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Economia e ruolo dello Stato: no al neo-colbertismo

I rischi per un governo che punta su sussidi e assistenzialismo invece che sugli investimenti

Alla luce delle ultime decisioni da parte del governo in materia di politica industriale, in cui si vede un sensibile ritorno dello stato imprenditore, siderweb proporrà una serie di riflessioni sul tema. A partire da questa firmata da Massimiliano Panarari. 

Il governo composto da Movimento 5 Stelle, Pd e LeU passerà alle cronache (e, verosimilmente, anche alla storia) come quello del ritorno dello Stato in economia. E, più in generale, dell’allargamento della sua mano (molto) visibile a vari ambiti della sfera collettiva. Il tutto in un contesto globale nel quale la pandemia ha determinato, sotto molti profili – e, in primis, quello sanitario – l’urgenza di un rafforzamento dell’intervento pubblico, in controtendenza rispetto al segno privatistico e neoliberista che ha orientato in maniera pressoché ininterrotta la mondializzazione dagli anni Ottanta del Novecento in avanti.

Lo scenario complessivo è oggi trasfigurato dagli effetti dell’emergenza sanitaria generata dal Covid-19 (che sta avendo un impatto tremendo sulle fasce più deboli e lavorativamente precarie della popolazione, come pure su quelle non a reddito fisso), ma dal punto di vista della propensione neo-statalista il «Conte 2» si mostra in una certa continuità prospettica con il «Conte 1». Essendo, non per nulla, il medesimo primo ministro l’espressione di fatto di una forza politica – che è l’anello di congiunzione tra due governi di ispirazione pure assai differente – che nello statalismo ritrova uno dei filamenti della sua contraddittoria piattaforma insieme a un antisviluppismo presentato sotto le sembianze della “decrescita felice”.

Già, perché pure il governo di marca sovranista precedente palesava una chiara voglia di neostatalismo. O “neo-colbertismo”, se si volesse nobilitarlo rifacendosi alla seicentesca dottrina di politica economica – variante francese del mercantilismo – di Jean-Baptiste Colbert, il “super-ministro” dell’epoca (titolare di più dicasteri) del “Re Sole” Luigi XIV, campione di un massiccio interventismo dello Stato nelle questioni economiche. Naturalmente, non vi è niente di casuale, dal momento che tanto che il «Conte 1» gialloverde che il «Conte 2» giallorosso (o giallorosa) sono contrassegnati da una significativa componente di cultura politica populista la quale, a sua volta, costituisce un ingrediente centrale del sistema dei partiti e dell’offerta politica odierni.

Insomma, da qualche tempo la politica fa sentire il proprio peso e la propria influenza sulla sfera economica in modo sempre più rilevante. La stagione della Seconda Repubblica da intendere, anche, come tramonto irreversibile della lunghissima fase delle partecipazioni statali si rivela, a sua volta, in via di archiviazione. E i segni, per l’appunto, erano già disseminati nel corso di questi ultimi anni: dall’Alitalia – per la quale, dopo le tante e variamente disastrose cordate di “capitani coraggiosi”, si sono rispolverate le categorie molto discutibili (specie per i contribuenti) di “compagnia di bandiera” e ri-nazionalizzazione – fino all’Ilva di Taranto (con la doppia crisi, tuttora irrisolta, economico-sociale e ambientale).

Ambedue le aziende caratterizzate da un’emorragia di circa un milione al giorno che dura da un tempo quasi immemorabile, e contraddistinte da ripetuti fallimenti. Nel frattempo, è cresciuto il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) quale braccio operativo e finanziario dell’esecutivo nelle operazioni di salvataggio aziendale, partecipazione alle imprese o riconfigurazione, più in generale, dell’assetto industriale nazionale. Protagonista, infatti, in queste settimane della “storia infinita” di Autostrade. Senza, però, che la classe di governo esprima (o avesse espresso in precedenza) una visione minimamente coerente di politica industriale – un problema che non affligge unicamente quella in carica, ma viene da lontano, dalle dismissioni delle partecipazioni statali in assenza di una reinvenzione, in termini più leggeri ed efficienti (e, dunque, congruenti ai mutamenti storici), dell’azione pubblica in economica.

Di certo, l’inclinazione al neostatalismo affiora particolarmente imperiosa proprio nel «Conte 2», che potrà contare anche su un afflusso ingente di risorse proveniente dall’Europa. E si accompagna, con una certa frequenza, a un’ulteriore tendenza, quella all’assistenzialismo, per cui la macchina pubblica si attiva – per inciso, sempre con una certa lentezza – per elargire risorse a favore dei soggetti indicati come beneficiari dai leader del governo, riducendo altresì lo spazio del mercato, addirittura considerato da alcuni di loro alla stregua di un coacervo di lobby che approfittano del “popolo”.

Del resto, i sussidi e i bonus a cui indulge l’attuale esecutivo – anche nel “decreto agosto” – rappresentano appunto delle elargizioni: e se svolgono sicuramente una funzione utile in un momento di crisi non possono venire spacciati come strumenti di sviluppo, mentre, così concepiti, costituiscono pure un ostacolo a quelle riforme indispensabili a cui risulta vincolata l’erogazione dei miliardi di euro del Recovery Fund (ovvero, come è stato ribattezzato, il “Next Generation EU”).

Non servono distribuzioni a pioggia sulla popolazione – che non tengono conto in modo adeguato, peraltro, dell’esplosione dei bisogni e delle difficoltà anche in seno a una parte della popolazione (i lavoratori autonomi) ritenuti fino a poco tempo fa immuni dalle problematiche sociali –, ma investimenti.

«Per modernizzare le strutture avvizzite e le infrastrutture fatiscenti, e per mettere il sistema produttivo nella condizione di raccogliere la sfida della rivoluzione digitale e ambientale», come ha scritto recentemente un attento osservatore delle vicende economiche e politiche italiane come Enrico Cisnetto, ci vuole un pubblico di qualità. Uno Stato facilitatore capace di essere veicolo di innovazione tecnologica, sociale ed ecologica, e non uno Stato Leviatano, né uno Grande elemosiniere (che, a dirla tutta, come evidente, tutte le risorse promesse non ce le ha affatto).

È precisamente questo il passaggio tra lo Stato di cui abbiamo bisogno come cittadini di un Paese che non cresce da troppo tempo ed è stato colpito con una virulenza inaudita dalla pandemia e l’ennesima reincarnazione di un film già visto nella storia italiana. E che corrisponde a una zavorra che non possiamo più permetterci, perché stavolta non c’è “stellone italico” che tenga, e rischiamo di precipitare definitivamente e senza via di ritorno nel burrone.       

Per il mese di agosto la rubrica "PANorami", a cura di Massimiliano Panarari, viene sospesa e tornerà regolarmente da settembre.


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