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«Senza acciaio non c’è futuro», il ricordo di Luigi Lucchini

Il 26 agosto saranno passati 10 anni dalla scomparsa del padre della siderurgia italiana

Translated by Deepl

Lo scorrere del tempo ci è spesso ricordato dall’avvicendarsi di anniversari e ricorrenze. Accade in particolare quando questi riguardano avvenimenti significativi, come la scomparsa di personaggi che hanno segnato i tempi. Per la siderurgia domani sarà una di queste ricorrenze.
Domani saranno passati esattamente dieci anni da quel 26 agosto 2013 in cui la siderurgia italiana perse quello che da tutti viene ancora oggi riconosciuto come il suo padre fondatore: il cavalier Luigi Lucchini, spentosi a 94 anni.

Un evento che commosse l’intera siderurgia italiana, come puntualmente raccontato da siderweb nella serie di articoli dedicati a quella figura che durante le esequie venne definita dall’allora ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato il Bill Gates dell’industria, per rimarcare la caratura di un uomo capace di diventare il simbolo di un intero settore.

Un uomo che ha costruito la sua vita e le sue imprese sul mantra «senza acciaio non c’è futuro», come ricordò allora anche il presidente di siderweb, Emanuele Morandi.

Tutti i grandi siderurgici italiani hanno un ricordo o un aneddoto legato a Lucchini e al suo carisma unico, che gli ha permesso tra gli anni Quaranta e Novanta di creare un vero e proprio impero industriale, che solo la grande crisi di quegli anni costrinse a ridursi a una manciata di aziende altamente remunerative che oggi si raggruppano sotto quel “gioiello industriale” rappresentato dalla Lucchini RS di Lovere, alla cui guida restano i suoi eredi.

Per i più giovani, e per tutti quelli che vogliono approfondire la conoscenza dell’imprenditore, un libro da non perdere è senza dubbio “Falco e Colomba”, presentato a Brescia nel 2012 e curato da Roberto Chiarini. Un libro-intervista che porta con sé non solo il ricordo della storia imprenditoriale di Lucchini, ma soprattutto la sua lungimiranza alla base dei suoi tanti successi.

Lungimiranza che emerge anche solo da queste poche parole pronunciate dallo stesso imprenditore: «Nel Dopoguerra non sapevo niente di marketing e di analisi di mercato. Non conoscevo il significato della parola budget, ma sapevo una cosa. L’Italia era semidistrutta e per ricostruirla occorreva ferro. Bene: produrrò ferro!».

 

Una storia umana e industriale

Luigi Lucchini nacque il 21 gennaio 1919 a Casto, in provincia di Brescia. Figlio di un artigiano che lavorava il ferro, nell’immediato Dopoguerra iniziò la propria attività nell’officina paterna nel cuore della Val Sabbia, intuendo sin da subito la potenzialità di crescita e soprattutto il passaggio da attività artigianale a industriale. 
«Mio padre commerciava con gli Antonini di Sarezzo e con ORI Martin – racconta Lucchini nella biografia sopra citata –. Io mi chiesi: perché non imitare questi grandi? Gli Antonini e gli ORI Martin prendevano le rotaie vecchie, le scaldavano, dopodiché le forgiavano al maglio come billette da utilizzarsi per fabbricare badili, zappe, piccoli, cazzuole, mazze, martelli, forche. Così avrei fatto anch’io». 
«Il fatturato, a partire dal ’45, aumentò del 40%-50% annuo». Verso la metà degli anni ’50 arrivò il primo laminatoio e pochi anni dopo, in cooperativa «con quelli che sarebbero diventati poi i maggiori imprenditori siderurgici bresciani», fu acquistato il forno elettrico. «Negli anni seguenti laminatoi e forni elettrici si sono moltiplicati. Produzione e lavorazione dell’acciaio sono rimaste le mie attività principali lungo tutti gli anni Sessanta». Oltre alla crescita dimensionale, arriva anche il cambio della produzione. Seguendo la strategia imprenditoriale che ha funto da stella polare per tutta la sua vita («affacciarmi tempestivamente in un segmento di produzione promettente non ancora occupato da altri, in modo di avere un vantaggio sui miei concorrenti»), Lucchini converte «gradatamente la produzione dal tondino ai laminati piatti ed angolari, alla vergella e agli acciai speciali». Tra il 1975 e il 1980 il fatturato del gruppo sale da 70 a 450 miliardi di lire, grazie sia alla crescita dei volumi sia alle acquisizioni di impianti. Acquisizioni che proseguono sino agli anni ’90.

Da Casto Lucchini si spostò a Sarezzo (Bs), a Settimo Torinese, alla Bisider, all’acciaieria di Potenza e alla Sidermeccanica di Lovere e, infine, alla Huta. Seguirono poi le acquisizioni della Servola a Trieste e della storica fabbrica di Piombino. «Da ultimi, vennero l’acquisto da Usinor di Ascometal, la stipula di una joint venture in Cina nonché il passaggio nelle nostre mani di alcuni stabilimenti inglesi e francesi», raccontò.

Poi, come spesso accade a tutti gli imperi al termine della fase di espansione, iniziarono le criticità. «Tra il 1998 e il 2003 si erano presentate serie difficoltà che richiedevano decisioni coraggiose – spiega ancora l’imprenditore nel libro di Chiarini –. Era intervenuta una congiuntura economica negativa di inusuale gravità e ampiezza. Contestualmente il gruppo si era esposto in un piano di investimenti particolarmente onerosi. Il disegno strategico rimaneva valido, ma abbiamo temuto un pesante contraccolpo finanziario». Dopo una serie di cessioni (come Siderpotenza alle Ferriere Nord e i siti di Mura, Sarezzo e Dolcè ad Acciaierie Venete), nel 2004 Severstal, con un aumento di capitale, arriva al 62% del Gruppo Lucchini. Negli anni successivi la famiglia Lucchini prima riduce la sua quota, poi, nel 2010, esce definitivamente dalla società, mantenendo però il controllo di Lucchini RS, un “gioiellino” capace di macinare utili anche negli anni di crisi.

 

Tanti successi, non solo nell'acciaio

La vita di Luigi Lucchini non si limitò solo all’ambito siderurgico: anche al di fuori dell’acciaio le sfide e i riconoscimenti non mancarono. Nel 1975 venne nominato Cavaliere del Lavoro. Negli anni successivi, in diversi periodi, entrò nel consiglio di amministrazione di Banca Commerciale Italiana (di cui divenne presidente del CdA), Compagnia di Partecipazioni Assicurative e Industriali - Compart (presidente del CdA), Montedison (presidente del CdA), SINPAR Società di Investimenti e Partecipazioni (presidente del CdA), Consortium, Assicurazioni Generali (Membro anche del Comitato Esecutivo), Associazione Bancaria Italiana, Eridania Bèghin Say, Mediobanca, Olivetti e Gemina. Oltre a queste attività, ricoprì anche le cariche di presidente di Confindustria (1984-88) e, in precedenza, dell’Associazione Industriale Bresciana (1978-83), oggi Confindustria Brescia.

Una vita vissuta sui valori che ha sempre indicato come modello: impegno, sacrificio, costanza e determinazione, forse la sua più grande eredità alla siderurgia italiana, che ne ha fatto tesoro per superare le altri grandi sfide e le crisi che si sono avvicendate in questi dieci anni senza di lui.

Lo speciale del 1998 sulla consegna della laurea ad honorem al Cavalier Luigi Lucchini.


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