20 aprile 2021
«Capitalizzare, managerializzare e aggregare», in quest’ordine. E se fino a 10-15 anni fa le famiglie imprenditoriali facevano orecchie da mercante quando gli si spiegava che queste sono le tre regole per fare il salto di qualità e di dimensione, «oggi tutti ti ascoltano, perché si rendono conto che crescere è una necessità. Ascoltare è già un passo avanti; sull’azione qualche remora c’è ancora. Ci vuole molto coraggio».
Che, nonostante gli indugi, tiri un’aria di cambiamento nella classe imprenditoriale italiana lo ha raccontato Claudio Costamagna, Founder and Chairman at CC & Soci, al webinar di siderweb “Come nascono i campioni europei dell’acciaio”, intervistato dal direttore generale di siderweb Lucio Dall’Angelo.
Già il suo curriculum contiene un esempio significativo del «notevole cambiamento» in atto: a ottobre 2019 Costamagna (insieme a Marco Mangiagalli e Carlo Mapelli, dimessosi poi la scorsa settimana per entrare nel cda di Acciaierie d’Italia) è entrato nel consiglio di amministrazione di Finarvedi come membro indipendente. L’obiettivo, ha ricordato, è «dare una fisionomia al Gruppo che sia meno incentrata sulla figura del fondatore e più su tematiche di management e di apertura. Prima il consiglio di amministrazione era composto praticamente solo dalla famiglia. È un primo passaggio, ma fondamentale, che molte aziende dovrebbero fare».
Sarebbe soprattutto colpa di una barriera culturale se l’industria italiana, e non sono l’industria, è formata per la quasi totalità da piccole e medie imprese. Da un lato «siamo un Paese giovane, ancora molto segmentato localmente», con una «burocrazia eccessiva e un sistema fiscale complicato e opaco». Dall’altro lato, secondo Costamagna, c’è il radicato capitalismo industriale a conduzione familiare: «Ora le cose stanno cambiando, ma fino a poco tempo fa la famiglia voleva mantenere l’azienda nelle proprie mani, nella gestione e nella successione. È un sistema, questo, che difficilmente riesce a portare alla crescita». Perché non sempre nelle famiglie ci sono fuoriclasse e la creazione di conflitti interni rischia di paralizzare, far cessare, vendere le attività a gruppi strutturati (esteri nella maggior parte dei casi). Una gestione che «frena la capacità delle imprese di attirare talenti manageriali, che a ragione vogliono avere giuste deleghe e libertà di gestione» e quindi di fare il «salto dimensionale».
Se si capitalizza, «aprendo il capitale a esterni perché una famiglia da sola non ce la fa, è limitata per definizione», si possono «attrarre manager, con programmi di stock option e tutto quello che sappiamo è molto più facile da fare se si è quotati». E se si è quotati, per esempio, «è più facile aggregare, avendo una acquisition currency».
Altro problema è che «se sulla parte industriale non abbiamo nulla da invidiare a nessuno, la cultura finanziaria nel nostro Paese è poco sviluppata. Il ricorso quasi esclusivo al credito bancario è stato un altro grande limite». Ma, ripete Costamagna, anche su questo aspetto le cose stanno cambiando: «Le nuove generazioni sono più aperte, hanno una maggiore educazione finanziaria. Hanno compreso che in certi casi, invece che gestire l’azienda, è meglio diventarne azionisti e delegare a manager capaci». Come ha fatto, ha ricordato, Leonardo Del Vecchio con Luxottica negli anni Novanta.
Un processo lento ma avviato, che «mi piacerebbe vedere più veloce», e che ci potrà permettere di «recuperare il gap con Francia e Germania. Abbiamo ancora delle bellissime aziende, che sono troppo piccole ma che sono realtà straordinarie. Hanno tutte i numeri per avere la crescita giusta e arrivare ad avere posizioni importanti. Dobbiamo muoverci velocemente. Se non succederà, il nostro sistema industriale comincerà a vacillare».
Elisa Bonomelli
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