29 gennaio 2020
Ascoltare la vita attraverso la testimonianza. Perché conoscere è fondamentale, ma la formazione, quella che segna le persone, nasce dall’incontro. È nato così, dentro la settimana dedicata a San Giovanni Bosco, l’incontro tra Giovanni Arvedi, fondatore e presidente del Gruppo siderurgico di Cremona che porta il suo nome, e gli oltre 300 studenti e genitori che venerdì sera si sono stipati dentro il grande auditorium del Centro salesiano di Treviglio per ascoltare il Cavaliere parlare de "L’etica e il lavoro. Essere imprenditore cristiano oggi".
Un tema complesso, dalle molte sfaccettature che i ragazzi hanno discusso in settimana ed elaborato in forma di domande che venerdì sera, con un po’ di emozione, hanno posto a Giovanni Arvedi. Il Cavaliere, introdotto dal direttore del Centro don Massimo Massironi e "moderato" dal professor Riccardo Moratti – docente di italiano e latino che aveva il compito legare insieme con un filo rosso il racconto della serata – non si è sottratto al compito e alle attese. Anzi.
Giovanni Arvedi, dopo aver tradito inizialmente la medesima emozione dei ragazzi, si è via via sciolto andando in profondità, in modo appassionato e appassionante, ai temi che i ragazzi gli ponevano sotto la regia della professoressa Marina Doneda. Ne è nato un dialogo franco e affettuoso che è andato oltre l’ora prevista: la voglia di stare insieme e confrontarsi, di tenersi per mano, ha preso il sopravvento.
I ragazzi hanno seguito un filo preciso, partendo da una domanda centrale per la vita di ogni uomo: quali sono i principi ai quali si è ispirato l’imprenditore Giovanni Arvedi.
«La fede è stata la grande guida della mia vita: una fede che spinge ad agire perché il modo migliore di ringraziare il Padre è farlo con i fatti, con le opere. Le intraprese, come le idee, rimangono oltre le persone».
Quanto all’ispirazione, ai modelli, il Cavaliere ha voluto ringraziare la sua famiglia, i genitori e, con uno sguardo, la moglie Luciana Buschini che era presente in sala.
Sul tema della formazione e dell’intraprendere è stato netto: «Formazione e cultura sono centrali per la costruzione della persona. Un uomo sa fare quello che sa».
Ma formazione e cultura vanno oltre le aule scolastiche. Vivono di incontri, di curiosità, di domande continue e della tenacia di avere risposte. «Io mi sono fermato alla ragioneria…», ma poi ha avuto tre lauree honoris causa, ha ricordato il professor Moratti: dal Politecnico di Milano, dall’Università Cattolica e da quella di San Pietroburgo. Tre lauree che hanno consacrato l’innovazione tecnologica messa a punto e realizzata dal Cavaliere. Quella che il mondo siderurgico oggi conosce come ESP (Endless Strip Producition): il primo processo che a livello mondiale consente colata e laminazione d’acciaio in continuo.
«Ma non crediate che sia stato semplice. Quando ho avuto l’idea, quando ho capito che si potevano produrre acciaio e coils in modo diverso, più efficiente, più economico, di maggiore qualità, con minore impatto ambientale ho girato mezzo mondo per trovare qualcuno, qualche docente universitario, che confermasse le mie ipotesi. E tutti a dire: non è possibile. E io a chiedere: ditemi perché. E nessuno che mi dava una risposta».
A pagare è stata la tenacia e l’avere convinto un grande impiantista che si poteva fare. Ma non era finita. «Non è mai finita, ragazzi: per dieci anni ho dovuto lavorare per mettere a punto l’impianto, risolvere i problemi che via via si manifestavano e questo, ad un certo punto, ha rischiato di schiacciare tutto quello che avevo fatto. Ho rischiato di perderlo».
Ma come si innova, come viene l’idea che cambia una produzione, o un pezzo di mondo? hanno chiesto i ragazzi. E qui, la risposta del Cavaliere è stata davvero spiazzante, e ha suscitato uno dei molti applausi della serata: «L’innovazione è figlia dello spirito, non della logica. Confrontare le idee è il primo passo per creare qualcosa di nuovo. Bisogna sì essere convinti e determinati, ma i problemi vanno affrontati con umiltà e lungimiranza».
Da qui al chiedersi come si concilia il business con il bene comune, il passo è stato breve.
«L’imprenditore ha il dovere di pensare alle persone che lavorano con lui, al territorio e alla comunità dove l’impresa agisce. Ecco allora che dare lavoro, creare un ambiente a misura di relazioni umane, investire in cultura è decisivo. Fare il bene è la cosa più logica e intelligente, giusta e doverosa». Da qui è nata l’idea del Museo del Violino che ha lanciato Cremona nel novero delle città conosciute a livello mondiale. Da qui la nascita della "Fondazione Arvedi Buschini" che si occuperà di cultura e persone anche per gli anni a venire.
«Seguire i propri principi, sempre»: ha detto il Cavaliere solleticato dai ragazzi sul tema della concorrenza internazionale spesso non ad armi pari per condizioni di lavoro e attenzione all’ambiente, anche se altrove qualcuno non rispetta gli stessi principi.
«Il giudizio delle cose che facciamo, delle nostre azioni, non si può misurare sul tempo breve al quale ci costringe questo momento storico. Dobbiamo vedere la nostra storia dentro una storia più grande. Questo è il senso del nostro essere cristiani. Questo è il senso dell’essere un imprenditore cristiano».
Poi ancora i ragazzi hanno voluto sapere come si può vivere in un mondo che sembra chiudersi, mentre il messaggio cristiano è ecumenico e loro si sentono cittadini del mondo. «Avete ragione – detto Giovanni Arvedi – viviamo il tempo della paura, di nuovi confini. Ma io sono convinto che è un momento: voi continuate a pensare che avere la fede è avere una marcia in più, è la capacità di vedere quello che altri non vedono. Abbiate fiducia, abbiate fiducia».
Davvero era una serata che nessuno avrebbe voluto vedere arrivare alla fine. Per chiudere, pur senza citarlo direttamente, Giovanni Arvedi ha fatto riferimento alle parole con le quali Papa Giovanni XXIII apre la sua "Pacem in Terris": perseguite la verità, la giustizia, la libertà e l’amore perché su di essi si fonda la pace. E poi la lettura, affidata ad uno studente, di un passo del Libro della Sapienza: «Il giudizio del Signore su chi esercita il potere».
Infine un grande applauso che valeva come un abbraccio per una serata davvero unica.
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