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Piano industriale Calenda - Bentivogli

Le proposte di politica industriale per l’Italia del dopo-elezioni analizzate da Gianfranco Tosini

Nel solco di una campagna elettorale che si concentra sulle promesse e sui personalismi, la proposta di un «Piano industriale per l’Italia delle competenze», formulata dal Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e dal segretario nazionale della FIM-CISL Marco Bentivogli, rappresenta un utile contributo al dibattito sulle politiche di sviluppo per i prossimi anni, per almeno quattro ordini di motivi:

  1. l’Italia deve uscire il più presto possibile da un sistema scolastico e industriale a bassa qualificazione;
  2. oggi troppi laureati sono impiegati in lavori di routine sottopagati;
  3. per uscire dallo stallo bisogna riqualificare il lavoro stimolando le imprese ad aumentare l’utilizzo delle tecnologie digitali e a creare occupazione d’alto profilo;
  4. nel medio termine, l’Italia deve puntare a costruire un modello industriale ad alta qualità.


Gli squilibri dell’economia e del mercato del lavoro

Il documento pone giustamente al centro dell’attenzione il nesso tra tecnologia e competenze. I cambiamenti tecnologici infatti impongono un adeguamento del know how dei lavoratori e delle persone in generale. Il rischio di disoccupazione tecnologica in effetti non discende tanto dalla semplice introduzione di robot o di macchine automatizzate, ma dal fatto che le conoscenze dei lavoratori non siano adeguate rispetto alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

È giusto quindi pensare che le moderne politiche industriali non debbano tanto selezionare settori o campioni nazionali, semmai creare le condizioni ideali affinché, nel breve termine, l’industria esistente possa modernizzarsi ed accrescere la propria competitività; nel medio termine, possano emergere nuove iniziative più vicine alla frontiera tecnologica, con prodotti, servizi e soluzioni innovative.

In pratica, la sfida dei prossimi anni è quella di passare ad un nuovo sentiero di crescita che faccia leva sulle tecnologie digitali e su skill elevati. L’Italia invece è intrappolata da anni in un «equilibrio a bassa qualificazione». In un recente Rapporto sull’Italia, l’OCSE lo ha definito low skill equilibrium.

Non solo ci sono pochi laureati sulla popolazione adulta ma, anche concentrandosi sulle classi di età più giovani, la quota di laureati è, in Italia, piuttosto bassa. Nella fascia di età tra 25 e 34 anni la quota di laureati è pari al 20%, contro una media OCSE del 30% e valori oltre il 40% in molti Paesi nostri concorrenti. Ci sono oggi in Italia 13 milioni di adulti con skill di base bassi; si tratta soprattutto di persone mature, che lavorano nelle piccole imprese e di immigrati. A fronte di questo, solo il 14% degli adulti a bassa qualificazione partecipa a qualche tipo di formazione per adulti. Milioni di questi adulti lavoreranno ancora per alcuni decenni e dovranno fronteggiare le sfide della crescente digitalizzazione e complessità del lavoro.

L’Italia è l’unico Paese membro del G7 nel quale la maggior parte dei lavoratori con qualificazione universitaria o equivalente è impiegata in lavori di routine (con funzioni che possono essere raggiunte seguendo una serie di regole specifiche e ben definite), mentre negli altri Paesi del G7 la gran parte dei laureati è impiegata in occupazioni non di routine (con funzioni che richiedono attività complesse e creative).

Questo significa che in Italia la domanda di lavoro ad alta qualificazione è bassa. La nostra economia è in effetti intrappolata in un equilibrio nel quale, da un lato, è bassa la quantità di laureati e di tecnici qualificati, ma dall’altro è bassa anche la domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese e delle varie organizzazioni. Questo spiega la fuga di cervelli in corso da anni.

Un equilibrio a bassa qualificazione significa che troppe imprese si concentrano su forme di innovazione marginale, che consentono soprattutto risparmi di costo, ma che nel medio termine non sono sufficienti per mantenere la competitività sui mercati.

 

La azioni del Piano

Il «Piano industriale per l’Italia delle competenze» rappresenta, di fatto, la fase 2 di Industria 4.0, il provvedimento voluto dallo stesso ministro Calenda nel settembre 2016 e già in parte implementato con le leggi di bilancio del 2017 e del 2018 e si impernia su sei priorità e azioni.

1.Impresa 4.0: confermando l’impostazione generale del Piano nazionale Impresa 4.0, per gli anni a venire bisognerà procedere lungo due direzioni. Da un lato occorrerà rifinanziare per il 2019 il Fondo Centrale di Garanzia per 2 miliardi di euro, in modo da garantire circa 50 miliardi di crediti finalizzati agli investimenti delle PMI. Dall’altro occorrerà sostenere l’investimento privato per l’acquisizione e lo sviluppo di competenze 4.0.
In concreto: dovranno essere stanziati 400 milioni di euro aggiuntivi all’anno da destinare agli istituti tecnici superiori con l’obiettivo di raggiungere almeno 100mila studenti iscritti entro il 2020; i Competence Center dovranno essere rafforzati al fine di costruire una vera rete nazionale, per lo sviluppo ed il trasferimento di competenze digitali e ad alta specializzazione; dovrà essere reso strutturale lo strumento del credito d’imposta alla formazione 4.0.

2. Lavoro 4.0:
va incoraggiato un vero decentramento contrattuale - sia per rispondere ad una produzione che sarà sempre più «sartoriale» sia per implementare programmi condivisi di miglioramento della produttività - a livello territoriale, di sito e di rete. Questo processo, unitamente ai nuovi contenuti della contrattazione (welfare, formazione, orari, flessibilità attive) possono rappresentare il nuovo «patto di fabbrica» in grado di centrare la sfida della produttività e dell’innovazione a partire dalle PMI per le quali la contrattazione territoriale può diventare una risorsa fondamentale.

3. Energia: la strategia energetica nazionale deve puntare alle energie rinnovabili per creare una nuova specializzazione industriale, anche in vista dell’abbandono del carbone previsto nel 2025.

4. Concorrenza: nuove regole trasparenti di concorrenza sui servizi locali e concessioni (dalle autostrade alle spiagge), evitando proroghe e introducendo misure in difesa degli operatori più piccoli.

5. Banda larga: investimenti sulla banda larga (che prevede la copertura dell’85% della popolazione al 2020 con 100 Mbps), attraverso l’ammodernamento della struttura esistente e l’affidamento ad un unico operatore, garantendo però concorrenza e neutralità all’offerta retail.

6. Politica commerciale e internazionalizzazione: occorre giocare la partita della internazionalizzazione contemporaneamente in attacco e in difesa.
In attacco, gli strumenti del libero scambio (includendo negli accordi i principi di sostenibilità ambientale e sociale) sono le modalità principali attraverso le quali favorire l’accesso delle PMI ai mercati esteri. Contemporaneamente, in difesa, va perseguito l’obiettivo di creare un contesto di regole condivise necessario a garantire la natura equa del commercio internazionale e a mitigare gli effetti di una globalizzazione squilibrata. Il Piano straordinario per il made in Italy deve essere prolungato e potenziato, in particolare nelle direttrici dell’e-commerce e dell’aumento delle imprese esportatrici.

 

Le condizioni per la realizzazione del Piano

Il «Piano industriale per l’Italia delle competenze» è certamente un potente sasso nello stagno angusto e poco profondo della campagna per le elezioni del 4 marzo.
Nel programma ampio spazio è dato anche al welfare con particolar enfasi alla cura degli «sconfitti» ovvero di «quei lavoratori e di quelle imprese che nel breve periodo sono vittime del cambiamento tecnologico».
Per Calenda e Bentivogli vanno potenziate alcune iniziative, come quelle del recovery settoriale, che hanno già dato prova di poter funzionare.
Tuttavia, perché possa diventare un programma economico di un futuro Governo, deve mettersi nella condizione di intercettare non solo i distretti e le fabbriche, ma anche le città che sono – e sempre di più saranno – il perno della conoscenza e dell’innovazione.
E occorre fare un continuo riferimento all’Europa, l’unica dimensione in grado di traghettare non solo l’Italia, ma ciascuno degli Stati membri verso le sfide del futuro, con una concreta possibilità di lasciarvi una traccia di una qualche significatività, accanto all’Asia e agli Stati Uniti.

 


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