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Materie prime: è l’alba di una rivoluzione

I trend emergenti che stanno cambiando il mercato nell’analisi di Tosini (Ufficio Studi siderweb)

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L’acciaio ha davanti a sé 7 anni di grandi cambiamenti, che però non dovrebbero creare forti tensioni su offerta, domanda e prezzi, salvo eventi straordinari. È la conclusione cui è arrivato Gianfranco Tosini dell’Ufficio Studi siderweb, affrontando il tema del mercato delle materie prime in una prospettiva di lungo termine, nel webinar di questa mattina “Energia & materie prime verso nuovi orizzonti”.

La domanda e la produzione di acciaio, ha spiegato il professore, saranno influenzate da cambiamenti strutturali: tra essi, «la fine del mega ciclo cinese, durato circa dal 1995 al 2020; la riduzione dell’intensità di utilizzo dell’acciaio e lo sviluppo di nuovi acciai più leggeri e resistenti; la crescita meno “steel intensive” dei Paesi emergenti con la riduzione delle catene globali del valore; lo sviluppo dell’economia circolare, che ridurrà il consumo di materie prime».  

Oggi siamo in un nuovo ciclo siderurgico globale, dominato dai Paesi emergenti (India, Vietnam, Iran e altri Paesi asiatici minori). I nuovi trend che stanno cambiando l’acciaio sono mobilità sostenibile, regionalizzazione, economia circolare e decongestione urbana. Stanno portando, ha spiegato Tosini, all’«alleggerimento del peso e allo sviluppo di materiali alternativi all’acciaio; alla produzione di nuovi tipi di acciaio più leggeri, resistenti e duttili; a processi di produzione dell’acciaio più ecologici, con la decarbonizzazione, e a impianti, sistemi produttivi e stabilimenti più interconnessi grazie alle tecnologie digitali». E quindi a una ripercussione sulle modalità di produzione dell’acciaio. «Finora a livello globale ha dominato l’altoforno. Oggi il peso del forno elettrico è del 25%; si stima arriverà, nel 2030, al 40% - ha illustrato Tosini -. Dovendo inquinare di meno, i Paesi che usano maggiormente il ciclo integrale passeranno al forno elettrico. Lo farà anche la Cina: oggi produce con forno elettrico il 10% del suo acciaio; nelle mie previsioni, arriverà al 20% nel 2030».

Che impatto avrà tutto ciò sulle materie prime siderurgiche? Secondo Tosini, si avrà una riduzione della domanda di minerale di ferro, per la minore crescita della produzione e lo spostamento sul forno elettrico. «La produzione di questa materia prima sarà comunque sufficiente a coprire la domanda per la produzione di DRI, non generando quindi tensioni sui prezzi» secondo Tosini. L’output di iron ore aumenterà infatti nel periodo 2022-26, grazie all’apertura di nuove miniere in Australia e all’aumento degli investimenti cinesi per sfruttare le miniere in Africa. Rimarrà l’oligopolio su questo mercato (il 65% dell’offerta è in mano ai quattro grandi gruppi Vale, Rio Tinto, BHP e Fortescue). Diminuirà, per gli stessi motivi, anche la domanda di carbon coke. Tuttavia, in questo caso sono in calo gli investimenti nella produzione e soprattutto in nuove cokerie, ha ricordato Tosini, e continueranno a diminuire per problemi di sostenibilità: è la fase più inquinante del ciclo integrale. «Se l’offerta calasse più rapidamente della domanda, i prezzi potrebbero restare relativamente alti. Non si possono, inoltre, escludere eventi eccezionali, che in passato hanno provocato impennate delle quotazioni (inondazioni, tensioni geopolitiche…)» ha aggiunto, prevedendo poi che il principale produttore resterà la Cina; i maggiori esportatori rimarranno Australia, Usa, Canada e Russia.

Più complesso il discorso sul rottame: «Potrebbero esserci tensioni tra domanda e offerta, il mercato cambierà» secondo Tosini. I Paesi sviluppati che oggi sono esportatori netti (Europa, Stati Uniti, in parte Giappone e Corea del Sud) vedranno diminuire la propria offerta (-12,6% nel 2030 rispetto al 2021), perché i consumi di acciaio in questi Paesi si stanno riducendo, e smetteranno di esportare rottame. «I Paesi emergenti – ha continuato - resteranno importatori netti, anche se per quantità progressivamente inferiori, mentre la Cina sarà autosufficiente se la quota di produzione di acciaio con forno elettrico nel 2030 non andrà oltre il 20% rispetto al 10,6% di quella attuale». 
Si stima che nel 2030 l’Ue avrà una carenza di circa 1,7 milioni di tonnellate di rottame; il Nord America di 7,2 milioni; l’Asia e Oceania di 29,2 milioni; a livello mondiale il saldo tra domanda e offerta sarà negativo per 88 milioni di tonnellate. Uno squilibrio che già oggi (-79,8 milioni di tonnellate nel 2021) «è corretto con la produzione di preridotto, molto rilevante per esempio in India, che è il primo produttore mondiale e che in gran parte lo usa al proprio interno».

Passando proprio al preridotto, quindi, si prevede che «l’output aumenterà sensibilmente proprio per la scarsità di rottame di qualità». Potrà essere prodotto anche in Paesi con scarsa disponibilità di gas, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che permettono l’uso di idrogeno come riducente e altre fonti rinnovabili. Oggi la produzione ammonta a 114 milioni di tonnellate, grazie ai nuovi impianti che sono stati avviati negli ultimi 10 anni. Si stima che salirà a 154 milioni da qui al 2030, grazie all’accelerazione della messa in attività di nuovi impianti con una capacità produttiva di circa 40 milioni di tonnellate.

 


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