23 giugno 2020
Guardare allo European Green Deal e fare «calcoli su quanto potrebbe arrivare all’ex Ilva è un ragionamento sbagliato, anche in Ue lo sostengono. Bisogna piuttosto chiedersi quanto lo Stato sia disposto a investire a livello nazionale per permettere una nuova stagione industriale più sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e del lavoro».
Perché il piano annunciato a gennaio dalla Commissione europea guidata da Ursula Von Der Leyen mobiliterà sì 1.000 miliardi di euro, ma essi comprendono però anche il cofinanziamento nazionale dei singoli Stati membri attraverso i Fondi strutturali e d’investimento europei, investimenti pubblici e privati. Lo ha chiarito Carlo Muzzi, giornalista esperto di geopolitica, nel proprio intervento di apertura al webinar di siderweb “L’acciaio tra Green New Deal e innovazione”, che si è tenuto questa mattina.
La struttura del Green New Deal europeo, ha inoltre spiegato Muzzi, «potrebbe funzionare bene se l’Ue riuscirà a trovare fondi propri. La Digital tax, di cui si sta parlando molto, potrebbe permetterle di farlo. Ma se dovesse essere promossa, e non tutti in Ue sono d’accordo, Trump potrebbe rilanciare la guerra commerciale. Inoltre è difficile che tutti gli Stati siano disposti a investire per accompagnare le proprie imprese se non arrivano fondi europei, soprattutto ora in una fase recessiva».
Resta il punto fermo: la Commissione europea ha fatto di questo piano - ancora in fase di definizione - il proprio pilastro d’azione, per arrivare ad avere un continente continente “clean, safe and prosper” e di azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. «Ora l’Ue è concentrata sul Recovery Fund – ha sottolineato Muzzi -, che sarà agganciato al progetto del Green New Deal. La trattativa sarà lunga, e sarà legata a quella sul budget pluriennale europeo, che ancora non c’è».
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