Automazione e resilienza: la sfida dei centri servizi inox
Roberto Chiesa (Aperam Italy): «Non basta resistere agli shock, bisogna trasformarli in opportunità»
1 ottobre 2025
In un settore globale sempre più competitivo e soggetto a forti pressioni sui costi, i centri servizi del comparto dell’acciaio inossidabile si trovano di fronte a una sfida cruciale: coniugare automazione e resilienza. Roberto Chiesa, Chief Operating Officer di Aperam Italy, con una lunga esperienza nelle operations e nel change management, offre una prospettiva su come affrontare questa trasformazione.
Per Chiesa, automazione e digitalizzazione non rappresentano soltanto leve di efficienza, ma strumenti per garantire continuità operativa, sicurezza e valore nel tempo. La resilienza, invece, è la capacità di reagire agli shock esterni senza perdere di vista il cliente, trasformando le difficoltà in occasioni di crescita.
Intervistato da siderweb, Chiesa sottolinea l’importanza di un approccio organizzativo che metta al centro le persone e le competenze, accompagnando la tecnologia con un cambiamento culturale profondo. Una sfida che intreccia formazione, leadership, innovazione e sostenibilità e che definirà il futuro della filiera inox italiana ed europea.
Automazione come leva di continuità
Come sta evolvendo il ruolo dell’automazione nei vostri stabilimenti e nel comparto dei centri servizi in generale?
L’automazione non è più soltanto efficienza: nei nostri stabilimenti è continuità, sicurezza e valore. Gli investimenti puntano a ridurre i tempi di set-up, per esempio ottimizzando il cambio dei piani di taglio, e a scaricare attività a più basso valore, così che le persone possano concentrarsi su compiti più qualificanti.
Il lavoro sta cambiando: meno operatori generalisti, più specialisti flessibili capaci di governare sistemi complessi. È un passaggio che vedo ogni giorno: il processo più automatizzato riduce il rischio e la ripetitività, mentre la persona cresce in competenze e impatto.
In che modo la digitalizzazione sta cambiando il rapporto tra persone, macchine e processi?
La digitalizzazione è il collante della filiera inox. Dati in tempo reale abilitano decisioni rapide, mentre macchine e impianti diventano nodi intelligenti che generano informazioni utili.
Fondamentale l’integrazione: ERP, piattaforme IoT e API devono dialogare per dare trasparenza tra produzione, manutenzione e logistica. Così aumentano produttività e sicurezza operativa. Le nuove generazioni si adattano più in fretta; per gli altri stiamo potenziando percorsi di formazione in aula e sul campo.
Stiamo anche valutando l’applicazione dell’AI con scouting dedicati, siamo all’inizio, ma lo osserviamo con attenzione.
Quali sono, secondo lei, le priorità per rendere davvero efficace un percorso di automazione?
La priorità numero uno è capire che l’automazione non è un “progetto tecnico”, ma una trasformazione organizzativa. Se lo tratti come l’ennesimo investimento in macchine, rischia di fallire. Serve coinvolgere subito chi lavora in produzione e chi gestisce i processi, altrimenti resterà una tecnologia che nessuno sente propria.
La seconda priorità è la scelta dei partner. Chi porta tecnologia deve saper leggere la nostra realtà, comprenderne i vincoli e adattarsi, non vendere soluzioni standard.
Infine, il tema della sostenibilità economica: ogni investimento deve avere un payback chiaro, ma anche un impatto più ampio su sicurezza, continuità operativa e motivazione del personale. Se manca questo equilibrio, si finisce con l’avere impianti sofisticati ma poco usati.
L’automazione non deve creare complessità o manutenzione aggiuntiva, ma semplificare, ridurre i rischi e generare valore nel tempo, altrimenti il rischio è che la fabbrica si trasformi in una cattedrale di cristallo, moderna ma fragile.
Resilienza organizzativa: reagire senza perdere di vista il cliente
Cosa significa “resilienza” in un contesto industriale complesso e in continuo cambiamento? Quali caratteristiche deve avere oggi un’organizzazione non solo per resistere, ma per rafforzarsi di fronte agli shock esterni?
Siamo in un momento di forte pressione sui volumi e sui costi industriali. Il contesto ci chiede non solo di fare bene, ma di fare meglio con meno. Per me resilienza vuol dire reagire velocemente ai cambiamenti, senza perdere di vista il cliente. Non è solo resistere a uno shock esterno, ma usarlo come leva per migliorare. Un’organizzazione resiliente è quella che riesce a mantenere la continuità operativa e, allo stesso tempo, a costruire nuove opportunità.
In questa fase diventa cruciale trovare e sperimentare soluzioni nuove, che consentano di ridurre i costi e nuove modalità di turnistica che permettano di essere reattivi e flessibili in maniera sostenibile. Nei centri servizio questo vuol dire ottimizzare la produttività complessiva e servire il cliente in tempo. Ad esempio, modulando la turnistica ad isola in base ai volumi richiesti ed in fasce orarie meno costose.
La resilienza operativa va anche nella direzione di ottimizzazione del circolante ed in particolare delle stock come elementi che facilitano la generazione di cassa. L’analisi dello stock e del flusso di cassa si stanno integrando sempre di più nella gestione operativa e nei nostri obiettivi e KPI.
La resilienza si gioca molto anche sull’execution rapida: non bastano i piani sulla carta, serve decidere e agire con velocità, coordinando persone, processi e tecnologie. È questo che fa la differenza tra subire un cambiamento o uscirne rafforzati.
Qual è il legame tra automazione e resilienza?
Automazione e resilienza vanno di pari passo. Senza automazione, diventa difficile mantenere margini e continuità operativa; senza resilienza, l’automazione rischia di essere solo un esercizio tecnico, incapace di generare valore reale.
La fabbrica deve ridefinire i propri paradigmi culturali. Con l’automazione, il day by day sarà sempre più governato da macchine e processi digitali: questo riduce sprechi, ottimizza tempi e permette di gestire i volumi in modo sostenibile. Ma non basta. Serve una linea di management preparata, agile nel cambiamento, capace di leggere scenari di fornitura e logistica complessi, e di prendere decisioni rapide e condivise.
In questo senso, la resilienza si costruisce nell’integrazione: macchine che gestiscono la routine e abbassano i costi, persone che sanno interpretare i segnali del mercato e reagire con lucidità. È questa combinazione che permette a un centro servizi non solo di reggere l’urto degli shock esterni, ma di uscirne più forte e competitivo.
Il nostro ruolo diventa quello di far crescere questi aspetti culturali e allo stesso tempo di riuscire a renderli fattivi con tool dedicati.
Scenario competitivo e nuove regole del gioco
Come valuta lo scenario competitivo dell’acciaio inox in Italia ed Europa?
Lo scenario dell’inox in Europa è oggi segnato da una forte pressione competitiva. Nel 2024 la produzione europea si è attestata a circa 6 milioni di tonnellate, pari a meno del 10% del totale mondiale (ISSF 2024). Questo dato fotografa bene il ridimensionamento del peso europeo rispetto ad altre aree del mondo, in particolare Asia, dove la capacità produttiva continua a crescere.
L’Italia rimane comunque un hub centrale: è tra i primi mercati di trasformazione e distribuzione e rappresenta oltre il 30% degli acquisti extra-Ue di inox in Europa (dati 2024 di siderweb e Federacciai). Questo ruolo di cerniera rende i nostri centri servizi cruciali, il primo punto di contatto con l’azienda utilizzatrice ma allo stesso tempo molto esposti alle oscillazioni di prezzo e di domanda. In un contesto in cui i margini sono compressi, la vera chiave di differenziazione diventa il servizio: rapidità, personalizzazione e continuità di fornitura.
Pensa che il settore dei centri servizi andrà verso una maggiore concentrazione o rimarrà frammentato?
Personalmente credo che il futuro andrà verso una maggiore concentrazione. La frammentazione che caratterizza oggi il settore è difficilmente sostenibile nel lungo periodo: gli investimenti in automazione, digitalizzazione e compliance richiedono scala.
Mi immagino uno scenario a due livelli: da un lato centri servizi più grandi, capaci di assorbire i costi di struttura e di dialogare con i grandi clienti; dall’altro una rete di realtà più piccole, agili e vicine al territorio, che offrono flessibilità e specializzazione. La chiave sarà la sinergia operativa: costruire piattaforme in cui grandi e piccoli lavorino insieme, mettendo a sistema capacità diverse e complementari.
Che impatto hanno e avranno, dal vostro punto di vista, strumenti di difesa commerciale come i dazi di Salvaguardia e il Cbam?
Strumenti come la Salvaguardia, in scadenza a fine giugno 2026, e il Cbam, che entrerà a regime da gennaio 2026, non vanno letti solo come barriere, ma come opportunità di differenziazione.
Il Cbam introduce un principio di fondo: non basta produrre a basso costo, bisogna farlo in modo sostenibile. Questo avrà un effetto concreto: potrebbe rallentare le importazioni asiatiche, spesso basate su produzioni ad alta intensità di carbonio, riequilibrando così il confronto competitivo.
Per i centri servizi e per tutta la filiera europea significa poter giocare ad armi meno impari e, al tempo stesso, comunicare al cliente finale un valore chiaro: forniture tracciabili, con standard ambientali certificati. La nuova Visione di Aperam si inserisce bene in questo contesto.
Secondo me, questi strumenti offrono l’opportunità di alzare il livello competitivo. Chi saprà integrarli con automazione, efficienza e sostenibilità ne uscirà rafforzato.
Prospettive future: decarbonizzazione e “blue ocean”
Quali sono, a suo avviso, i principali driver di cambiamento per il settore dei centri servizi nei prossimi anni?
Nei prossimi anni vedo tre driver principali che potranno ridisegnare il nostro settore. Il primo sono gli investimenti in automazione e digitalizzazione: senza questi strumenti sarà impossibile reggere la pressione sui costi e sui tempi. Macchine intelligenti, sistemi integrati e dati in tempo reale sono ormai prerequisiti, non più opzioni.
Il secondo driver è la razionalizzazione dei costi e del circolante, insieme all’attenzione ai volumi per difendere la quota di mercato in uno scenario in cui c'è forte pressione sul prezzo. Non si tratta solo di fare efficienza, ma di ripensare i modelli operativi per evitare dispersioni e puntare su ciò che davvero genera valore.
Il terzo driver, forse il più stimolante, è l’innovazione verso mercati ad alto valore. I centri servizi non possono limitarsi a “tagliare e distribuire”: dobbiamo diventare partner nella supply chain dei nostri clienti, proporre lavorazioni speciali, servizi digitali, soluzioni su misura. Chi saprà muoversi in questa direzione con una strategia di servitization avrà un vantaggio competitivo duraturo.
Quali sono le più grandi sfide per l’industria dell’acciaio?
La prima sfida è la decarbonizzazione. Non è più una scelta, ma un percorso obbligato, con tempi e investimenti molto impegnativi.
La seconda è la necessità di costruire sinergie per fare scala ed assorbire i costi di un settore capital intensive con satelliti agili vicino al cliente: senza integrazione e collaborazione, soprattutto in Europa, rischiamo di restare troppo frammentati rispetto ai player asiatici. La terza sfida è l’ESG come differenziale competitivo. Non si tratta solo di compliance: sempre più clienti e stakeholder sceglieranno fornitori in base alla sostenibilità reale, misurabile e certificata.
Infine, vedo una sfida che è anche un’opportunità: la ricerca del blue ocean. Significa spingersi oltre i mercati saturi per scoprire spazi inesplorati. Penso, ad esempio, all’inox per le energie rinnovabili, ai componenti per l’idrogeno o ai settori emergenti come la mobilità elettrica e la circular economy. Non sono nicchie di moda, ma mercati che nei prossimi dieci anni possono cambiare il volto della filiera.
Che ruolo avrà Aperam nel futuro della filiera inox italiana ed europea?
Personalmente credo che Aperam avrà un ruolo sempre più centrale e competitivo. La nuova vision del gruppo pone obiettivi chiari e sfidanti, che vanno dalla riduzione dell’impatto ambientale al rafforzamento della nostra presenza sui mercati a più alto valore aggiunto lavorando sull’innovazione e su nicchie di mercato che si stanno aprendo (ad esempio il battery casing con l’elettrificazione nell’automotive).
In Italia e in Europa, questo significa continuare a investire per rendere i nostri centri servizi più efficienti, digitalizzati e integrati, ma anche più vicini ai clienti, capaci di offrire soluzioni complete e sostenibili.
A mio avviso, per il settore la vera sfida è cogliere questa trasformazione non come un vincolo, ma come un’opportunità: guidare il cambiamento della filiera inox, coniugando solidità industriale, innovazione e responsabilità.
Stefano Gennari
siderweb TG. Edizione del 24 ottobre 2025
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