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Trasporto marittimo: non è un ritorno alla “normalità”

L’analisi di Gian Enzo Duci, CEO di Esa Group, al webinar di siderweb

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I costi e i tempi di percorrenza e consegna, dopo gli incredibili aumenti dell’ultimo biennio che hanno messo in seria difficoltà la filiera siderurgica mondiale, si sono ormai assestati sui livelli pre-pandemia, con cali annuali fino al 70% per il bulk carrier e fino all’87% per i container. Ma il trasporto marittimo è davvero tornato alla normalità? La risposta è no secondo Gian Enzo Duci, amministratore delegato di Esa Group e docente di Economia marittima all’Università di Genova. «Non credo si possa parlare di “business as usual”, di un ritorno alla situazione pre-pandemica – ha detto nella propria analisi durante il webinar di siderweb “Logistica: tra mercato e rivoluzione green” –. Una volta che un settore industriale ha avuto l’esperienza di applicazione di una situazione difficile, che ha creato problemi, non potrà pensare che questa situazione non si possa ripetere. Va adottata una serie di contromisure per essere pronti e affrontarla in modo diverso da quanto fatto negli ultimi due anni». È, insomma, una sorta di “ritorno al futuro”.

Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina hanno cambiato tutto. «Non abbiamo più la disponibilità di determinati mercati, alcune produzioni si sono spostate: ciò ci chiama a gestire in modo diverso la catena di approvvigionamento e distribuzione. Ciò che abbiamo dato per scontato negli ultimi 50 anni, cioè il libero accesso ai mari, soprattutto dopo la caduta del muro Berlino, oggi ci lascia qualche perplessità – ha affermato Duci –. Il Mar Nero ne è un esempio. E ci sono timori che anche il Mar Cinese Meridionale possa avere qualche problema in prospettiva futura: pensate a quanto successo nel periodo di maggiore scontro tra Cina e Taiwan, quando il canale tra i due Paesi non era sostanzialmente percorribile dalle navi, pur essendo tra i più frequentati al mondo».

Lo shipping, poi, oggi «sembra essere al servizio di una globalizzazione diversa, con un maggior ruolo del “friendshoring”, con problemi maggiori nei collegamenti per l’accesso ai mari» e scambi complicati dal nuovo protezionismo, che ha creato una situazione completamente nuova e diversa.

Altra grande sfida del comparto è la decarbonizzazione. Ci sono stati nei giorni scorsi delle modifiche rispetto al quadro regolativo, con l’International Maritime Organization che ha variato il suo documento programmatico sulla decarbonizzazione, fissando l’obiettivo delle zero emissioni a “circa il 2050”. Ma, ha sottolineato Duci, «restano grosse incognite» e a oggi «non abbiamo le tecnologie per decarbonizzare il trasporto via mare nella misura che ci si è fissati».

Un punto non è in discussione: il costo dello shipping «sarà gravato da questo maggior onere, che sarà nella misura del 40% nel 2025, del 70% nel 2026 e del 100% nel 2027 in funzione della riduzione delle emissioni di CO2, CH4 e N20. Gli armatori – ha spiegato ancora – saranno chiamati ad andare più piano, proprio in funzione della riduzione delle emissioni, per le quali saranno chiamati a pagare», nell’ambito dell’ETS europeo. Questa combinazione avrà due conseguenze: «Il trasporto via mare costerà di più anche di fronte a un mercato che oggi sembra aver trovato un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, molto simile alla fase pre-pandemica e pre-guerra in Ucraina. Un maggior costo che probabilmente non sarà quello toccato nel 2021 e 2022, ma che sicuramente non potrà essere quello dei giorni attuali».


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