15 dicembre 2016
Immaginare. Stupire. Raccontare. In una filiera siderurgica che nel 2015 ha perso il 10% del proprio fatturato, e dove scende la redditività, sarebbe inutile «continuare ad innovare un ferro di cavallo quando i bisogni futuri sono già delineati e stanno sollecitando su altri temi. È finito il tempo di parlarsi addosso, dobbiamo cominciare a contaminarci. E le idee vanno realizzate in tempi relativamente veloci». Lo stimolo è arrivato dal presidente di Siderweb, Emanuele Morandi. Idee e visioni su quello che potrà (o dovrà) accadere da qui al 2030 sono arrivate dalla e alla filiera siderurgica dai presenti alla terza riunione di questa settimana del Tavolo Innovazione Rivoluzione Digital. Di “Nuove relazioni e nuova narrazione, tecnica e contenuti”, si è infatti discusso a Siderweb dove hanno fatto tappa gli Stati Generali dell'ACCIAIO.
Inventare la not yet available technology
La prima cosa da fare sarebbe smettere di usare il termine “Industria 4.0”, perché secondo Giancarlo Turati (Fasternet spa e presidente della Piccola di Aib oltre che vice nazionale), «così si identifica la matrice tedesca del piano. È il loro modello, non il nostro, si generano equivoci. In Italia siamo potenzialmente molto più avanti perché il mercato è tornato in mano all’uomo, si va verso la “consumerizzazione”». Bisognerebbe insomma liberarsi da quella sorta di «dipendenza psicologica dai tedeschi» dai quali si è mutuata la definizione “Industria 4.0”. «C’è la difficoltà di imporre una narrazione italiana. Serve una vera politica industriale che sviluppi la nostra industria e costruisca filiere europee, bisogna capire come far collaborare grandi e piccoli attori» secondo Alessandro Marini, cluster manager in Associazione Fabbrica Intelligente Lombardia. Si dobrebbe insomma inventare qualcosa che ancora non c’è. Sta cercando di farlo Silvano Lancini, alla guida del Gruppo Sme.up. Si sta lavorando su tre progetti, un quarto è ancora da definire, alla base c’è sempre la contaminazione: «In un’azienda che fa pressofusione arriveremo al totale controllo del processo. In un altro progetto, proprio dal totale e perfetto funzionamento del controllo di processo dipende la sopravvivenza stessa dei pesci in una vasca». Esempi modello di contaminazione e realizzazione. Il problema italiano, stando a Gianfranco Tosini, Ufficio Studi di Siderweb, nasce però dalla mancanza di relazioni. «Per funzionare, il 4.0 ha bisogno di contaminazione, che in Italia è molto difficile, perché le aziende dell’acciaio sono monosettoriali – ha spiegato Tosini -. Non ci sono da noi gruppi integrati, con all’interno produttori e utilizzatori, nonché politecnici, sul modello giapponese o coreano».
Dalla competizione alla collaborazione competitiva
L’alto livello di tecnologia e di competenza italiana «poteva essere un punto di vantaggio competitivo ma è diventato un gioco al massacro, a causa della nostra incapacità di muoverci insieme, di fare lobby» ha detto Michele Bendotti, ceo della Forni Industriali Bendotti. Eppure la chiave di volta per arrivare ad un’innovazione che porti vantaggio competitivo sembra essere quella di «muoversi per mettersi insieme. È interessante il mondo delle reti d’impresa. La concorrenza basata solo sui prezzi non giova a nessuno, né al produttore né al consumatore» secondo Maurizio Venezia di Banco Popolare. Non serve neppure «una mera iniezione di tecnologie in azienda se non abilita al cambiamento radicale di logistica, rapporto con clienti, modelli di distribuzione» ha sottolineato Antonio Maresca di E&Y. Più di qualche impresa, nel percorso di avvicinamento all’Industria 4.0, avrebbe anche – arrendendosi al pregiudizio - sottovalutato il fenomeno, rimanendo indietro. E ora, in più, ci sarebbe da affrontare il passaggio non solo a nuovi modelli di controllo dei processi, ma anche dal concetto di concorrenza a quello di mercato competitivo.
Una narrazione aperta
Da un lato c’è la spinta ad accelerare sulla tecnologia, dall’altro un certo disorientamento nei primi tentativi di messa in pratica degli strumenti del Piano Calenda. Certo «il trasferimento tecnologico è un’opportunità di business, ma il 4.0 ha bisogno di una visione unitaria» ha detto Franco Zanardi, presidente onorario delle omonime fonderie e vicepresidente Assofond con delega alla ricerca. E per uscire dalla filiera, per aprirsi all’esterno, non potrebbe mancare l’elemento straniante. Perché quindi, come immaginato da Marco Citterio di Made in Steel, non «portare il mondo dell’acciaio a contaminarsi con quello dell’arredamento, dell’abbigliamento dell’alimentare, per cercare possibilità di sviluppo future». Elementi su cui si è ipotizzato di poter lavorare in vista dell’edizione 2017 dell’esposizione. Mentre si continuerà a contribuire al Tavolo aperto da Siderweb al Ministero dello Sviluppo Economico: «Non chiediamo nulla. Ci siamo messi a disposizione – ha ricordato Antonio Vivenzi di Siderweb – per portare le istanze della filiera e fornire indicazioni a cabine di regia e centri di competenza».
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