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Coronavirus: a rischio la tenuta dell’Europa

La solidarietà non esiste, mentre il dibattito italiano sulla questione Mes è intriso di propaganda

I dati diffusi dal Fondo Monetario Internazionale che parlano chiaramente di una recessione globale devono allarmarci tutti e non solo perché l'economia italiana sarà la più colpita (Pil 2020 al -9,1%) con la sola Grecia che farà peggio di noi in Europa. Ma soprattutto perché l'Europa si trova a dover fronteggiare una situazione al limite della sostenibilità: se l'Unione ha vacillato con la crisi dell'euro, del debito greco e dell'immigrazione, si potrebbe addirittura pensare che ora sia destinata a dissolversi.

Probabilmente non sarà così ma certo il rischio di perdere per strada qualcuno è altissimo. L'Ue ci ha abituato ad una certa creatività che potrebbe ovviare al suo deficit strutturale nell'affrontare fasi critiche, chi l'ha fondata e chi si è succeduto alla guida ha sempre immaginato che l'Unione avrebbe vissuto in una costante fase espansiva. Oggi l'intera struttura comunitaria non è attrezzata davvero per rispondere appieno all'emergenza politico-economica provocata dal Covid-19.

Ci dovremo affidare a risposte creative. Fa un po' effetto che a sostenerlo siano figure politiche che sembrano possedere molti pregi ma a prima vista peccano proprio di fantasia, come il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovkis. Ad ogni modo è stato proprio lui, l'uomo di punta dei Paesi frugali, ad aprire alla possibilità di titoli di debito comunitari a partire dal Recovery Fund (il fondo europeo per la ricostruzione). Lo strumento dovrebbe aggiungersi ai 200 miliardi della Banca europea per gli Investimenti che serviranno a sostenere le imprese, ai 100 miliardi del piano Sure per intregrare i fondi per la cassa integrazione nei 27. Ma soprattutto potrà essere utilizzato il Fondo salva-Stati, meglio noto come Mes (Meccanismo europeo di stabilità) che dispone complessivamente di 540 miliardi di euro e che ne destinerà 240 per l'emergenza Covid-19.

Il dibattito italiano sulla questione Mes sì-Mes no, è intriso di propaganda e pesca nell'animo indiscutibilmente populista ed euroscettico della Lega e del Movimento 5 Stelle che non a caso chiedono che non vi siano vincoli per il suo utilizzo perché a loro dire il Paese sarebbe eterodiretto da Bruxelles. Il punto semmai non è sulla bontà o meno dello strumento, ad esempio anche nel caso del bazooka della Bce dobbiamo fornire garanzie, il punto è sulla dimensione dei fondi: se Roma dovesse accedere al Mes potrebbe al massimo utilizzare 35 miliardi (che corrisponde alla soglia del 2% del Pil italano). Basterebbe per coprire una delle manovre fatte in questi mesi delle dimensioni finanziarie del Cura Italia. Il Mes era stato, per altro, creato per evitare nuove situazioni come la Grecia in cui arrivò la troika per davvero; con tanto di tensioni tra Fmi da un lato e Bce-Ue dall'altro.

Detto questo il punto ruota attorno al Recovery Fund, punto di mediazione proposto da Macron che ha cercato di smussare le rigidità dei Paesi frugali (Olanda, Austria e Finalndia) e le perplessità della Germania sull'ipotesi italiana e spagnola di emissione di titoli di debito europei, i coronabond. La Francia che secondo le ultime stime del Fmi avrà un deficit del 9,3% (peggio dell'Italia che si dovrebbe fermare poco sopra l'8%) ha tutto l'interesse affinché i bond europei vengano attivati e di fatto guida il Fronte meridionale. Quali sono i nodi? Innanzitutto la solidarietà, che sarebbe uno dei pilastri su cui poggia l'Unione europea ma che nei fatti non esiste quando si tratta di questioni elettoralmente scomode per i singoli governi: lo è stato per l'immigrazione, è inutile dire che lo sia per le questioni economiche.

Vi è poi oggettivamente una questione non secondaria. Gli eurobond, titoli di debito europei di cui si farebbero garanti sul mercato finanziario i 17 Stati dell'Eurozona, non sono mai stati emessi. Sarebbe un debito comunitario di cui in quota parte dovrebbero rispondere tutti i 17: certo sarebbe uno strumento davvero creativo nel senso che fino ad oggi i titoli di debito sono emessi dalle banche centrali dei singoli Stati. Sarebbe ancora più creativo dal momento che, non tanto nell'Europa a 27, ma nemmeno nell'Eurozona si è realizzata una forma di Unione bancaria e non c'è uniformità di tassazione. Insomma un territorio veramente inesplorato e per questa ragione, aldilà della tanta o poca credibilità di cui gode l'Italia, alcuni Paesi non sono disposti a rischiare, senza dimenticare la già citata mancata solidarietà a livello comunitario. Certo una soluzione va trovata per evitare di rendere ancora più profonda la distanza tra Nord e Sud dell'Unione e per non innescare un clima di sospetto e di vendette incrociate (non è sfuggita a nessuno la campagna italiana contro i paradisi fiscali, usata come avvertimento contro l'Olanda).

Qualsiasi soluzione venga trovata, in aggiunta agli strumenti già sicuri (Sure, Bei, Mes), non si deve cadere nell'errore di pensare che possa essere lanciato un nuovo piano Marshall, come troppo spesso viene detto anche a Bruxelles. Il piano Marshall dopo la Seconda Guerra Mondiale era pagato dagli Stati Uniti, oggi il piano di salvataggio europeo ce lo dobbiamo pagare, dobbiamo fare debito: non esiste uno Stato terzo che inonderà il Vecchio Continente di liquidità. Un dato di fatto a cui avevano già pensato ai vertici dell'Ue nel 2011 quando si iniziò a ragionare sul Fondo salva-Stati, perché se quello è lo strumento che deve essere utilizzato per le emergenze e per le crisi, se l'Unione avesse fondi propri grazie ad una propria tassazione tutto sarebbe più facile. Si tratta di un dibattito mai davvero decollato (nemmeno sulla webtax europea), che sarà di nuovo procastinato e che non può essere affrontato in questa sede.

Inevitabilmente si torna quindi ai titoli di debito comunitari, extrema ratio, che però potrebbe involontariamente spingere l'Unione in una nuova fase della sua storia. Potrebbe responsabilizzare gli Stati membri, potrebbe addirittura velocizzare certi processi di integrazione come l'unione bancaria, sempre più indispensabile. Perché nel frattempo qualcuno rischia di rimanere indietro o addirittura perdersi per strada approfittando della crisi provocata dal Coronavirus. In Ungheria lo stato di diritto, la rule of law, un altro dei pilastri su cui poggia l'Ue, è seriamente messo in discussione dopo l'assegnazione da parte del Parlamento dei pieni poteri al premier Orban: provvedimento che comporta un'influenza diretta sulla libertà di stampa e in generale sui contrappesi previsti nelle liberaldemocrazie.

E questa è l'altra sfida, oltre a quella economica, che viene lanciata all'Ue e ai suoi Stati membri dal Covid-19: la tenuta democratica. In queste settimane in nome della salute pubblica i Governi hanno preso decisioni al limite del rispetto delle libertà personali, hanno di fatto imposto il coprifuoco, hanno fermato interi Paesi (sul modello di Pechino che è un regime autoritario). La ripartenza deve essere graduale ma deve da un lato garantire il rilancio economico da un lato e dall'altro tutte le prerogative delle liberal-democrazie, senza farsi attrarre da scorciatoie illiberali alla Orban.   


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