto positivo che si avrebbe su alcune tipologie di consumo. In particolare si stima un aumento degli acquisti di beni alimentari e bevande, di alcune spese per l’abitazione (gas, acqua, elettricità) di quelle sanitarie (farmaci) e anche quelle in servizi di comunicazione (telefonia, spedizioni). Molto più numerose, però, sono le voci di consumo che risentono dell’attuale situazione: drammatiche diminuzioni nella spesa in servizi di ristorazione e alloggio, servizi ricreativi e culturali, pacchetti vacanza, servizi di trasporto, spese per mezzi di trasporto (carburanti), vestiario e calzature, mobili e articoli per la casa.

Un altro canale di propagazione dello shock della domanda è il calo dei flussi turistici verso l’Italia. Le attività legate al turismo valgono circa il 6% del valore aggiunto e dell’occupazione nel nostro Paese. L’impatto del blocco di tale attività, che ha colpito l’Italia in un momento di bassa stagionalità turistica, è verosimile che possa estendersi anche al trimestre estivo per due ragioni: da una parte, la diversa tempistica con la quale il virus si è gradualmente diffuso a livello globale, che porterà a limitazioni dei movimenti turistici stranieri anche quando l’Italia avrà superato l’attuale emergenza sanitaria; dall’altra, un problema di reputazione legato al fatto che l’Italia è stato il primo paese colpito dal corona virus.

Un terzo canale di propagazione dello shock della domanda è la diminuzione delle richieste di prodotti da parte dei consumatori stranieri in conseguenza dell’introduzione, in Paesi legati da forti relazioni commerciali con l’Italia, di misure restrittive analoghe a quelle introdotte nel nostro Paese. Esse determinerebbero una forte contrazione della domanda privata e, in seconda battuta, ridurrebbero la dinamica delle esportazioni italiane, con effetto prevalentemente nel secondo trimestre del 2020, ma che potrebbe estendersi al terzo trimestre.

L’impatto sulla produzione industriale e sul PIL

Da quanto detto finora risulta evidente che l’impatto della pandemia sulla produzione industriale è molto diversificato. Alcuni comparti, quali il settore farmaceutico e chimico, quello delle telecomunicazioni e dei prodotti legati al settore biomedicale e sanitario e in parte quello dei prodotti alimentari, saranno favoriti dall’aumento della domanda (soprattutto interna). Tuttavia, i settori manifatturieri nel complesso (in particolare le imprese che realizzano all’estero una quota elevata del proprio fatturato) risentiranno fortemente anche del calo delle esportazioni dovuto alla crisi globale innescata dalla diffusione del Covid-19. L’Italia esporta circa un terzo dei propri prodotti, per cui gli effetti della recessione globale, iniziati già nel primo trimestre, saranno molto pesanti nel manifatturiero. Pertanto, nel 2020 un calo del PIL è inevitabile. Nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio, il Centro Studi di Confindustria stima una riduzione del PIL italiano del 6%. Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009  (-5,3%). Ogni settimana in più di blocco delle attività potrebbe costare una percentuale ulteriore di PIL dell’ordine di almeno lo 0,75%.

Le conseguenze sulla liquidità

L’impatto del coronavirus risulta devastante anche per quanto riguarda la liquidità sia delle famiglie e che delle imprese. Relativamente a queste ultime, a causa delle interruzioni della produzione si realizzano meno beni vendibili, quindi si incassa di meno. Inoltre, a causa del calo della domanda, vengono cancellati ordini ed acquisti e quindi si ha una mancata vendita di prodotti nell’industria ed un mancato fatturato nei servizi. In tutti questi casi, l’impresa genera meno risorse. Viceversa, l’esigenza di liquidità resta e si fa pressante: servono soldi per approvvigionare i magazzini, per le scadenze bancarie, per pagare i costi dei locali, per far fronte alle scadenze fiscali e tributarie, alle scadenze verso i dipendenti. Perciò, le riserve di liquidità si assottigliano rapidamente, in mancanza di interventi esterni di politica economica. È quindi indispensabile, in questa fase di emergenza, che il crollo dell’attività produttiva non provochi una crisi di liquidità delle imprese che potrebbe innescare un’ondata di insolvenze all’interno del sistema industriale, trasversale alle filiere produttive nazionali. A questo proposito, l’agenzia di rating di Cerved, sulla base delle informazioni di bilancio, ha stimato, in uno scenario di contenimento della pandemia su scala globale entro la fine dell’estate, che la percentuale di imprese italiane valutate con un rating ad “alto rischio” di insolvenza potrebbe raddoppiare dall’attuale 7,5% al 15,2%. La percentuale di quelle valutate come “vulnerabili” di fronte ad ulteriori shock negativi passerebbe dall’attuale 38,1% al 40,3%. Ciò si tradurrebbe in una probabilità media di default all’interno del sistema produttivo italiano che passerebbe dall’attuale 4,9% al 6,8%. Ad eccezione del settore farmaceutico, di una parte del settore del commercio e del settore ICT, tutti gli altri comparti produttivi vedrebbero peggiorare il merito creditizio e quindi a rischio di restrizione del credito. Va tuttavia sottolineato che si tratta di stime “a politiche invariate”, ossia che non incorporano gli effetti delle misure recentemente varate dal governo italiano nel decreto legge “Cura Italia”. Per centrare l’obiettivo di scongiurare una crisi di liquidità delle imprese, come quello prefigurato da Cerved, garantendo la tenuta del sistema, occorre tuttavia rafforzare tali prime misure, prevedendo:

- la sospensione per tutte le imprese, a prescindere dalle soglie di fatturato, dei versamenti fiscali e contributivi di prossima scadenza e di quelle successive fino al superamento della fase più acuta della pandemia, allungando il periodo di rateizzazione di quanto non pagato;

- il rafforzamento del Fondo di Garanzia, per offrire supporto incondizionato a PMI e Mid-cap:

- misure straordinarie per la liquidità delle imprese, anche medie e grandi, che consentano di guadagnare tempo grazie alla garanzia dello Stato e attivando risorse UE attraverso la banca Europea degli Investimenti (BEI) e la Cassa Depositi e Prestiti (CDP);

- un forte sostegno per le imprese strategiche che, accanto a linee di credito per la liquidità, preveda, in caso di difficoltà, la possibilità di un ingresso temporaneo dello Stato nel capitale.

Per sostenere le imprese con tempestività è inoltre indispensabile intervenire sulla regolamentazione finanziaria a livello europeo e nazionale, per alleggerire i requisiti prudenziali e favorire nuovi finanziamenti bancari, con eventuali misure di tolleranza sui prestiti in essere alle imprese danneggiate dal Covid-19.


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