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Il 4.0 visto dagli impiantisti

Giacomo Mareschi Danieli evidenzia le qualità delle imprese del futuro commentando il piano Calenda-Bentivogli

Prosegue con l’intervista a Giacomo Mareschi Danieli, amministratore dell’omonimo gruppo industriale tra i leader mondiali dell'impiantistica, il ciclo di commenti alla proposta «Piano industriale per l’Italia delle competenze» scritta dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e dal segretario generale della Uilm Marco Bentivogli.

Una proposta su cui si è già espresso Antonio Marcegaglia, presidente del gruppo siderurgico mantovano e sulla quale Gianfranco Tosini, membro dell'Ufficio Studi di Siderweb aveva dedicato un approfondimento.

 

La rivoluzione digitale non solo ha generato posizioni professionali semplicemente inesistenti solo qualche anno fa, ma rende imprevedibile la previsione di come evolverà l’occupazione nel prossimo futuro. L’Italia paga alcuni ritardi nell’istruzione della propria forza lavoro, come il livello inferiore di competenze digitali e la scarsa partecipazione dei lavoratori a corsi di formazione.
Come Danieli rappresentate un osservatorio privilegiato sulla creazione e applicazione nelle aziende delle nuove tecnologie, riscontrate anche nella vostra operatività le difficoltà rimarcate dal piano? Quali sono le principali caratteristiche che ricercate nel personale oggi e che, con ogni probabilità, ricercherete ancora di più in futuro? È d’accordo sulla creazione del “diritto alla formazione” del lavoratore e della definizione della stessa come contenuto contrattuale come proposto dal piano del ministro e del segretario?

È indubbio che questa nuova evoluzione digitale stia creando delle possibilità nuove e come azienda che vuole essere “a step ahead” non possiamo ignorarla. Da oramai due anni stiamo investendo per estrarre valore per i nostri clienti da questo nuovo modo di vedere l’industria, prima raccogliendo le soluzioni che già erano presenti poi ultimamente cercando di raggruppare tutto sotto una unica visione di 4.0.

La difficoltà maggiore che stiamo riscontrando non sta tanto nel trovare persone che abbiano le competenze adeguate, ma trovarne che abbiano la visione adeguata. Mi spiego: softweristi, modellisti, tecnici di processo ce ne sono, manca però qualcuno che abbia la percezione che tutti questi aspetti debbano essere integrati e sviluppati come un’unica disciplina. Poca gente riesce a comprendere veramente il 4.0 e quindi conseguentemente a svilupparlo. Per quanto riguarda la formazione, parlare di diritto alla formazione mi sembra antistorico. Se una azienda non forma, infatti, i propri collaboratori non ha futuro, e in ottica di liberalizzazione (o per così dire di non - protezionismo) sovraccaricare le aziende di doveri di fronte a un mercato globale e mondiale, non mi sembra produttivo.

Il piano Calenda si fonda sul fatto che la politica industriale la fanno le aziende. Lasciamo pertanto alle aziende anche la decisione di come essere competitive nel mercato. Una azienda che non forma i propri collaboratori non sarà competitiva nel lungo termine e quindi non potrà sopravvivere.

 

Scarsa internazionalizzazione e dimensioni inferiori delle imprese, differenze tra classi d’impresa e performance territoriali, condizioni concorrenziali peggiori rispetto ai competitor europei (costi dell’energia e connettività), mercato del lavoro centralizzato con condizioni salariali lontane dal contesto competitivo delle singole imprese: queste le leve sulle quali agire per innalzare la competitività delle nostre aziende secondo il documento. È d’accordo o crede che manchino alcuni elementi sui quali la politica dovrebbe impegnarsi a sostegno della siderurgia nazionale?

Ritengo che i temi citati nel documento siano più che sufficienti. Come evidenziato nella risposta precedente ipotizziamo che le aziende debbano essere fautrici della propria competitività? Allora aiutiamole dove oggi sono svantaggiate rispetto al mondo nel quale devono competere. Se devo pensare a una priorità in ottica 4.0 la connettività è assolutamente fondamentale. Investimenti che porteranno nei prossimi anni ad avere una rete stabile, veloce e ben dimensionata sono fondamentali. Non voglio ovviamente sminuire costi energia, costo lavoro ecc, ma ritengo che questo sia un nodo cruciale che non può essere sottovalutato.

 

Quanto ritiene che la ripresa degli investimenti sia legata al piano Calenda Impresa 4.0? Su quali leve, a suo avviso, è opportuno insistere per imprimere un significativo aumento degli investimenti?

L’economia mondiale si è ripresa molto bene. Viviamo oggi un boom forse inatteso alcuni anni fa e che valuterà la qualità del lavoro fatto durante la crisi in termini di miglioramento dell’efficienza aziendale. Non credo che un piano nazionale possa aver influito sulla tempistica della ripresa, sicuramente influenza e influenzerà la qualità e la durata del recupero. Intendo pertanto che l'iniziativa governativa riuscirà a supportare le aziende nel poter cogliere le opportunità che potranno nascere nel corso di questo nuovo ciclo di crescita.

 

Su quali sviluppi tecnologici si sta orientando il settore siderurgico italiano?

Grazie alla ripresa ciclica chiunque produce acciaio ha ripreso a macinare utili. Questo rilancerà fortemente, e lo stiamo già vedendo, gli investimenti. Veniamo da un periodo di crisi pesante e praticamente ogni azienda ha convogliato la maggior parte delle risorse finanziarie disponibili sull’ottimizzazione dei costi.

Ora il cambio di trend economico porta ad orientarsi nuovamente sugli investimenti industriali rivolte alle capacità, che tornano prepotentemente nei piani dei maggiori player mondiali, ovviamente accompagnati da sostenibilità e competitività. Credo che in questo contesto saranno vincenti le tecnologie che riusciranno a unire queste caratteristiche.

Penso in maniera particolare ai nostri MIDA (micromill Danieli): impianti regionali perfetti per usare al meglio le risorse locali come materie prime e competenze del personale, per migliorare la propria presenza sul mercato regionale di riferimento. L’utilizzo a piena capacità di impianti più piccoli permette di guadagnare un significativo delta logistico rispetto ai grandi gruppi integrati.

Inoltre proprio la flessibilità di questo tipo di produzioni sarà premiante grazie a tempi di consegna brevi, piccoli lotti, qualità tailor made per l’utilizzatore e l’utilizzo finale. Il 4.0 ovviamente farà in modo che tutti questi impianti siano più efficienti, più produttivi e più sostenibili.

 

Secondo la proposta, i Contratti nazionali dovranno ridursi nel numero e rappresentare una “cornice di garanzia”. A ciò dovrà essere accostata la creazione di contratti sempre più tagliati su misura dei settori in cui devono essere adottati, sugli specifici settori anche in chiave territoriale. Crede che possa rappresentare un valore anche per il comparto siderurgico?

Il concetto potrebbe sembrare buono, ma il successo o meno di questa nuova proposta dipenderà in maniera particolare dai rappresentanti dei lavoratori che sono la nostra controparte. In particolare dalla capacità/volontà di vedere la competitività aziendale che nasce da eventuali rinunce come un bene comune da salvaguardare e non esclusivamente come la privazione fine a sè stessa.

 

La Strategia Energetica Nazionale stabilisce che nel medio periodo avvengano notevoli mutamenti, così come l’abbandono del carbone entro il 2025 e l’80% di 175 miliardi di investimento complessivi entro il 2030 rivolti ad energie rinnovabili. Inoltre è previsto l’allineamento delle aziende gasivore a quelle energivore (costi del gas sui livelli di quelli del Nord Europa). Crede che rappresentino iniziative sufficienti in questo contesto?

Sicuramente sì. Sono stati compiuti notevoli passi avanti in questa direzione rispetto ai limiti visti in passato. Credo però che al momento sia ancora troppo presto per poter dire senza ombra di dubbio se il compromesso raggiunto sia sufficiente. Lo scenario mondiale ci ha abituato anche a sensibili cambiamenti in tempi relativamente brevi. Bisognerà riuscire a mantenere flessibile il sistema in maniera da potersi adeguare ad eventuali mutamenti.

 

La politica commerciale italiana, inserita in quella europea, è attualmente basata su accordi di libero scambio e sulla ricerca di regole condivise per un commercio più equo (vedi questione Mes alla Cina). Calenda e Bentivogli propongono di inserire negli accordi di libero scambio anche i principi di sostenibilità ambientale e sociale e di incentivare investimenti diretti esteri tutelando, al contempo, il know how nazionale strategico da operazioni predatorie. È d’accordo e ritiene che siano obiettivi che, se raggiunti, siano utili o sufficienti ad aumentare la competitività su scala globale delle nostre imprese?

Sicuramente questa è una proposta che appare equilibrata. L’unico rischio è che si basa sul presupposto che tutte le nostre aziende siano sostenibili ambientalmente e socialmente, temi su cui credo vi siano anche in Italia realtà che necessitino di sensibili cambiamenti su questi temi. Certamente la proposta è buona e virtuosa.

 


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