12 marzo 2019
MILANO – I fatturati sono aumentati e così le esportazioni, ma l’occupazione è diminuita ed è leggermente peggiorato l’indice di sostenibilità dei debiti finanziari, in particolare in Lombardia. Stando alla terza edizione dell’Osservatorio lombardo della mobilità, basato sui risultati di bilancio 2017, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna restano comunque campioni della filiera automotive nazionale. Risultati che sono stati presentati durante il convegno "Le sfide per la filiera lombarda della mobilità – La proposta del Cluster lombardo", organizzato nel pomeriggio di ieri dal Cluster lombardo della mobilità al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.
I numeri dell'automotive
Il campione preso in esame da Giuseppe Calabrese, del Cnr-Ircres (Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Consiglio nazionale delle ricerche), comprende 1.612 imprese automotive (592 in Lombardia, 791 in Piemonte, 229 in Emilia-Romagna), in diminuzione dell’8,9% rispetto al 2008.
Quanto al fatturato, in Lombardia è aumentato del 6,6% nel 2017 rispetto all’anno precedente, del 6,7% in Piemonte e del 9,7% in Emilia-Romagna. Più marcata è stata la crescita della porzione generata all’estero. Il Roi è aumentato in tutte e tre le regioni, in particolare in Lombardia (+7,7%), un valore che «non si vedeva da molto tempo» ha specificato Calabrese. Ma il 6,9% delle imprese è risultato avere Mol negativo.
L’occupazione nel 2017 è cresciuta in termini congiunturali, ma è calata in modo sensibile se si prende come riferimento il 2008 (-7,4% in Lombardia, -12,3% in Piemonte e -0,4% in Emilia-Romagna).
Le previsioni per il 2019
In Italia, la diminuzione della produzione di auto è iniziata a novembre 2017. In Germania, la produzione di automobili è in caduta a due cifre da novembre 2018; anno che si è chiuso con un calo tendenziale del 9%, sia per la produzione che per l’export. In Uk, infine, l’output di auto è in contrazione da giugno 2018. In questo contesto, «cali produttivi significativi nel settore auto renderebbero difficili gli investimenti previsti nello sviluppo di powertrain più puliti, così come imposti dal legislatore europeo» ha affermato Marisa Saglietto di Anfia, l’Associazione nazionale filiera automotive.
Tanto più che quest’anno, ha spiegato, persistono tutti i fattori perturbanti del 2018: l’aumento sostenuto della volatilità sui mercati; una possibile Brexit "no deal"; una crisi di fiducia delle imprese e l’incertezza del quadro politico in Italia; le elezioni europee di maggio. A questi vanno aggiunti il timore di possibili dazi sull’export di auto e componenti in USA e «l’imposizione di un quadro normativo e regolatorio in Ue che ha fissato obiettivi di riduzione delle emissioni molto ambizioni entro il 2030 per autovetture, furgoni e camion».
«La riduzione del 37,5% delle emissioni di CO2 delle auto e del 31% dei furgoni entro il 2030, con un target intermedio di un calo del 15% al 2025 rispetto ai valori del 2021 – ha spiegato Saglietto – risulta totalmente irrealistica sulla base della situazione attuale», perché questi obiettivi «non tengono conto delle realtà tecnologiche e socio-economiche e spingono verso una sola direzione: l’elettromobilità, anziché rifarsi al principio della neutralità tecnologica, sancito dalla direttiva Dafi (Deployment of Alternative Fuels Infrastructure, sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi, ndr)». Un approccio più adeguato, secondo Saglietto, sarebbe quello di «guardare all’intera flotta di veicoli, che in Italia ha una media di 11 anni».
Elisa Bonomelli
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