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Federacciai: il 2021 sarà migliore del 2020

Alessandro Banzato: «Per accelerare la ripresa bisogna puntare su efficienza e collaborazione»

Nonostante l’industria e l’acciaio italiano abbiano affrontato uno degli anni più difficili della storia, il presidente di Federacciai Alessandro Banzato non perde il suo proverbiale ottimismo, sorretto anche dalle ultime notizie sull’arrivo dei vaccini contro il Covid-19. Un ottimismo però che ha i piedi ben piantati a terra e che pragmaticamente indica quali possono essere gli obiettivi su cui puntare perché la siderurgia italiana possa superare con maggior velocità questa terribile crisi.

Il 2020 è ormai avviato alla conclusione, come l’acciaio italiano ha vissuto un anno così difficile?

Dopo il blocco delle attività fra marzo e aprile, quando la produzione era scesa del 40%, a partire da maggio è iniziato un recupero che ci ha permesso di riassorbire gradualmente il colpo. Se come immagino chiuderemo l’anno con un meno 15% di output, credo che potremmo essere tutti moderatamente soddisfatti sia perché le premesse sembravano ben peggiori, sia perché non possiamo non considerare il peso che su tale performance ha avuto il calo produttivo di Taranto. L’acciaio italiano ha accusato il colpo in primavera, ha riordinato le idee, si è riorganizzato in sicurezza e ha ripreso a combattere con determinazione e perseguendo tutte le occasioni che si presentavano in un mercato incerto e difficile.

Dopo il picco di discesa toccato nel 2020 ci si aspetta un 2021 di recupero. Alla luce del secondo lockdown, per quanto soft, si conferma l’ottimismo?

Il recupero è già iniziato dopo l’estate e il mercato prima tonico solo sui volumi, adesso inizia a recuperare anche in termini di prezzi di vendita. Temevamo che questo secondo lockdown bloccasse la domanda e invece non è andata così. Sicuramente l’esperienza vissuta nella prima fase pandemica ha aiutato tutti a essere più razionali e freddi. Ma soprattutto la svolta c’è stata con la notizia che a breve ci saranno i vaccini, una prospettiva che ha rilanciato un sentimento positivo perché si è incominciata a vedere la luce alla fine del tunnel. Quindi sono moderatamente ottimista. Credo potremmo avere un 2021 sicuramente migliore del 2020 ma ancora distante dai volumi e dalla redditività del 2018, uno degli anni più brillanti dopo la crisi del 2009.

Il 2021 sarà sì un anno di crescita, ma forse ancora lontano dai livelli pre-Covid. Su cosa le aziende siderurgiche dovranno puntare per accelerare il recupero?

Continuare ad investire in processi e prodotti, sostenibilità ambientale e qualità. Le nuove tecnologie e la digitalizzazione ci consentono di raggiungere livelli di efficienza impensabili sino a qualche anno fa. E poi la nuova cultura ambientale ha consentito di aprire grandi prospettive sia per quanto riguarda l’economia circolare con il riutilizzo dei sottoprodotti che per ciò che concerne i risparmi di energia, gas e acqua. Credo però che oltre a quello che fanno e faranno le singole aziende, dovremo essere in grado di rilanciare la capacità di portare avanti insieme grandi progetti e grandi obiettivi. La collaborazione fra imprese penso che sia un tema chiave da sviluppare sia in senso orizzontale, ovvero fra produttori e/o trasformatori, che in senso verticale come filiera. Con Interconnector abbiamo dato la dimostrazione che insieme possiamo fare grandi cose. All’orizzonte ci sono criticità che, se verranno affrontate insieme, potranno diventare opportunità: mi riferisco sia allo sviluppo di PPA per favorire la crescita di produzione di energia da fonti rinnovabili, ma anche alla possibilità di dare risposte comuni alla crescente domanda di materie prime di qualità come l’HBI.

Quali invece i rischi all’orizzonte?

Il rischio vero, che non ci deve fare dormire di notte, è quello che il nostro Paese non riesca a cogliere la grandissima occasione che si sta prospettando con il Recovery Fund. Abbiamo la possibilità di avviare un grandioso rilancio andando ad attuare riforme ed investimenti che attendiamo da anni. Ci sono le competenze e le intelligenze che possono veramente generare una svolta sempre che la regia del Governo sia efficiente, sapiente e determinata. Se si dedica più tempo ai giochini di potere che ai contenuti, se prolificano le task force e i comitati, se si cede alla tentazione di mancette dal sapore elettoralistico perderemo il treno più importante che sta passando dai tempi del piano Marshall.

L’acciaio italiano è ancora con il fiato sospeso sulla vicenda ex-Ilva. Ritiene che dopo tanta attesa il 2021 sarà l’anno del cambio di passo anche per Taranto?

Dagli eventi delle ultime settimane sembra che si stiano realizzando i presupposti per arrivare ad una vera e propria svolta. Il ritorno del pubblico è stato oggetto di polemiche e discussioni. Da parte nostra, come Federacciai, c’è la consapevolezza che ci sono momenti in cui se l’effetto combinato di perdite e investimenti per il rilancio di asset strategici sono insostenibili per un investitore privato, l’investimento pubblico è necessario. E questo vale soprattutto se gli obiettivi di sostenibilità dati sono così ambiziosi da andare nel breve verso tecnologie e soluzioni che vanno oltre gli attuali target europei di settore. Un accompagnamento dello Stato – come ad esempio il piano Obama per le case automobilistiche statunitensi nel 2009 – è possibile e necessario. Non uno Stato imprenditore ma uno Stato traghettatore che protegge il turnaround per poi rimettere sul mercato l’azienda. E comunque penso che il 2021 o è veramente l’anno della svolta o è la fine della siderurgia a Taranto. Dal 2012 fino all’arrivo dell’ArcelorMittal l’Ilva è stata abbandonata a se stessa con commissari, dirigenti e maestranze che hanno fatto i salti mortali per tenerla in piedi. Ma una qualsiasi azienda siderurgica è come un’automobile, se non riceve le manutenzioni adeguate prima o poi collassa.

 

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