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Federacciai e Adi puntano sul DRI

Promosso un consorzio per individuare la location per la produzione di 5 milioni di tonnellate annue di preridotto

Gozzi: «L'acciaio di domani passa per l'upstream»

«Il futuro della siderurgia italiana è upstream». Così Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha riassunto le prospettive per i prossimi anni per la siderurgia italiana. Prossimi anni che saranno cruciali per le sfide che l'acciaio dovrà affrontare: quella energetica, quella ambientale, quella del mercato.
Partendo dalla sfida energetica, quella che oggi appare più pressante, Gozzi ha spiegato che la crisi europea «ha una matrice geopolitica: non si è originata, infatti, a causa della carenza di fonti energetiche, ma per la scelta della Russia di utilizzare il gas come arma di pressione». Uno strumento che, con lo scoppio della guerra in Ucraina, è stato sempre più utilizzato, generando una situazione «che temo si aggraverà nei prossimi mesi». L'Europa, secondo Gozzi, «è al centro di una tempesta perfetta sul settore energetico: la Francia dovrà fermare alcune centrali nucleari per manutenzioni, la Germania sta abbandonando il nucleare con un impatto sui costi ed il Regno Unito ha reso noto che, in caso di bisogno, è pronto a sospendere le vendite del gas al di fuori dei confini nazionali». Ciò, unito allo shortage del carbone a seguito dello stop all'import dalla Russia (dal 1° agosto) porterà ad uno stress sui prezzi anche nella parte finale dell'anno, con «rischi di fermate produttive, razionamento del consumo del gas e rallentamento della crescita economica». Cosa fare, quindi? Ci sono due approcci, «quello congiunturale e quello strategico». In termini congiunturali «l'Ue dovrà imporre un cap al prezzo del gas e dell'energia per salvare l'industria», mentre in termini strutturali "bisognerà puntare su un mix di energie rinnovabili e decarbonizzate (come il nucleare)».
Per ciò che concerne le materie prime, Gozzi ha spiegato che «l'Italia, come è noto, è importatrice netta di rottame» ed, essendo un modello di efficienza e di basse emissioni, «il modello italiano potrebbe essere copiato anche in Europa». Se ciò avverrà, però, «la domanda di rottame in Ue crescerà, mettendo il comparto in difficoltà». Si dovrà quindi ricorrere al DRI ma, «siccome con i prezzi attuali del gas realizzare un preriduttore in Europa è impensabile», Federacciai sta promuovendo «un consorzio di scouting per studiare la fattibilità della realizzazione di 5 moduli per la produzione di DRI, della capacità produttiva di circa cinque milioni di tonnellate annue, per far fronte al fabbisogno italiano di rottame importato». I paesi presi in considerazione sinora sono «Libia, Algeria, Egitto, Israele, Cipro, Mozambico ed Usa» e la scelta sulla location potrebbe avvenire già nel 2023. Questa «dovrà essere un'operazione di sistema, con il coinvolgimento delle imprese italiane e del Governo, al fine di salvaguardare un'industria strategica per l'Italia». Il futuro dell'acciaio «è upstream – ha concluso Gozzi – per questo motivo è cruciale assicurarsi fonti energetiche ad emissione zero ed un flusso sicuro di materie prime».

Bernabè: «L'Italia non può essere dipendente solo dalle produzioni estere di DRI»

«L’Italia non può fare a meno di acciaio primario e questo pone su Taranto un peso rilevante di ricerca della strada per la decarbonizzazione». Non ha dubbi Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia (ADI), interrogato sul tema intorno al quale è ruotato il convegno «Materie prime tra sostenibilità e mercato». Gli ostacoli, ha spiegato, non sono di tipo tecnologico, bensì di finanziamento. «Dal punto di vista delle tecnologie la strada è grossomodo tracciata, sappiamo quali sono gli interventi necessari. Abbiamo un problema di finanziamento: non abbiamo le risorse per avviare un progetto che nell'arco di dieci anni costerà 5 miliardi e mezzo. Stiamo lavorando per accedere ai due miliardi di fondi che il PNRR ha messo a disposizione dell'industria hard to abate e che dovrebbero andare in parte proprio alla decarbonizzazione di Taranto. Abbiamo le idee chiare ma aspettiamo la definizione delle modalità di finanziamento per quanto riguarda la trasformazione di Taranto». A parte la Svezia, che gode di vantaggi in termini di accesso a minerale ed energia, «tutti in Europa sono nella stessa fase in cui siamo noi» ha sottolineato. «Tutti i progetti sono in attesa di finanziamento da parte dei governi perché gli economics oggi non ci sono ancora».

Sul tema dell’energia, il presidente di ADI ha affermato che il drammatico incremento dei costi del gas – ma anche del petrolio e del carbone – ha portato a una forte accelerazione degli investimenti nell’upstream. Sul gas vi sono progetti che andranno a maturazione intorno al 2025/26. In questo periodo, pertanto, i prezzi della materia prima dovrebbero tornare ad essere più o meno allineati a quello storici. Quanto all’idrogeno, ha continuato Bernabè, la situazione è più complessa. «L’Ue pretende che le industrie siano hydrogen-ready ma l’utilizzo dell’idrogeno implica problemi di sicurezza nel trasporto e nella gestione a causa dei problemi di volatilità, infiammabilità ecc. Predisporre un impianto per l’uso dell’idrogeno implica quindi requisiti molto stringenti. Lo si farà, e quando l'idrogeno sarà disponibile a condizioni competitive si passerà dal gas all'idrogeno».

Sul problema della mancanza di materiale dai paesi CSI a seguito dello scoppio del conflitto russo-ucraino, Bernabè ha evidenziato che ADI «si è posta in un’ottica di interesse nazionale il tema della fornitura di ghisa per le fonderie italiane e sta cercando una soluzione. Un impianto nuovo richiede fino a 36 mesi, mentre un impianto usato deve essere in buone condizioni. Concordo con Gozzi quando dice che le condizioni per produrre DRI economicamente in Italia non ci sono, ma penso che l’Italia debba avere una produzione di DRI. Attualmente viene prodotto prevalentemente in paesi complicati, come Iran, Russia, Libia, paesi con problemi di embargo e difficoltà di rapporti con i paesi occidentali. L’Italia non può esserne dipendente. Nel nostro piano è previsto un modulo non solo per l’alimentazione delle Acciaierie ma anche per la messa a disposizione del DRI al resto dell’industria italiana. Parliamo di 1,5 milioni di tonnellate, ma integrandole con una produzione estera garantiranno un po’ di sicurezza in più al Paese. Le condizioni economiche oggi non ci sono – ha concluso – ma credo che a qualsiasi problema si possa trovare una soluzione con il giusto impegno e noi la stiamo cercando».


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