6 marzo 2014
Il Made in Italy è in pieno boom economico sulla Rete. Secondo alcune recenti indagini, infatti, è in continuo aumento il numero di persone (+8% rispetto al 2012) che scandagliano siti Internet alla ricerca dei prodotti del Bel Paese sia da PC che da mobile (sono aumentate del 40% le ricerche da smartphone in un solo anno). Non si tratta certamente di un fenomeno inatteso visto che quando gli stranieri pensano all’eccellenza e allo stile, immediatamente pensano all’Italia. E molti di loro si informano e formano le loro preferenze online. Non è così facile e scontata però la prospettiva per il sistema delle nostre imprese, che presenta per il solo 34% un proprio sito web. Ancora più preoccupante è poi il fatto che, tra i pochi presenti sulla rete, prevale l’adozione di una strategia di presenza digitale indifferenziata rispetto ai paesi target, secondo una logica di standardizzazione della propria identità digitale. Anche in questo caso, si tratta di una situazione non sorprendente dal momento che Internet è sì un fenomeno globale, ma dalle evidenti caratteristiche locali; un esempio per tutti: Facebook, Twitter e lo stesso Google non sono disponibili o sono di fatto irrilevanti in alcuni paesi dell’Asia, come la Cina. In questa prospettiva, l’approccio di larga parte delle imprese italiane alla rete è quindi quantomeno inadeguato. Il nostro sistema industriale perde così grandi opportunità: i nostri imprenditori si devono infatti rendere conto che larga parte delle decisioni di acquisto sono influenzate da quanto si trova sul web ed il fenomeno del commercio elettronico è in rapidissima crescita. E questo vale sia nel B2C che nel B2B, dove il processo di acquisto è ovviamente più articolato e, quindi, la raccolta di informazioni, opinioni (in rete) rappresenta una determinante fondamentale della decisione di acquisto. Se tutto questo è vero e rivolgo il mio pensiero alla necessaria priorità dell’internazionalizzazione e alle conseguenti difficoltà delle nostre PMI ad effettuare investimenti per l’entrata commerciale e/o la presenza distributiva all’estero, provo quindi quasi un senso di sconcerto. Infatti, in un mondo in profonda e continua evoluzione, cambia anche, e ovviamente, il modo con cui si accede ai mercati esteri (così importanti oggi per l’asfittica domanda interna). Mi spingo infatti ad affermare che, quantomeno in una fase iniziale, e soprattutto per quelle imprese che sono a corto di liquidità, la scelta di optare per il mondo online è quasi ineludibile: molto più alla portata sul fronte degli investimenti necessari anche se condizionata da una conoscenza del mondo della rete. Avviare un progetto di internazionalizzazione oggi richiede, in particolare, non tanto e non solo un sito web abilitato al commercio elettronico, quanto piuttosto un programma organico di azioni per: risultare tra i primi siti nel posizionamento naturale restituito dal motore di ricerca quando un individuo cerca qualcosa di correlato all’offerta dell’imprese (SEO = Search Engine Optimisation); essere attivamente presenti sui social network dal momento che questi influenzano sempre più, e in misura a volte maggiore della pubblicità tradizionale, le decisioni di acquisto delle persone. Serve insomma un coacervo di attività volte a creare awareness e preferenza rispetto all’offerta della specifica impresa e attrarre traffico al sito web aziendale. Pensando alle nostre PMI, è quindi richiesto che imprenditori e/o manager si rendano conto dell’importanza strategica del mondo dell’online e smettano di considerarlo come un peso, un fatto tecnico da delegare agli informatici di turno. Le opportunità sono davvero a portata di mano e sono reali anche se si fa riferimento ad un mondo immateriale. Mi torna in mente, a questo proposito, ancora l’affermazione di un manager che in questi giorni mi ha rivelato come la decisione di varare un progetto di ottimizzazione della presenza aziendale nei motori di ricerca abbia portato la stessa azienda ad aumentare in tempi rapidissimi del 50% il valore del transato online. Ma allo stesso tempo penso a quell’imprenditore (anziano), che recentemente mi ha esplicitato il suo profondo scetticismo rispetto al mondo della rete: tutto fumo, secondo lui. Qualcuno dirà: ci vuole dunque coraggio a intraprendere un viaggio nel mondo virtuale per chi si è sempre occupato di produzione e officina nella prospettiva dell’eccellenza. Si tratta tuttavia di un percorso obbligato per sostenere la crescita (e profittabilità) del nostro sistema industriale. Società e mercato (nel mondo) sono mutati in modo molto significativo; abbiamo a che fare con una modificazione sociale e culturale strutturale. Mi permetto dunque di affermare, che i nostri imprenditori non sono chiamati solo ad avere coraggio ma ad assumere piena consapevolezza di quello che sta accadendo nel contesto esterno.
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Giuliano Noci
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