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UE: un gigante in difficoltà

Negli ultimi 20 anni si erode il ruolo della siderurgia europea

C’era una volta un gigante. Potrebbe iniziare così il racconto dell’evoluzione dell’industria siderurgica europea negli ultimi 20 anni: un’area che da protagonista assoluta del comparto si sta lentamente trasformando in un comprimario, perdendo terreno anno dopo anno. Questo è ciò che emerge dall’analisi dei dati della produzione, del commercio estero e del consumo di acciaio dal 2000 ad oggi, un ventennio caratterizzato da un lento declino europeo. 

Produzione: persi quasi 40 milioni di tonnellate
Da quasi 200 milioni di tonnellate annue a poco più di 150. Questa la parabola della produzione siderurgica europea dal 2000 al 2020, un periodo all’interno del quale si possono individuare tre tendenze. La prima è quella espansiva: tra il 2000 ed il 2008 l’output continentale di acciaio è rimasto costantemente attorno ai 190-200 milioni di tonnellate, con la soglia dei 200 milioni che è stata varcata in tre occasioni: nel 2004 (202,478 milioni di tonnellate), nel 2006 (206,965) e nel 2007 (209,732, risultato record per la siderurgia continentale). Anche negli anni più complessi del periodo (come il 2001 o il 2002), l’output era molto vicino ai 190 milioni di tonnellate, un valore oggi inimmaginabile. Il primo momento di taglio con il passato è avvenuto nel 2009, con l’attività crollata a 138,779 milioni di tonnellate (-29,9% rispetto al 2008, -33,8% rispetto al 2007) a causa della grande crisi economica scaturita in seguito al default della Lehman Brothers. Negli anni successivi c’è stata uno un primo riposizionamento dell’industria siderurgica europea, che si è attestata su produzioni annue di 165-170 milioni di tonnellate per il periodo 2010-2018, con due sole eccezioni (2011 e 2012, leggermente superiori a questo livello), prima del calo del 2019 e della crisi pandemica del 2020, quando la produzione è scesa addirittura sotto al livello del 2009. Quindi, considerando il 2020 come anno anomalo, tra il 2000 ed il 2019 c’è stata una riduzione della produzione stimabile in circa 40 milioni di tonnellate, pari a circa il 19% del livello del 2000.
Se consideriamo invece la quota di mercato dell’UE sul totale mondiale, notiamo un trend molto più marcato: anche negli anni di tenuta o di incremento dell’output, la quota europea è sempre scesa, passando da un 22,8% nel 2000 al 7,4% del 2020, il che rende l’UE un player sempre meno “pesante”.

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Consumo: il calo c’è, ma è più contenuto
Anche sul versante del consumo la siderurgia europea nell’ultimo ventennio ha pagato dazio. Ma in misura inferiore rispetto alla produzione. Prendendo in considerazione i dati resi noti da World Steel Association si nota che dal 2000 al 2005 il consumo europeo è stato abbastanza costante attorno ai 165 milioni di tonnellate, per poi salire nel 2006-2008 fino ad un massimo di 200 milioni di tonnellate. Dopo la crisi del 2009, similmente alla produzione, la domanda si è riposizionata su un livello più basso: tra il 2010 e il 2016 i consumi sono oscillati tra i 140 ed i 158 milioni di tonnellate, prima di tornare sopra i 160 milioni di tonnellate nel biennio 2017-2018, quando si tornò allo stesso livello del 2000. Nel 2019 la crisi del mercato ha fatto scendere i consumi a 157 milioni di tonnellate, un livello comunque di solo il 6% inferiore al 2000 (contro il -19% della produzione), prima dell’anomalo 2020 quando il consumo è precipitato a 140 milioni di tonnellate, un valore comunque nettamente superiore a quello del 2009. 

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Commercio estero di acciaio: UE in deficit strutturale
Considerando il periodo 2010-2019 del commercio internazionale di acciaio, si nota che l’Unione Europea ha appesantito il proprio deficit. Mentre nel 2010-2011 le importazioni europee superavano le esportazioni di circa 2,5-3 milioni di tonnellate ed addirittura nel triennio 2012-2014 l’UE è stata esportatrice netta di acciaio, dal 2015 in poi le cose sono cambiate. Il deficit commerciale è cresciuto costantemente, sino ad arrivare a quasi 18 milioni di tonnellate nel 2018, quando è entrato in vigore il meccanismo di Salvaguardia che ha limitato lo sbilanciamento a 11 milioni di tonnellate nel 2019.
La crescita del deficit europeo è dovuta quasi esclusivamente alla perdita di competitività dell’export: mentre nel 2010-2014 la vendita all’estero di semilavorati a finiti in acciaio era stabilmente al di sopra delle 40 milioni di tonnellate annue, a partire dal 2016 ci si è stabilizzati attorno a quota 30 milioni. Le importazioni, che sono a loro volta scese, lo hanno fatto in misura più contenuta, portando all’incremento del deficit commerciale continentale, solo parzialmente arginato dalla restrizione alle importazioni in atto ormai da alcuni anni.

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Conclusione
Un gigante ferito. L’Unione Europea oggi trasmette questa immagine di sé stessa: un continente nel quale si sta assistendo ad una costante marcia indietro rispetto al resto del mondo, con un ruolo che va progressivamente riducendosi. Entrando nel dettaglio, colpisce che sia la parte produttiva quella a soffrire maggiormente, sia per il calo dell’attività avvenuto nel periodo sia per la minor competitività all’export, segmento nel quale l’UE è scesa ad una quota di mercato del 7% (contro il 12% del 2010). Sarà da questa consapevolezza che dovrà partire il comparto europeo, oggi alle prese anche con una non semplice transizione verso le zero emissioni.

 

L’analisi delle prospettive macroeconomiche, strategiche, geopolitiche (e siderurgiche) di UE, USA e Cina sarà il cuore del webinar «Geopolitica e mercati: il mondo tra Brexit, Biden e Xi», che vedrà la partecipazione di Francesco Costa (Il Post), Giuliano Noci (Politecnico di Milano), Carlo Muzzi (Giornale di Brescia) e Roberto Re (Metinvest Europe). Per maggiori informazioni e per iscriversi all’evento clicca qui.

 


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