10 aprile 2014
Ritengo che ormai tutti abbiano compreso che ciò che viviamo oggi non è soltanto il punto più basso di un ciclo economico come tanti altri e che non basti attendere qualche annetto perché tutto torni come prima. La globalizzazione, il progresso tecnologico, la digitalizzazione dell’economia e la profonda crisi che ha colpito le economie occidentali, ed i particolare l’Italia, stanno riconfigurando il modello sul quale si sono sviluppati ed hanno prosperato le economie e gli stati nel dopoguerra. Quella che sta emergendo è una realtà nuova, in continua evoluzione, dove il rischio di trovarsi ai margini (o di essere espulsi) è estremamente elevato, soprattutto per il sistema delle piccole e medie imprese italiane. Ricordo che in Italia le PMI costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su oltre 4,3 milioni di imprese, il 99,9% sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità di PMI (il 95%) è costituita da imprese con meno di 10 addetti: un pulviscolo di aziende che, da sole, fanno fatica ad affrontare i mercati globali e le sfide dell’innovazione e della digitalizzazione. Sfide che impongono una reattività impensata per i parametri ai quali le nostre aziende erano abituate. Nella sua ultima rubrica Giuliano Noci (clicca qui per leggerla) ha spiegato molto bene come per l’80% delle piccole e medie imprese italiane ciò che conta è il mercato domestico. E di solo mercato domestico, ci siamo detti più volte, si può morire. E che dire del livello di presenza in rete delle aziende italiane? Il 40% non ha un sito internet e, del 60% rimanente, solo un terzo ha un sito interattivo. Ciò vuol dire che solo il 20% delle aziende ha un utilizzo della rete adeguato e proattivo. Non possiamo immaginare di affrontare queste minacce e/o cogliere queste opportunità prigionieri degli schemi e dei paradigmi del passato: abbiamo bisogno di cambiare, ma il cambiamento è per sua natura difficile. Serve un elettroshock, uno scossone! E a questo riguardo l’occasione di Expo, come ha sottolineato sempre Giuliano Noci, ha tutte le caratteristiche per prestarsi bene allo scopo: una vetrina delle nostre capacità di saper fare, creare e di innovare, un’occasione di visibilità e di opportunità commerciali. Dobbiamo solo sfruttare al meglio questa opportunità «unica» (anche per il sistema acciaio) evitando improvvisazioni e dispersioni di energie: è fondamentale scegliere accuratamente i paesi e i player stranieri e pianificare «cosa» e «come» vogliamo raccontare. Muoviamoci dunque con determinazione e coraggio (usando anche la «leva» offerta da Made in Steel), ma muoviamoci! Accettando i rischi che il cambiamento comporta, ma altrettanto consapevoli che, come diceva Fuller, «Chi vuol navigare finché sia passato ogni pericolo non deve MAI prendere il mare!»
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