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«Quale vocazione per il nostro sviluppo?»

Il settore High Tech negli ultimi anni sembra essere stato considerato l’unico e vero motore di intensa crescita, in grado di garantire soddisfacenti tassi di produzione di ricchezza e di benessere. D’altra parte, i colossi come Apple, Google, Amazon, Microsoft – solo per citare i nomi più famosi - hanno effettivamente conosciuto un incremento esorbitante delle loro quotazioni di borsa, associato ad una penetrazione commerciale su scala globale che è davvero impressionante. Ma è giusto considerare l’incremento di valore borsistico come l’unico parametro per riconoscere una crescita duratura e competitiva? Premesso che certamente non è mai sana una perdita di valore ed essa deve essere comunque evitata, esistono altri parametri che possono caratterizzare una crescita sana? Questi parametri possono aiutarci a riconoscere meglio imprese sane e robuste, in grado di assicurare lavoro e generazione di valore sia per i proprietari che per i dipendenti? Se ci sforzassimo di rispondere a queste domande potremmo scoprire che le imprese della filiera metallurgica e siderurgica appartengono ad un gruppo non meno vitale ed importante, in grado di assicurare una ricchezza diffusa sul territorio. Forse l’esercizio di rispondere alle domande precedenti potrebbe farci scoprire nuovi punti di riferimento ed eliminare quel senso di emarginazione economica, che spesso colpisce anche inconsciamente gli operatori del settore metalmeccanico. D’altra parte, appare difficile sentirsi protagonisti dello sviluppo economico se tutte le volte che si sfogliano le pagine economiche di un giornale si osserva la pressante focalizzazione sul settore di produzione dell’High Tech, che sembra il solo protagonista indiscusso dell’economia mondiale, tanto da indurre il legislatore a predisporre particolari strumenti di sostegno alle cosiddette start up nel settore dell’information technology; spesso iniziative che proliferano rapidamente ed avvizziscono in modo altrettanto veloce. Per la verità anche l’Italia sino agli anni ’80 del XX secolo era presente in questo settore con imprese di dimensione rilevante, basti pensare all’Olivetti, ma esserne usciti ci preclude qualsiasi possibilità di competere? Personalmente non credo, ma sarebbe interessante ascoltare anche l’opinione di qualche lettore. Qualche segnale interessante giunge da oltre oceano e pur non essendo un economista,  resto impressionato dall’osservare proprio come la patria dell’High Tech, gli USA, cerchino di riportare sul proprio territorio l’industria manifatturiera ed in particolare quello che noi consideriamo il settore della manifattura metalmeccanica. Gian Felice Rocca, in una sua recente ed interessante pubblicazione, ha desiderato sottolineare e riportare l’attenzione su un segmento economico che non dovrebbe lasciarci indifferenti: il Medium Tech. Cosa è il Medium Tech? Probabilmente potremmo definirlo come il settore della meccanica di precisione ad alte prestazioni: pompe, turbine, treni per l’alta velocità, apparecchiature per l’estrazione di idrocarburi in ambienti particolarmente ostili, nuove soluzioni impiantistiche per la trattoristica e l’agroalimentare, produzione di tubi ad alte prestazioni, componenti e dispositivi meccanici per il settore aerospaziale e militare. Sono settori con tassi di crescita inferiori a quelli assicurati dall’High Tech, che richiedono maggiori tempi di progettazione ed immissione dei prodotti sul mercato, ma sono forse più stabili e più difendibili dell’High Tech stesso. In quest’ultimo settore, come in tutto il settore dell’elettronica, i prodotti sono facilmente replicabili e la formazione del personale per il montaggio e la produzione di questi dispositivi è facilmente trasferibile in altri contesti. Guardate quali interminabili litigi brevettuali caratterizzano il rapporto fra Apple e Samsung, tanto per citare un caso. Non è altrettanto semplice trasferire in altri contesti produttivi la realizzazione industriale di sistemi meccanici complessi, che dipendono da un patrimonio di competenze imprenditoriali e tecniche, stratificatosi nel tempo in un certo territorio. Deve far riflettere che una delle maggiori multinazionali al mondo, General Electric, dopo il successo del Nuovo Pignone abbia deciso di fare dell’Italia il centro di coordinamento per la progettazione e la formazione per i sistemi di generazione e conversione di  potenza. Gli statunitensi non devono essersi pentiti della scelta se stanno cercando di replicare i successi ottenuti con Nuovo Pignone attraverso l’acquisizione dell’italiana Avio. Certo, si tratta di filiere di sviluppo che privilegiano gli acciai speciali da costruzione e gli acciai strutturali per impieghi meccanici rispetto a quelli impiegati nell’industria del building; questo dovrebbe far riflettere sull’avvio di un percorso almeno parziale di conversione della produzione siderurgica. Il Medium Tech non è di esclusiva pertinenza di grandi realtà industriali, a volte è un patrimonio detenuto da piccole e medie imprese con forte specializzazione. La possibilità di competere a livello mondiale sta nella capacità di fare rete tra imprese della filiera ed accedere ad adeguati sostegni alla ricerca e sviluppo, ma su questo tema torneremo prossimamente. 

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