30 marzo 2021
Anche in Spagna le fondamenta dell’industria siderurgica sono state gettate dallo Stato; anche in Spagna la produzione di acciaio avviene per la gran parte (i tre quarti) con forno elettrico; anche in Spagna il saldo commerciale dei prodotti siderurgici è negativo. Sono molte le affinità tra l’acciaio italiano e quello spagnolo, in parte originate dalla vicinanza geografica dei due Paesi.
Durante il webinar di questa mattina “Spagna: quali possibilità per la siderurgia italiana?”, Alfonso Hidalgo de Calcerrada, Chief Economist di UNESID, l’associazione spagnola dei produttori di acciaio, ha disegnato il profilo della siderurgia del Paese.
«Le principali aziende spagnole, sia per quanto riguarda i prodotti piani che per i lunghi, sono per la maggior parte multinazionali – ha sottolineato -. Ci sono multinazionali di origini straniere con fabbriche in Spagna, ma anche imprese siderurgiche spagnole con sedi estere. E tra le multinazionali vi sono dei gruppi di portata mondiale: per esempio Layde appartiene al gruppo Tata, Galmed a thyssenkrupp». Per quel che riguarda il legame con l’Italia, «possiamo menzionare il produttore di acciaio inox Olarra, che appartenente al gruppo Roda, e Siderúrgica Sevillana, sempre produttore di lunghi ma di acciaio al carbonio, che fa parte del gruppo Riva».
Quanto alla produzione, nel 2020, a causa del Covid-19, la Spagna è tornata ai livelli dei primi anni ’70 (intorno agli 11 milioni di tonnellate, -19,5% tendenziale secondo la World Steel Association). Non è cambiata la struttura produttiva: per l’89% si producono acciai non legati, per il 7% inox e per il 4% legati.
Dal 2015 a oggi, «vediamo una crescita importante della quota di mercato delle esportazioni destinate all’Unione europea. La Spagna, come l’Italia, è stato un Paese che ha esportato molto verso Paesi terzi, il che aiutò ad uscire dalla crisi finanziaria. In particolare, l’Algeria è stato un Paese di destinazione di prodotti lunghi sia per la Spagna che per l’Italia. A causa di politiche protezioniste algerine da un lato, e dalla nascita di nuovi produttori algerini di prodotti lunghi dall’altro, questo export andò però gradualmente diminuendo. L’export verso i Paesi terzi – ha analizzato de Calcerrada - è passato dai 5 milioni di tonnellate del 2015 ai 3,7 milioni negli anni 2018 e 2019». Il 2020 è stato un anno anormale, che ha fatto registrare una caduta del 16% delle esportazioni spagnole totali, che sono scese a solo 8 milioni di tonnellate dai 9,7 milioni del 2019.
Le importazioni, invece, «sono calate meno delle esportazioni in Spagna. Ciò è in linea con la discesa del consumo apparente spagnolo». «Fino al 2018 quelle dai Paesi terzi - ha sottolineato de Calcerrada - hanno mantenuto un peso sempre più in crescita. Dal 2018 si registra un calo, sul quale probabilmente hanno influito le misure di salvaguardia della Commissione europea. In seguito, nel 2020, notiamo due decrementi molto simili sia da Paesi terzi che dall’Unione europea, di circa il 13%».
Il 2020 si è chiuso con «un saldo commerciale negativo, con le importazioni (circa 9 milioni di tonnellate) che superano le esportazioni». In dettaglio, «per i prodotti lunghi vi è un saldo commerciale positivo. Da segnalare soprattutto le travi, delle quali la Spagna è uno dei maggiori esportatori mondiali e possiede un enorme surplus, dal momento che è un mercato nel quale arriva pochissimo materiale dall’estero». Ma il Paese «è deficitario sotto il punto di vista dei prodotti piani, praticamente in tutte le sottocategorie».
E infatti in questo segmento si concentrano le opportunità per l’acciaio italiano. Lo ha analizzato Stefano Ferrari, responsabile dell’Ufficio Studi siderweb.
L’interscambio di acciaio tra Spagna e Italia, nel 2020, è stato testimone di un calo rispetto al biennio precedente, dovuto soprattutto alle limitazioni all’attività economica a causa della pandemia da coronavirus.
L’anno scorso l’Italia ha venduto in Spagna 787mila tonnellate di acciaio, comprandone 780mila, per un bilancio in sostanziale equilibrio. Rispetto al biennio precedente, l’Italia ha ridotto l’export verso la Spagna di circa 300-400mila tonnellate, mentre la Spagna ha limitato i danni a -200mila tonnellate. «Suddividendo l’import in quattro macrocategorie, ovvero semilavorati, tubi, lunghi e piani – ha spiegato Ferrari -, si nota che l’Italia è in surplus verso la Spagna per le prime due ed in deficit per le restanti due». Entrando nel dettaglio, l’export supera l’import nel settore dei lingotti per 59mila tonnellate e dei tubi per 149mila tonnellate, mentre è inferiore per i piani (-46mila tonnellate) ed i lunghi (-155mila tonnellate).
Guardando in prospettiva, per gli esportatori italiani «la Spagna appare un mercato promettente, con una potenzialità di assorbimento di materiale italiano per oltre 1 milione di tonnellate annue – conclude Ferrari -. In particolare, credo si possa lavorare sulle esportazioni di piani, soprattutto di coils rivestiti, segmento nel quale la Spagna appare deficitaria e l’Italia ha buone possibilità di sviluppo. Per quanto concerne le importazioni dal Paese iberico, infine, la Spagna rimane un punto di riferimento per le travi e l’inox».
Chi si occupa di potenziare le relazioni commerciali tra Italia e Spagna è la Camera di commercio italiana per la Spagna, che conta oltre 280 associati e opera in 4 campi di azione: informazione, servizi, attività orientate al business e formazione, costruendo progetti di internazionalizzazione ad hoc.
Come in Italia, non è ancora stato chiuso il piano per l’utilizzo dei fondi europei che arriveranno con il Next Generation EU ma, «secondo le bozze che sono circolate in queste settimane, una parte importante degli investimenti andrà proprio sul settore siderurgico – ha spiegato Simone Ferrali, responsabile desk Italia della Camera di commercio e industria italiana per la Spagna – proprio alla luce delle nuove tendenze europee del supporto alla sostenibilità delle aziende di questo settore. A maggior ragione perché in Spagna c’è un livello di tecnologia meno avanzato rispetto a quello italiano». Altra opportunità è che «c’è un basso livello di ricerca e sviluppo, con le aziende italiane che sono più all’avanguardia rispetto a quelle spagnole. Si pensi che il capitolo dell’industria 4.0 è stato aperto solo negli ultimi anni». Inoltre, il Paese «offre risorse umane qualificate a un costo non elevato rispetto alla media dei Paesi occidentali».
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