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La siderurgia maestra di rivoluzione digitale

Antonio Marcegaglia commenta il piano Calenda-Bentivogli: «L'Italia non è messa male, ma non dobbiamo rallentare»

Avviamo con l’intervista ad Antonio Marcegaglia, presidente e Ad dell’omonimo gruppo siderurgico, il ciclo di interventi di commento alla proposta «Piano industriale per l’Italia delle competenze» sottoscritta dal Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e dal segretario generale della Uilm Marco Bentivogli, a cui l’Ufficio Studi di Siderweb ha già dedicato un approfondimento.

 

 

Uno dei temi principali del documento Calenda-Bentivogli è rappresentato dalla rivoluzione digitale. Secondo lei a che punto è il settore siderurgico? In questa prospettiva quali sono le principali caratteristiche che ricercate nel personale oggi e che, con ogni probabilità, ricercherete ancora di più in futuro? È d’accordo sulla creazione del “diritto alla formazione” del lavoratore e della definizione della stessa come contenuto contrattuale come proposto dal piano del ministro e del segretario?

Per quanto riguarda l’industria siderurgica credo che in tema di “rivoluzione digitale” si siano già fatti molti passi in avanti, dal momento che la crescente competizione globale ci ha spinto di accelerare i tempi per non perdere competitività con i player esteri.
In termini di operation ritengo che si potrebbe recuperare qualche ulteriore punto in efficienza, ma non si tratta di interventi significativi. Allo stesso tempo penso che in termini di posti di lavoro sia già stato superato il punto di maggior criticità e si andrà verso un ricambio che definirei fisiologico.

Diverso è invece il tema delle qualità richieste al personale. Già oggi abbiamo bisogno di personale con competenze sempre crescenti, tanto da qualificare i nostri operatori quasi al pari di “colletti bianchi” per il tipo di preparazione e di skills necessari per poter gestire il grado di automazione raggiunto dai nostri impianti. Per il comparto siderurgico ritengo pertanto che il futuro incarnerà piuttosto una prosecuzione di un processo già abbondantemente avviato.

Dal punto di vista occupazionale ritengo che a subire il maggior impatto della digitalizzazione saranno i white collar meno qualificati o deputati allo svolgimento di operazioni a basso valore aggiunto. Questo perché, al contrario, saranno sempre più richieste capacità nel problem solving volte alla crescita dell’azienda.

Il mondo, infatti, gira sempre più velocemente e con esso le imprese dovranno attrezzarsi con strumenti e menti in grado adeguarsi a questo nuovo ritmo. A ciò risultano pertanto utili iniziative di formazione e riqualificazione e ritengo che la soluzione migliore sia quella di non proporre moduli pre-definiti, ma lasciare la libertà all’impresa o a gruppi di imprese di disegnarli su misura a fronte di incentivi fiscali o decontribuzioni sulla base dei progetti presentati.

In Marcegaglia abbiamo già avviato negli scorsi anni un progetto di formazione in collaborazione con l’università Luiss dedicato al top ed al middle management. Non nascondo di avere in animo di poter estendere questa iniziativa e dare vita a quello che mi piacerebbe potesse diventare una vera e propria Marcegaglia Academy.

 

 

In passato vi sono state zavorre alla competitività della imprese quali costi dell’energia, costo del lavoro, dimensione delle imprese, temi posti alla base del documento per il rilancio del comparto manifatturiero. È d’accordo con la scelta o crede che manchino alcuni elementi sui quali la politica dovrebbe impegnarsi a sostegno della siderurgia nazionale?

Se analizziamo la competitività delle aziende italiane, non possiamo dire di essere messi male. Negli ultimi anni sul fronte dell’energia si è fatto molto, ad esempio con iniziative come interrompibilità ed interconnector. Anche il costo del lavoro nel nostro Paese, se rapportato alla produttività, ritengo sia adeguato, a patto che si utilizzino come termini di paragone Paesi simili al nostro.

È chiaro che un medio - piccolo operatore sconti non tanto il prezzo dell’energia, ma i cosiddetti oneri indeducibili dovuti a quanto stabilito in passato relativamente allo sviluppo di fonti di energia rinovabile. Passando invece al mercato del lavoro, considero riforma Fornero e Jobs Act evoluzioni rispetto al passato. Sono stati compiuti dei passi importanti nella giusta direzione che spero non evidenzino retromarce dopo le prossime elezioni. Sarebbe un errore in quanto ritengo che un mercato del lavoro più libero vada a beneficio dell’economia e quindi dell’occupazione stessa.

 

 

Quanto ritiene che la ripresa degli investimenti sia legata al piano Calenda Impresa 4.0? Su quali leve, a suo avviso, è opportuno insistere per imprimere un significativo aumento degli investimenti?

La ripresa del ciclo di investimenti è collegata al ciclo di ripresa economica generale. Sicuramente le proposte di incentivazione sono state tempestive e hanno il merito di aver portato ad accelerare un processo che si era già messo in moto.

Molto ha contato anche l’entità degli incentivi fiscali proposti. Ovviamente è un'iniziativa che deve essere riproposta dal momento che, per propria natura, il ciclo degli investimenti ha una durata piuttosto lunga. Soprattutto ora che vi sono le condizioni di contorno dell’economia, in quanto un imprenditore, senza un contesto positivo, non investe, indipendentemente dalla presenza di incentivi.

Anzi si deve diffidare di coloro che investono solo perché vi è il beneficio fiscale, ma lo fanno privi di una strategia di fondo. Va dato atto all’attuale Governo italiano di aver posto in essere iniziative importanti e di averle propiziate in anticipo rispetto ad altri Stati europei come la Francia e ciò è molto positivo.

 

 

Secondo la proposta, i “Contratti nazionali” dovranno ridursi nel numero e rappresentare una “cornice di garanzia”. A ciò dovrà essere accostata la creazione di contratti sempre più tagliati su misura dei settori in cui devono essere adottati, sugli specifici comparti anche in chiave territoriale. Crede che possa rappresentare un valore anche per la siderurgia?

Sicuramente anche per il nostro settore ritengo siano criteri sani quelli di un maggior orientamento all’utilizzo di contratti aziendali e della variabilizzazione e condivisione dei risultati, privilegiabili rispetto alla scelta di avere contrattualistiche centralizzate.

 

 

La Strategia Energetica Nazionale stabilisce che nel medio periodo avvengano notevoli mutamenti, così come l’abbandono del carbone entro il 2025 e l’80% di 175 miliardi di investimento complessivi entro il 2030 rivolti ad energie rinnovabili. Inoltre è previsto l’allineamento delle aziende gasivore a quelle energivore (costi del gas sui livelli di quelli del Nord Europa). Crede che rappresentino iniziative sufficienti in questo contesto?

L’Italia sul fronte delle rinnovabili è già piuttosto avanti, anche se purtroppo la curva di sviluppo generata a seguito degli incentivi statali si è trasformata in un onere per tutti noi. Ovviamente ritengo molto importante anche l’orientamento all’innovazione, un fronte su cui i grandi gruppi energetici nazionali come Enel e Eni sono al lavoro. In termini di politica nazionale invece non vedo dei punti critici: è chiaro che un allineamento del supporto della aziende gasivore a quelle energivore potrebbe essere un passaggio importante.

 

 

La politica commerciale italiana, inserita in quella europea, è attualmente basata su accordi di libero scambio e sulla ricerca di regole condivise per un commercio più equo (vedi questione Mes alla Cina). Calenda e Bentivogli propongono di inserire negli accordi di libero scambio anche i principi di sostenibilità ambientale e sociale e di incentivare investimenti diretti esteri tutelando, al contempo, il know how nazionale strategico da operazioni predatorie. È d’accordo?

Sul tema del commercio internazionale ritengo che sia ormai condiviso l’approccio di essere a favore del Free Trade e Fair Trade. L’idea di correggere delle distorsioni commerciali anche legate alla nuova interpretazione della politica dei dazi legandole a disuguaglianze sociali e ad ogni forma di sussidio diretto e indiretto sono anomalie da eliminare.

Non credo però che nel medio e lungo termine un protezionismo spinto come quello americano o quello che potenzialmente potrebbe diventare anche quello europeo, possa creare vantaggi alle imprese. L’impresa competitiva deve poter stare sul mercato globale e poter agire su leve diverse da quelle, ad esempio, di aziende cinesi o di un Paese comunque con costi più bassi. Bisogna però tener presente che alcune distorsioni sono destinate a correggesi in maniera autonoma. Basti pensare che, ad esempio, in Cina e Polonia il costo del lavoro ha un incremento compreso tra il 10% e il 12 % annuo e questo proprio grazie al mercato.

Io sono pertanto per il libero mercato perché non si migliora la competitività delle aziende chiudendo i confini, ma, al contrario, ciò rischia di lasciare spazio alle aziende inefficienti. Forse tra Free trade e Fair trade l’enfasi dovrebbe essere posta sull’aspetto free, con la consapevolezza che le distorsioni vadano corrette. Anche se a volte vi sono casi in cui è facile che si possa passare da un eccesso all’altro e credo che il caso dei coils a caldo sia emblematico.

 

 

Il piano suggerisce il rifinanziamento di Nuovi Contratti di Sviluppo, l’accelerazione degli iter previsti da bonifiche e interventi infrastrutturali e la possibilità di potenziare soluzioni eccezionali in aree di crisi complessa. Crede che manchi qualcosa?

Ribadisco la centralità dello sviluppo delle competenze, tema sul quale ritengo sia necessario convogliare tutti gli sforzi possibili. Misure paracadute come ad esempio il reddito di cittadinanza non credo siano la risposta giusta alle sfide. Tutti i Paesi occidentali sono in una fase di invecchiamento e ridimensionamento della forza lavoro, per cui nel medio - lungo termine potremmo rischiare addirittura di trovarci in una condizione paradossale di carenza di forza lavoro, soprattutto per alcune attività.

Ciò che l’industria e il mondo del lavoro devono riuscire a fare è raggiungere un innalzamento delle competenze come risposta ad eventuali future crisi. È chiaro che misure di supporto debbano essere presenti, ma come soluzioni temporanee e non infinite nella durata. Devono essere degli accompagnamenti verso nuovi percorsi. Sono comunque le imprese a riuscire attraverso nuove proposte ad introdurre nuovi elementi. E questo non dimenticando che Germania, Italia e Francia sul fronte europeo rappresentano l’80 della manifattura continentale.


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