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«Le inaspettate opportunità che possono nascere da una crisi»

Si stanno incrociando diversi eventi (alcuni programmati ed altri meno) che coinvolgono la produzione siderurgica, il mercato dell’energia e la situazione geopolitica. Tutto sta avvenendo mentre ci apprestiamo a rinnovare il Parlamento Europeo e alla vigilia dell’insediamento di una nuova Commissione Europea, dalla cui azione dipenderà anche il nuovo assetto siderurgico a livello continentale. Intanto, a New York, il Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha elaborato un ultimo rapporto che punta nuovamente il dito contro le emissione di CO2 ed il loro effetto sull’aumento termico globale; un fronte che negli ultimi tempi la crisi internazionale aveva sedato, in quanto l’attenzione dell’opinione pubblica si era giustamente spostata sulla decrescita produttiva e sui fenomeni di disagio sociale ad essa connessi. Con il riaccendersi della crescita economica sembra che non solo il clima sia destinato a scaldarsi, ma anche il dibattito politico e tecnico sulle tecnologie produttive e sull’ ”impronta di carbonio” che le caratterizza. Si potrebbe cominciare con il chiedersi se è possibile sviluppare una siderurgia carbon-free, senza sfruttamento di carbone e con relativo azzeramento dell’emissione di gas serra. Senza tanti giri di parole è bene classificare questa ipotesi nel novero delle utopie. E’ più plausibile domandarsi se sia invece possibile la sostituzione almeno parziale del carbone con il gas naturale. In un precedente numero di questa rubrica si era indicato come lo sfruttamento del gas naturale consentirebbe di diminuire anche del 63% l’emissione della CO2, ma la crisi ucraina aveva reso scettico qualche osservatore circa la possibilità di approvvigionare del gas naturale a prezzi competitivi per la produzione siderurgica da minerale. Si era indicato in 0.23€/Nm3 il punto di break-even per rendere competitiva la produzione da gas naturale con quella da coke, ma certo le incertezze legate alle forniture russe (che coprono circa il 20% della domanda nazionale italiana) sembravano aver sotterrato questa ipotesi ancora prima di averla fatta venire alla luce. Inaspettatamente, proprio le tensioni geopolitiche sulla frontiera russo-ucraina hanno innescato una reazione che sta aprendo orizzonti inimmaginabili sino a qualche tempo fa: gli USA, per sostenere i propri partners europei ed asiatici, hanno autorizzato la costruzione di un importante terminale di liquefazione nell’area del Pacifico, per supportare il mercato giapponese e coreano e allo stesso tempo stanno per mettere in funzione il terminale di rigassificazione di Sabine Pass, a 100km da Houston, con una capacità di liquefazione di 10 miliardi di metri cubi all’anno, a partire dal 2015 con la prospettiva di raddoppiare a 20 miliardi di metri cubi nel 2017; altri sei progetti di questo tipo sono in via di approvazione. Che sia in atto un vero terremoto è provato dal fatto che negli ultimi venticinque giorni in Africa Orientale ed in Australia i grandi clienti di gas liquefatto hanno smesso di firmare contratti di fornitura, per valutare dove si riassesterà il prezzo del gas naturale. Lo scetticismo di qualche osservatore dovrebbe far spazio a maggiore prudenza e ad un poco più di aggressività nell’impostare la politica energetica ed industriale italiana: la Spagna ha fiutato per tempo il cambiamento di direzione e si è già attrezzata con sei rigassificatori, tanto che paradossalmente la stessa Enel ha firmato contratti di importazione sui rigassificatori spagnoli. In Italia abbiamo un rigassificatore in funzione a Rovigo, uno a La Spezia ed uno a Livorno, che non riesce a partire, perché se non vi sono clienti che impegnano almeno il 60% della capacità di un terminale meglio stare fermi, onde evitare qualche bagno di sangue finanziario. Oltre alle interessanti opportunità per la produzione di preridotto, di cui le italiane Tenova e Danieli detengono la tecnologia attualmente più avanzata, siamo sicuri che aprire una vera concorrenza sul mercato nazionale del gas non possa produrre benefici a tanti altri comparti della filiera siderurgica? Forse sarebbe il caso di pensare ai trattamentisti termici e ai forgiatori (qualcuno ha provato a misurare quanto gas naturale consumano nei propri forni e quanto incide quel costo sulla loro competitività?), alle acciaierie elettriche, alle centrali a ciclo combinato (che poi forniscono elettricità alle stesse acciaierie elettriche), ecc. Il Qatar era leader mondiale della liquefazione, verrà presto affiancato e sorpassato da Australia, USA, Iran, Canada e Mozambico. Abbiamo un paese senza grandi riserve di gas naturale, ma con una posizione unica ed invidiata, per approvvigionarsi dal resto del mondo, sia dalle Americhe che dall’Africa Orientale e dal Medio Oriente: sarei pronto a scommettere che se la Germania avesse goduto di un’opportunità simile, non avrebbe perso tempo a cercare di condizionare verso la rigassificazione tutta la politica energetica dell’intero continente. Vedremo se saremo capaci anche questa volta di farci del male da soli e non cogliere l’interessante opportunità che gli ultimi eventi sembrano offrirci.
P.S. la rigassificazione non è un’opportunità interessante solo per l’uso del gas naturale, ma anche per tutta la filiera produttiva coinvolta negli impianti di liquefazione e di rigassificazione, quindi per i produttori di componenti forgiati, tubi non saldati nonché tubi saldati di grande spessore e diametro, che potrebbero costituire un considerevole volano per le società nazionali impegnate in questi settori.   

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Rubriche precedenti

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«Un percorso d'acciaio verso Expo?»
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