29 luglio 2020
Premetto che non sono un appassionato di auto in senso classico. Non sono ovviamente indifferente a una bella automobile, mi piace, mi entusiasma guidarla, ma è un piacere che dura poco. Non sono neppure un esperto del settore automobilistico, non posso dare consigli su modelli, motorizzazioni, piattaforme.
Sono però esperto e appassionato di digitale e sono convinto, come ne ho scritto qualche tempo fa, che il futuro della mobilità, di cui l’automobile è una componente fondamentale, passi dal digitale.
Che il software sia fondamentale nel far funzionare un’auto moderna ormai ne siamo più o meno tutti convinti. Quando abbiamo problemi con il nostro mezzo e andiamo dal meccanico non troviamo più il "mago dei motori" che ascolta rumori e rumorini, accelera, guarda, fa un giretto e poi emette un responso. C’è invece qualcuno che attacca un computer ad una presa all’interno dell’auto e legge una serie di informazioni che il software dell’auto trasmette. Ma non vorrei neppure parlare di questo.
Vediamo allora di cosa si tratta.
Qualche giorno fa, in un blog che parlava di tecnologia digitale e di cybersecurity, ho letto una notizia interessante che parlava di automobili. No, non si trattava di come craccare il sistema di allarme dell’auto e farla partire con una "scatolina magica". Ho letto invece di un signore americano che ha scoperto come modificare il software che governa le auto della Tesla (nello specifico la Model 3) e offre a pagamento questo servizio. Grande scoperta direte, sono anni che gli appassionati più audaci e sperimentatori modificano le centraline delle loro auto, in barba all’omologazione, per spremere qualche cavallo, vero o presunto, alla meccanica della propria automobile.
Ciò che mi ha colpito è altro. L’"elaborazione" dell’auto non consisteva solo nella possibilità di estrarre un po’ di potenza in più magari mettendo a repentaglio la meccanica dell’auto. No, l’elaborazione rendeva possibile aumentarne l’autonomia a parità di prestazioni, in pratica rendendola identica alle versioni superiori normalmente in vendita. Le Model 3 sono vendute in alcuni modelli che si differenziano fondamentalmente per prestazioni e autonomia, oltre che ovviamente per costo. Ma se alcune caratteristiche si possono tranquillamente modificare, significa che le auto che vengono prodotte sono sostanzialmente uguali. Diventano diverse, con un prezzo diverso, a seconda di cosa è disposto a pagare il cliente.
Ma allora, mi sono detto, forse l’idea "disruptive" di Elon Musk non è stata produrre l’auto elettrica: agli albori della storia dell’automobile infatti l’auto elettrica già esisteva e aveva delle quote di mercato che nel 2020 ancora ci sogniamo. E non è stata neppure inventare la guida autonoma, che per oggettivi e persistenti problemi di performance dei processori e dell’elettronica non può essere in realtà molto di più di un’ottima guida assistita e dunque poco più che un ottimo argomento di marketing (vi siete accorti che non è più su questo che Tesla sta caratterizzando la pubblicità?).
L’idea geniale è molto meno tecnologica: aver trovato il sistema di risolvere il dilemma della produzione di massa di beni, costretta a convivere con la necessità di saturare la capacità degli impianti e generare profitti. Produrre solo auto costose significa margini sul singolo veicolo, ma difficoltà a coprire i costi fissi perché la produzione non può esprimere numeri elevati. Fare solo utilitarie significa invece numeri più elevati, ma prezzi più contenuti e margini sul singolo pezzo ridotti. La differenziazione richiede o due linee o due varianti sulla stessa linea con problemi di pianificazione della produzione e di approvvigionamento di componenti che rendono le due auto diverse.
Il software ha invece consentito di avere il prodotto base, venduto al prezzo appetibile (modello entry) e il prodotto premium venduto con margini più alti, prodotti nello stesso identico ciclo. Il software li rende poi diversi. Il numero elevato di modelli a prezzo basso consente di far lavorare le linee a pieno regime perché venduto a più consumatori, e il modello premium, che ha un costo di produzione analogo consente di guadagni consistenti.
A dire il vero l’idea non è nuovissima: all’alba della mia carriera nel digitale iniziata installando, a metà degli anni ’80, degli ingombranti sistemi con terminali collegati (si chiamavano minicomputer ma avevano la dimensione di un frigo a due ante o giù di lì), ricordo che esisteva uno di questi in due versioni che avevano un prezzo che differiva di diversi milioni di lire. Uno aveva una capacità di memorizzazione di 42 Mb (non ho sbagliato, erano due dischi da 21 megabyte) e uno da 66 Mb. Erano lo stesso sistema, da software si poteva abilitare l’uso dello spazio aggiuntivo pagando un prezzo per il servizio “premium”. Da giovane tecnico pensavo che fosse una fregatura che si faceva all’acquirente. In realtà no, si stava vendendo esattamente ciò che serviva al prezzo che per il cliente e il mercato era giusto.
Tesla sta facendo lo stesso su vasta scala. È ovvio che non è tutto così semplice, c’è molto altro da fare perché il modello abbia successo, non ultimo il fatto che un modello entry che si può trasformare in premium si deve poter vendere ad un prezzo un po’ più alto di un modello base.
Nel mio settore da anni si sente dire la frase "software is everything". È giustamente roboante e definitiva come devono essere tutti i motti. Ho sempre condiviso il contenuto, magari non espresso in maniera così perentoria, ma me lo sono sempre immaginato confinato al digitale e ambienti contigui.
E invece no, "software is everything" è anche un modello economico buono anche per il manifatturiero tradizionale. Bastano, e non è poco, un pizzico di genialità, una visione manageriale ampia, il coraggio di innovare.
di Giancarlo Gervasoni
VP Sales, Marketing, R&D, Purchasing
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