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Gozzi, un «dovere» per i siderurgici italiani aiutare il Paese

Il presidente di Federacciai a MERCATO & DINTORNI illustra le condizioni per il rilancio di Taranto

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Come da sua abitudine, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi non si è affidato a giri di parole sulla questione dell’ex Ilva. Intervenendo nel primo appuntamento del 2024 del webinar di siderweb MERCATO & DINTORNI, Gozzi ha illustrato le condizioni base per un eventuale intervento di player italiani privati nella cordata di rilancio. Un rilancio che, per il presidente di Federacciai, è ancora possibile.

Le condizioni per il rilancio dell'ex Ilva
«Non è troppo tardi per salvare l’impianto – ha spiegato Gozzi -. Il salvataggio va però contestualizzato all’interno delle nuove regole europee». A preoccupare il presidente di Federacciai è infatti l’eliminazione graduale delle quote di emissione gratuite dell'ETS per gli hard to abate prevista con l’istituzione del CBAM. 

«Un impianto a ciclo integrale mediamente emette 2 tonnellate di CO2 per ogni tonnellata di acciaio prodotta. Il che vuol dire che al 2029, senza cambi di tecnologia, l’impianto di Taranto dovrà pagare ogni anno - per una produzione in break-even a 6 milioni di tonnellate - circa 1,2 miliardi di euro. Vuol dire che l’impianto dovrebbe chiudere per mancanza di competitività. Ma non solo l’impianto di Taranto, tutti gli altiforni europei hanno lo stesso problema. Questo, se non ci saranno modifiche, imporrà che l’Europa, per una scelta miope, creerà una nuova dipendenza estera per un prodotto strategico. Penso in particolare all’acciaio da stampaggio profondo, essenziale per l’industria automotive».

Gozzi ha però dimostrato che i siderurgici italiani hanno le idee ben chiare sul progetto di rilancio, a patto però che ci siano le condizioni per attuarlo. «Serve fare chiarezza sui punti ancora oscuri della vicenda, in primis sull’ammontare effettivo dei debiti di Acciaierie d’Italia, una cifra di cui non può essere chiesto il pagamento ai privati in entrata. Il secondo passaggio fondamentale è realizzare una due diligence sugli impianti. Prima del commissariamento, si investivano 350 milioni di euro l'anno per manutenzioni straordinarie. Dal 2012 a oggi non si sono fatti investimenti, o sono stati fatti in minima parte, perché gli sforzi sono stati concentrati sull’ambientalizzazione. La sensazione è che lo stato degli impianti, up e downstream, non sia buono. Bisogna capire in che stato sono realmente i macchinari, che per scarsa manutenzione diventano più pericolosi e con qualità di prodotto più scadente. Serve capire anche su questo fronte quali siano le reali necessità di capitale. Il piano di rilancio dovrebbe prevedere debiti e investimenti ambientali in carico allo Stato e manutenzioni, investimenti non di decarbonizzazione, oltre al circolante, in capo ai privati. Credo che ci sia anche un dovere nazionale dei siderurgici italiani di aiutare il Paese in un momento di così grave difficoltà. Ma le cose vanno fatte con buonsenso, senza suicidarsi, non dimenticando la redditività e il ritorno economico, sia pure nel medio-lungo periodo».

Sul fronte impiantistico per Gozzi si dovrebbe intervenire sui piccoli altiforni di Taranto per allungarne la vita fino al 2029; in questi anni, realizzare un preriduttore con captazione di emissioni e due forni ad arco sommerso che possano utilizzare il DRI per altoforno per produrre ghisa, evitando così di dover sostituire l’acciaieria e gli impianti a valle che, opportunamente revampati, potrebbero continuare a funzionare. «In questa maniera potremo produrre a Taranto 5 milioni di tonnellate di acciaio decarbonizzato, senza perdere la produzione nazionale di piani patrimonio dell’Ilva. Certo non sarebbe più l’impianto simbolo da 10 milioni di tonnellate, ma l’azienda potrebbe continuare a produrre ed essere profittevole» ha ribadito Gozzi, che, come governance, ipotizza il modello utilizzato da Obama per Chrysler con l’ingresso di Fiat, e con il ritorno dell’azienda pienamente privato una volta conclusi gli interventi di decarbonizzazione.

Un 2024 carico di incertezza per il mercato
Sul tema del mercato e della congiuntura, il presidente di Federacciai non si è sentito di sbilanciarsi più di tanto, data una congiuntura internazionale particolarmente incerta.
«Siamo in una fase con due guerre in corso e con il mercato tedesco, il nostro miglior mercato di sbocco, che è in recessione. Questo pesa in particolare sulle esportazioni che valgono per la metà del fatturato del comparto manifatturiero. Su cui peserà l’incremento dei noli nell’ordine del 200-250%, che influirà sull’inflazione. Sul mercato nazionale la scomparsa del 110% sull’edilizia influenzerà anche il consumo di acciaio. Una mancanza di consumo che potrebbe essere compensata dalla messa a terra degli interventi del PNRR che dovranno concretizzarsi nel 2024, 2025 e nei primi sei mesi del 2026. Questo scenario rende difficile fare previsioni. La sola soluzione dei conflitti potrebbe però portare il sentiment all’ottimismo e rilanciare la domanda mondiale».

Giovani e donne essenziali per il futuro dell'acciaio
Guardando al futuro dell’acciaio italiano, Gozzi ha definito indispensabili giovani e donne, facendo autocritica sul recruitment e la capacità di comunicazione del settore. «Nel 2021 e 2022 la filiera siderurgica ha fatto 2 miliardi di investimenti da parte delle aziende private. Dobbiamo imparare a farlo sapere, se vogliamo essere attrattivi». In particolare, il presidente di Federacciai ha annunciato un’attenzione particolare all’occupazione femminile, migliorando le condizioni per la maternità anche con l’ipotesi di inserire asili direttamente nelle aziende.


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