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Luigi Cuzzolin (Pipex): «Una lingua nuova per mettere assieme due mondi che devono coesistere»

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Pipex Italia nasce nel 1993 come organizzazione commerciale di uno dei principali produttori europei di tubi in acciaio senza saldatura. È una presenza storica a Made in Steel. Con Luigi Cuzzolin, amministratore delegato di Pipex, tra i fondatori di siderweb e vicepresidente di Made in Steel, parliamo dell’edizione 2023 della conference & exhibition e delle prospettive del mercato dell’acciaio.

Come giudica l’edizione 2023?

Frequentiamo da sempre le fiere. Crediamo in Made in Steel perché è una manifestazione un po’ diversa da quelle tradizionali e che ha puntato molto sulle piazze di aggregazione. È stato un percorso complesso che ha avuto successo negli anni. Quella di quest’anno mi pare sia un’edizione, almeno così ci dicono i numeri, da record. C’è tantissima gente che viene da ogni angolo del mondo, abbiamo sempre spinto molto sull’internazionalizzazione. Noi siamo un’azienda internazionale, rappresentiamo sette gruppi che coprono i quattro continenti.

Il mercato nei primi mesi dell’anno ha mostrato un andamento superiore alle attese. Ritiene che manterrà questo trend?

I primi mesi dell’anno sono andati meglio di quello che ci aspettavamo, anche se c’è stato un riallineamento dei prezzi, abbastanza naturale visto i livelli che avevamo raggiunto. Ora c’è una fase più delicata. Il mercato si è fermato, non tanto perché si sia arrestata la domanda, che c’è ed è nascosta. Si vuole però capire cosa succederà, perché ci sono troppe incognite o troppi problemi tra tassi di interesse, inflazione, guerra in Ucraina. Il settore sta riflettendo e credo che Made in Steel sia il posto migliore per fare queste riflessioni e ripartire con gli ordinativi di giugno con le idee un po’ più chiare.

Dal suo osservatorio che peso sta avendo, in termini percentuali, la guerra in Ucraina sul mercato dell’acciaio?

Se si guardano i numeri, l’impatto della guerra sul 2022 è stato pressoché vicino allo zero, anzi abbiamo avuto tutti dei risultati importanti. L’Ucraina aveva dazi su quasi tutti i prodotti siderurgici. Da quando è scoppiata la guerra si sono aperte le frontiere del siderurgico, per cui non ci sono più né quote né dazi. L’Ucraina sta quindi entrando in Europa più di quello che faceva prima e noi ce ne stiamo accorgendo. Nel settore tubi ad esempio stiamo cominciando ad avvertire questa presenza che sommata ai timori sulle importazioni cinesi sta generando preoccupazione. La Russia per quanto riguarda i settori che seguiamo non ha mai rappresentato un grave problema. I dazi sono rimasti.

Uno dei temi chiave di questa edizione di Made in Steel è il passaggio generazionale. A quali elementi ritiene la siderurgia debba prestare attenzione in questo processo?

La ragione per la quale oltre vent’anni fa ho deciso di intraprendere questa sfida con Emanuele Morandi era perché dovevamo cominciare a pensare a un futuro siderurgico diverso, fatto di interazione, comunicazione, formazione. Non si rimpiazza una generazione con l’altra. Bisogna mantenere l’esperienza della vecchia generazione con l’energia delle nuove. Il vero tema è trovare il modo di comunicare tra generazioni. Dobbiamo creare una lingua nuova per mettere assieme i due mondi che devono coesistere. Dobbiamo cominciare a raccontarci all’esterno, spiegare che il nostro è un settore fantastico, innovativo, la prima economia circolare del mondo e che sta investendo sulla decarbonizzazione. Dobbiamo comuncare utilizzando il linguaggio dei ragazzi, algoritmi, tecnologie, filmati, video, social.

All’inaugurazione di questa edizione di Made in Steel è stato ricordato che prima della manifestazione c’era una difficoltà a raccontarsi all’esterno. Secondo lei in questi vent’anni si è vinta la scommessa, l’acciaio è riuscito a raccontarsi meglio?

Per quanto mi riguarda, sì. Quello che ci manca per completare il cerchio è riuscire a far percepire l’acciaio italiano come un blocco dolomitico unico. Dobbiamo andare sui mercati internazionali e dire «siamo l’acciaio italiano».

Sempre all’inaugurazione, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ha detto che la siderurgia italiana può centrare l’obiettivo dell’acciaio green entro il 2030. Secondo lei è un traguardo raggiungibile?

Sono convinto che abbiamo le capacità tecniche e le persone per raggiungere questo obiettivo. Ma non si può decarbonizzare e salvare il pianeta a costo zero. C’è un costo, deve essere sostenuto da tutta la filiera e gli acciaieri devono capire che oltre agli sforzi fatti ce ne saranno altri da fare. E che dovremo essere in grado di comunicarli e farceli ripagare dal mercato. Non extraprofitti: dobbiamo guadagnare il giusto e ciascuno deve fare la sua parte. L’acciaio si sta decarbonizzando, stiamo investendo in uomini e tecnologie, i costi devono essere divisi tra noi e il mercato. La decarbonizzazione deve essere sostenibile anche economicamente.


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