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Turchia: gli impatti della ricostruzione

Ferrari (Ufficio Studi siderweb): meno export e più pressione sui prezzi?

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Quali sono i numeri del settore siderurgico turco e siriano? E quali le possibili conseguenze del terremoto sull’acciaio internazionale? A queste domande ha cercato di rispondere Stefano Ferrari, responsabile dell’Ufficio Studi siderweb, durante il webinar "Terremoto in Turchia: un altro cigno nero per l’acciaio?".

«La Turchia è un player importantissimo per il settore siderurgico mondiale – ha spiegato Ferrari -, rappresentando l’ottavo produttore globale di acciaio e l’ottavo consumatore». Come l’Italia «il Paese è contraddistinto da una produzione siderurgica basata sul forno elettrico (71% dell’output totale, contro l’84% italiano) e su un output orientato sui prodotti lunghi (60% del totale). Inoltre, è fortemente dipendente dalle importazioni di materie prime e semilavorati, ed è un grande trasformatore di acciaio».

L’altro Stato colpito dal sisma, la Siria, ha una situazione molto diversa. «A causa della guerra civile che è in corso dal 2012, la siderurgia siriana, che nei primi anni 2000 era arrivata a consumare annualmente circa 2,5 milioni di tonnellate di acciaio, oggi viaggia attorno alle 250-300mila tonnellate annue, con una produzione interna di sole 5mila tonnellate (70mila nell’apice dei primi anni 2000) e con praticamente tutto il fabbisogno che è coperto dalle importazioni. Al momento, quindi, la Siria è sicuramente un attore secondario della siderurgia e, almeno finché la guerra civile non sarà terminata, è difficile pensare a un cambio della situazione».

Guardando al futuro, in particolare al medio termine, quali potrebbero essere gli impatti sulla siderurgia (anche italiana) del sisma turco? «È immaginabile pensare che sarà varato un grande programma di ricostruzione degli edifici e delle infrastrutture che sono stati danneggiati dal sisma – ha risposto Ferrari -. Gli interventi di ricostruzione, secondo gli analisti, dovrebbero prendere corpo soprattutto nei prossimi 2-5 anni e potrebbero cubare tra il 5,5% ed il 10% del PIL turco (quindi tra i 45 e gli 85 miliardi di dollari indicativamente)». Se ciò avverrà ci saranno «ripercussioni soprattutto sul settore dell’acciaio per le costruzioni». E le ripercussioni potrebbero colpire sul versante delle importazioni il comparto delle billette e quello del rottame, con un aumento della richiesta turca. In particolare, dato che la Turchia annualmente importa circa 12,7 milioni di tonnellate della materia prima dall’Ue, potrebbe verificarsi una crescita della pressione sul materiale europeo, con un impatto anche sui prezzi pagati dalle acciaierie italiane. All’export, invece, «abbiamo preso in considerazione i tre prodotti per il settore delle costruzioni più esportati dalla Turchia, ovvero tondo per cemento armato, profilati e vergella – ha concluso Ferrari -. I volumi dei tre prodotti, nel complesso, sono pari a circa 8,5 milioni di tonnellate annue. È realistico supporre che, date le necessità del mercato interno, le esportazioni turche di questi prodotti possano ridursi. Degli 8,5 milioni menzionati in precedenza, circa 3,5 sono esportati dalla Turchia in mercati potenzialmente contendibili per le acciaierie italiane o europee, che quindi potrebbero indirettamente vedere salire le vendite all’estero in corrispondenza della ricostruzione».


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