30 marzo 2020
L’atteggiamento di alcune istituzioni e personalità politiche europee, nei confronti delle proposte avanzate dall’Italia per fare fronte comune contro l’emergenza-coronavirus, hanno dato vita ad un dibattito molto acceso e nel quale vengono addirittura messi in discussione il ruolo e la mission dell’Unione europea.
siderweb ha pensato di chiedere un parere a chi, come Enrico Gibellieri (tra le altre cariche è membro del Bureau della CCMI, è stato vice presidente del Comitato della piattaforma tecnologica europea per l'acciaio Estep, oltre che ideatore del corso post-laurea di alto livello Steelmaster ed Eurosteelmaster e copresidente della Commissione consultiva per i cambiamenti industriali all'interno del Comitato economico e sociale europeo) è da anni impegnato nella costruzione di iniziative a livello comunitario.
L'Italia sta ricevendo un trattamento equo da parte dell'Europa in questa delicata fase?
Bisogna chiarire cosa si intende per Europa. La Bce, dopo titubanze iniziali un primo inqualificabile intervento da parte della sua presidente Christine Lagarde, ha deciso di stanziare una cifra considerevole per l’acquisto di obbligazioni degli Stati membri per il periodo necessario, di fatto continuando la politica del suo predecessore Mario Draghi.
La Commissione europea ha sospeso i vincoli del patto di stabilità ma la sua presidente Ursula Von der Leyen si è espressa negativamente, andando oltre quelle che sono le sue prerogative e quelle della Commissione che presiede, nei confronti della richiesta di un numero significativo di Stati membri di ricorrere ai “coronabond” per la ricostruzione dichiarando che il Consiglio europeo, dopo il mancato accordo dell’ultima riunione, ha chiesto alla Commissione di proporre strumenti alternativi finalizzati allo stesso obiettivo.
Il Consiglio europeo, organismo che prende le decisioni, composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione europea, non ha accettato la proposta di realizzare dei “coronabond” e ha deciso di prendere una pausa di riflessione prima di riunirsi di nuovo e prendere una decisione.
L’Italia, e i Paesi che presentano le situazioni più gravi a causa della pandemia da Covid-19, ha ricevuto, sebbene in ritardo rispetto all’urgenza, delle risposte da Bce e Commissione che possono essere considerate soddisfacenti. Il Consiglio continua, come durante la crisi economica e finanziaria precedente, ad essere paralizzato e incapace di attuare ogni politica basata sulla solidarietà, attenta alle esigenze dei cittadini e con una visione progressiva del futuro del processo di integrazione europea. Sono queste le posizioni che hanno allontanato i cittadini dall’Europa e determinato la nascita e lo sviluppo di gruppi sovranisti, quando non apertamente neo-fascisti e neo-nazisti. Questa volta sembra che l’Italia non sia sola ma abbia al suo fianco la Francia, la Spagna ed altri Paesi importanti. Spero che questi paesi tengano la loro posizione nel prossimo Consiglio e che si giunga ad un accordo sui “coronabond” o strumento equivalente.
L'atteggiamento del nostro governo è quello giusto o sarebbe necessario un cambio di approccio?
Penso che il governo italiano, che per primo si è trovato ad affrontare le gravi conseguenze della pandemia da Covid-19 in Europa, abbia dimostrato di essere in grado di prendere decisioni tempestive e progressive per governare una situazione difficilissima e, nello stesso tempo, essere in grado di fare proposte credibili alle istituzioni europee determinando la confluenza verso queste di un numero rilevante di Stati membri. Il fatto che molti Paesi, dopo una valutazione negativa sulle decisioni italiane, siano stato costretti a prendere, in ritardo, le stesse misure ha aumentato la credibilità del nostro Paese e dato al governo un ruolo e una leadership che da molto tempo non si verificava. Ad essere onesti, anche gli interventi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del presidente del Parlamento europeo David Sassoli e dell’ex presidente della Bce Mario Draghi hanno contribuito in modo determinante a questo risultato.
Dal suo osservatorio, cosa rischia la siderurgia italiana e qual è il pericolo più immediato?
Il pericolo più immediato è quello di un prolungato fermo della produzione a causa del prolungarsi dei blocchi delle attività considerate non necessarie da parte del governo. In questo quadro, molto importante è la capacità delle parti sociali, con la collaborazione del governo e delle istituzioni locali, di realizzare condizioni di lavoro in sicurezza nelle aziende siderurgiche attraverso la fornitura di strumenti adeguati di protezione dei lavoratori e di una formazione specifica sui rischi da Covid-19. Ciò richiede l’esistenza di condizioni di fiducia e comprensione tra le parti e la realizzazione di un rapporto continuo per valutarla situazione e apportare i cambiamenti necessari.
Nel caso la struttura impiantistica sia tale da non permettere la realizzazione di tali condizioni, aziende e lavoratori devono essere supportati dal governo con strumenti appositi per tutta la durata della crisi. Data la struttura produttiva del nostro Paese, caratterizzata da molti siti produttivi e dalla predominanza della tecnologia di produzione da forno elettrico che permette una più ampia flessibilità rispetto al ciclo integrale, le condizioni precedentemente descritte è necessario che vengano discusse, realizzate e controllate caso per caso con spirito costruttivo e ponendo sempre la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori in primo piano.
Nella prospettiva, data la struttura produttiva della siderurgia italiana da forno elettrico, ritengo che le aziende italiane siano in grado di ripartire molto più rapidamente di quelle di altri Paesi europei appena le condizioni generali lo consentiranno. La situazione specifica dello stabilimento ex Ilva di Taranto, già soggetto a numerosi vincoli in uno stato di forte incertezza, e la rigidità delle tecnologie produttive del ciclo integrale necessitano di un’attenzione particolare e di un alto grado di collaborazione tra parti sociali e delle istituzioni locali.
Qual è la posizione dell'European Economic and Social Committee rispetto al complesso della vicenda che stiamo vivendo?
Nei documenti che le invio (per leggerli basta cliccare sulle icone ) si possono leggere le posizioni che il Comitato economico e sociale europeo (Cese) o parte di esso, nello specifico il Gruppo dei lavoratori del Cese Gruppo II, hanno preso sull’argomento del Covid-19. Bisogna tener conto che le attività del Cese sono sospese e che chi opera attualmente è il suo ufficio di presidenza composto dal presidente Luca Jahier (Italiano), dai due vice presidenti, dai presidenti dei tre gruppi, da rappresentati di tutti gli Stati membri e dai presidenti delle sezioni e della Ccmi. La posizione più forte è quella presa dal Gruppi dei lavoratori (Gruppo II) dopo la riunione del Consiglio europeo. La posizione dell’ufficio di presidenza del CESE, invece, è stata presa in precedenza, è frutto evidente di un compromesso ed è di carattere più generale. Gli altri due documenti affrontano aspetti importanti ma specifici. La posizione del Gruppo II sostiene con forza la proposta italiana sui “coronabond”.
Quali misure sarebbero più adeguate per affrontare in maniera coordinata, a livello continentale, l'emergenza?
Bisogna considerare che per il trattato di Lisbona ed il principio di sussidiarietà, la responsabilità dei sistemi sanitari nazionale è di pertinenza degli Stati membri. Ciò significa che le istituzioni europee non hanno il potere di decidere su questo settore e che non esiste un sistema sanitario europeo. Naturalmente la Commissione può proporre al Consiglio e al Parlamento Europeo, che detengono il potere decisionale, il mandato a svolgere un ruolo di coordinamento per facilitare lo scambio di esperienze, di buone pratiche in questo importante settore. Ciò non è stato realizzato fin d’ora a causa delle politiche liberiste che hanno determinato una progressiva tendenza alla privatizzazione dei sistemi sanitari nazionali. Ciò spiega il ritardo e l’inerzia delle istituzioni europee su questo argomento è l’incapacità a organizzare un’azione comune preventiva che avrebbe avuto una grande importanza, soprattutto nel caso della pandemia da Covid-19.
La Commissione ha, invece, un grande ruolo nel settore della ricerca e dell’innovazione attraverso lo strumento del programma quadro di ricerca e innovazione dell’Unione europea (attualmente Horizon 2020 e prossimamente Horizon Europe dal 2021). Inoltre esiste l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) che ha un compito importante nella valutazione dei medicinali e dei loro effetti prima di autorizzarne la vendita e l’uso in stretto coordinamento con le agenzie nazionali. Penso che, come in altri casi, sarebbe necessaria una modifica dei trattati per favorire un trasferimento di potere a livello Europeo, e l’allocazione di risorse finanziarie adeguate, con la garanzia che le azioni non possano essere bloccate o ritardate dagli Stati membri.
Questa situazione che si sta determinando potrebbe determinare un indebolimento delle idee di europeismo?
Partecipo ad attività a livello europeo ininterrottamente dai primi anni ottanta avendo ricoperto, e ricoprendo tuttora, posizioni in varie istituzioni e contesti in gran parte legati alla siderurgia. In questi giorni ho pubblicato vari testi nei quali dichiaro che “questa non è la mia Europa”. Naturalmente la mia critica è e rimane costruttiva e non vedo alternativa alla continuazione del processo di integrazione europea. Per chi, come me, viene dall’esperienza del Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), assistere in questi ultimi tempi, e nella gravissima situazione attuale, alla progressiva scomparsa del principio di solidarietà che era all’origine della costruzione europea provoca un sentimento di delusione che riesco a superare con sempre maggiore difficoltà.
La Germania, che ha avuto il sostegno del nostro e degli altri Paesi per il suo ingresso nella Ceca e per la sua riunificazione e i Paesi del centro ed est europeo che sono stati integrati nell’Unione europea ritardando e mettendo in pericolo il processo di integrazione, assumono comportamenti opportunistici, egoistici e dilatori su ogni aspetto delle politiche europee che provocano in me un grande rammarico. È vero che non tutti i cittadini di quei Paesi si riconoscono e condividono le decisioni dei loro governi ma sta di fatto che essi hanno paralizzano la più importante istituzione europea con le loro posizioni.
Molte volte ho evitato di criticare in pubblico le politiche e le scelte delle istituzioni europee in questi ultimi anni per evitare di essere accomunato alle posizioni nazionaliste, sovraniste, neo-fasciste e neo-naziste, contrarie all’Unione europea. Nelle ultime elezioni europee, nonostante tutto, eravamo riusciti a contenere le spinte disgregatrici che mettevano a rischio l’esistenza stessa dell’Unione europea. Se si continuerà su questa strada, non vedo un grande futuro per l’Europa così come alcuni di noi l’hanno conosciuta e che molti giovani ancora non conoscono.
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