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La siderurgia ai tempi della deglobalizzazione

Dazi, overcapacity e Trump al centro della riunione del 1° febbraio del tavolo Geografia e Mercato dell'Acciaio

Ha preso le mosse dalle misure protezionistiche che stanno prendendo piede negli Stati Uniti e sulla parallela destrutturazione della globalizzazione il dibattito di ieri, nella sede di AIB, del tavolo «Geografia e Mercato dell’Acciaio» (coordinato da Stefano Ferrari, responsabile ufficio studi Siderweb) di Stati Generali dell’ACCIAIO. Un tavolo che, presentato il 24 giugno a Milano con i fari puntati su Brexit e concessione del Mes alla Cina, «si trova oggi – introduce Emanuele Morandi, presidente Siderweb - a vedere quelli che pensava sarebbero stati i suoi temi chiave messi addirittura in un angolo, surclassati dalle vicende intercorse nel frattempo». Vittoria alla presidenza del tycoon americano su tutte. Una fase della storia definita «magmatica» da Carlo Muzzi - redattore del Giornale di Brescia e neo collaboratore di Siderweb – là dove la priorità di Trump è di «smantellare tutti gli accordi multilaterali a favore di accordi bilaterali». In questo contesto si inscriverebbe dunque anche l’attacco americano alla Germania cui si aggiunge il probabile ingresso in Europa dell’ambasciatore di Trump Theodor Roosvelt Malloch. Un economista che, lapidario, vaticina la morte dell’euro entro «12, 18 mesi al massimo». Una politica, quella statunitense, che sorprendentemente fa storcere il naso alla Cina come trapelato dal World Economic Forum di Davos: Xi Jinping non apprezzerebbe le idee di Trump non tanto per questioni etiche o affini, quanto perché la Cina – non è un mistero – auspica il mantenimento della globalizzazione. Di più: l’instaurazione di una globalizzazione in cui lo stesso Dragone operi in ottica dirigista.

Overcapacity, problema irrisolto (e irrisolvibile?)
Menzionando la Cina è inevitabile un riferimento ai noti problemi di sovrapproduzione che continuano a generare effetti nefasti su tutti i mercati siderurgici. Secondo Gianfranco Tosini (ufficio studi Siderweb) l’annunciato taglio di produzione di 150 milioni di tonnellate entro il 2020 è «difficilmente credibile, visto che sinora abbiamo assistito a un abbattimento nell’ordine dei 35 milioni di tonnellate annui». Unico punto attendibile tra quelli messi sul tavolo dal Dragone, secondo Tosini, «il consolidamento della struttura produttiva con i primi 10 player che dovranno contare per il 60% della produzione contro l’attuale 34%». Ne consegue che, volente o nolente, l’Italia e l’Europa in qualche modo dovranno pur difendersi. La prima soluzione che salta alla mente, conferma Gianfranco Tosini, sono i dazi. Ma c’è un ma: «Hanno senso solo nel breve periodo», senza contare la loro «scarsa efficacia, dato che in Europa si aggirano sul 30% contro una forbice americana che va dal 100 al 206%». Rimane quindi il rilancio della domanda interna puntando sui settori che più di tutti utilizzano acciaio, ossia costruzioni e automotive. Infine, una chiave di volta potrebbe essere «l’aumento di competitività del settore europeo fiaccato da un’eccessiva polverizzazione delle aziende» focalizzando gli sforzi su «innovazione e specializzazione».

Dazi europei: perché?
I partecipanti al tavolo si sono detti, sostanzialmente all’unanimità, contrari a dazi in Europa che ricalchino il «Modello Trump». A Roberto Ariotti (presidente Assofond) i dazi non piacciono «per la cultura che portano con sé, dovremmo piuttosto approdare a un’economia circolare che privilegi il consumo nazionale, tutelata da enti autonomi con sistemi certificati e sostenuta da una comunicazione massiccia». Anche Francesco Manni (vicepresidente Manni Group) è contrario al dazio in quanto tale, ma non esclude in toto la manovra: «Se si vogliono imporre dazi bisogna farlo in maniera intelligente, applicandoli nella misura di quanto un’azienda inquina o punendo la cattiva gestione della manodopera».

Antonio Marcegaglia (presidente e amministratore dell’omonimo gruppo) esprime, in riferimento al protezionismo, «preoccupazione e perplessità per i trend di “regionalizzazione” che si stanno imponendo», soprattutto perché il mercato, per sua connotazione intrinseca, è destinato «all’apertura, allo sviluppo, non alla chiusura». Poco convinto della bontà dei dazi pure Luca Carbonoli (vice direttore Assofermet) affiancato dal presidente di Assofermet rottami ferrosi, Paolo Pozzato. Nell’opinione di Pozzato, «i dazi sulle materie prime non sono nemmeno da prendere in considerazione perché il prezzo potrebbe crollare a livelli molto bassi, con un vantaggio per le imprese siderurgiche che dal canto loro continuerebbero a vendere a prezzi internazionali». In sintesi, la convinzione di Paolo Pozzato è che i dazi ci possono stare «sui prodotti finiti», ma categoricamente non sulle materie prime.

Riccardo Benso (comitato tecnico acciai di Assofermet) condivide le preoccupazioni del tavolo rispetto all’atteggiamento protezionistico generale e specifica come sia sufficiente «ripensare agli effetti storici dei dazi per capire che si tratta di un provvedimento negativo».

Difesa vs protezione
Flavio Bregant
, direttore generale di Federacciai, non ha mancato di parlare di dazi, introducendo però una distinzione sostanziale: «La competitività, che sia interna o esterna, non si gioca sulle barriere protezionistiche, non dobbiamo ragionare come Trump. E l’Europa non lo fa: i dazi Ue sono meramente di difesa rispetto al commercio sleale, mentre molti altri Paesi, come l’America, impongono dazi di protezione che chiudono i mercati».

Italia, Europa, mondo
Se l’Italia siderurgica è poca cosa nel mondo, «non dobbiamo dimenticare che in Europa restiamo i secondi produttori di acciaio», puntualizza Francesco Semino (direttore relazioni esterne Acciaierie Venete). Ciò nonostante il nostro interlocutore naturale, l’Ue, tende a sottovalutarci, ma «dal punto di vista siderurgico disponiamo delle carte per appropriarci del ruolo che ci compete, quello di secondi produttori appunto».

Per Francesco Manni, le associazioni di categoria dovrebbero far pressione sull’Ue che starebbe abdicando a uno dei suoi ruoli chiave, «occuparsi di geopolitica». Esempio emblematico sarebbe l’Action Plan elaborato dall’eurodeputato Antonio Tajani, documento che di fatto è rimasto lettera morta. L’auspicio è che, con l’elezione di Tajani a presidente del Parlamento Europeo, il piano possa ritrovare vigore.

Davanti all’imperativo di Manni - «Individuare urgentemente nuovi mercati» - una risposta potrebbe essere il Nord Africa, con il quale vigono accordi che ci privilegiano rispetto, per esempio, alla Turchia. Eppure, aggiunge Tosini, il sistema siderurgico europeo rimane miope, «non ha occhio sul globo a differenza di ciò che accade in Giappone, Corea o Cina: se il mercato va in stallo loro sanno già dove orientarsi alternativamente, noi no».

La volatilità delle materie prime
A fare il punto sulle materie prime e sull’impennata di prezzi cui stiamo assistendo dall’inizio del 2016 è Achille Fornasini, partner e chief analyst Siderweb. «Le materie prime sono tornate a essere interessanti per la finanza, il che ha portato a un’iniezione di volatilità nell’economia reale che di per sé non dovrebbe conoscere questi fenomeni». Sta di fatto che il vento è cambiato. Quello delle materie prime, come detto, che va di pari passo con quello dell’energia. Meglio: è il trend dell’energia a trainare quello delle materie prime, visto che la prima è necessaria per la lavorazione delle seconde.

Sul tema è intervenuto anche Giancarlo Quaranta - chief innovation e technology officer Ilva – confermando come «l’altalena dei prezzi abbia condizionato i margini delle aziende». A tal proposito, riprende Fornasini, «il management e il middle management delle aziende deve essere formato all’analisi dei mercati per essere pronto a sfruttare gli strumenti di copertura attualmente in via di sperimentazione all’LME». I quali potrebbero essere uno strumento efficace se solo, incalza Marcegaglia, «ci fosse un mercato liquido, che non c’è, e non ci fossero componenti elevate di rischio».

Il ruolo del credito e della consulenza
La situazione attuale sta creando non pochi grattacapi al sistema del credito. «Sarà pressoché inevitabile un irrigidimento delle relazioni finanziarie internazionali – afferma Costantino Miri (Banco BPM) – e sappiamo che i dazi non risolvono il problema. Anzi: si tratta di un provvedimento che narcotizza il mercato, rendendolo spesso migliore di quanto non sia, un elemento che crea incertezza e mette quindi le banche sul chi va là».

In un contesto tanto complicato «le aziende europee devono trovare una strada che le valorizzi nei mercati internazionali». È la posizione di E&Y espressa da Andrea Bassanino, convinto che la scarsa concentrazione europea sia latrice di altrettanto scarsa efficienza, per quanto «le dimensioni non siano più la panacea di tutto. Meglio è avere una visione chiara di chi si vuole essere domani avviando innovazioni di prodotto e di processo e collaborando orizzontalmente per avere una massa critica significativa sul mercato». In particolare sul mercato 4.0, «nel quale conta la cosiddetta relevance, (rilevanza, ndr), a scapito di fatturato o capitalizzazione».

Verso Made in Steel
L’incontro di ieri è il preludio alla redazione di un documento di sintesi che sarà presentato nel corso di Made in Steel in un convegno che farà il punto, come sottolinea il direttore generale di Siderweb Lucio Dall’Angelo, «su ciò che sta accadendo proprio nel momento in cui accade». Una sintesi che sarà articolata sui tre temi chiave della riunione di ieri: difesa e sviluppo del mercato europeo, aggressione dei mercati esteri e incremento dei risultati aziendali. Argomenti sui quali, oltre al dibattito, sono emersi anche elementi di proposta. 

Gianfranco Tosini auspica per esempio che il procedimento europeo per l'imposizione di dazi sia più breve rispetto all'attuale anno-anno e mezzo, là dove le imprese, al loro interno, dovrebbero concentrarsi su innovazione e specializzazione perché è su questo che da oggi agli anni a venire si giocherà la competitività. La specializzazione si declina naturalmente in modo differente a seconda degli attori della filiera: secondo Francesco Manni l'obiettivo per i centri servizio dev'essere lo stesso della siderurgia, ossia una macro armonizzazione normativa e regolatoria. «Per noi dei centri servizio - commenta - è un inferno: ogni Paese vuole una sua certificazione, vuole che si segua un percorso differente». Sebbene in altri termini, anche Giancarlo Quaranta guarda all'esigenza di avere certezze normative. «Dal 2021 - anticipa - i produttori dovranno sostenere costi, peraltro non banali, per l'emissione di Co2, vedremo ridotta la nostra competitività ed esporteremo a prodotti con Co2 pagata a Paesi che usano il nostro rottame. L'Europa pecca di certezza normativa, non dimentichiamo che l'Italia è l'unico Paese ad aver adottato il protocollo Bat e lo stiamo pagando». Stando a tale visione, l'industria 4.0 apporterà un salto di qualità significativo al settore ma potrebbe tradursi in un salasso, almeno per alcuni segmenti del comparto. 

Analogo il discorso di Semino, che però parla di antitrust: «Se i nostri tre principali player si unissero - esemplifica - per avere le dimensioni utili per altre acquisizioni, l'antitrust europeo interverrebbe immediatamente per eccesso di concentrazione. Che ci dicano cosa dobbiamo fare: o ci chiudiamo in Europa oppure se siamo in mare aperto non possono lasciarci con una barchetta a remi». Inoltre pure le commodities, rimarca Semino, hanno bisogno di norme certe, di strumenti che difendano il mercato, mentre le specialties attengono più a un discorso interno alla filiera. 

Per Paolo Pozzato il futuro è il virtuosismo aziendale. Non a caso Assofermet rottami ferrosi ha diffuso delle linee guida volte conglobare imprese virtuose «che possano muoversi all'unisono cercando partnership nelle acciaierie sulla scorta di un approccio diverso, che sia anche emozionale e non solo legato al prezzo. Ricordiamo poi che non esiste solo la verticalizzazione: secondo me una rete orizzontale di imprese potrà creare politiche di filiera in grado di dare competitività». 

Bregant rincara la dose affermando che nei prossimi anni la siderurgia dovrà lavorare da un lato sulla competitività e dall'altro sull'incerteza normativa. Dal punto di vista della competitività interna, invece, «dovremo operare secondo una logica di servizio, innovare significa anche questo. Dovremo arrivare alla personalizzazione del prodotto e se lo faremo nessuno potrà competere con noi: è qui che agisce davvero il 4.0». Quanto alle singole aziende, aggiunge il direttore generale, «dovranno fare investimenti, spingere molto sulla specializzazione e valorizzare eccellenze e circolarità». 

Infine, il ragionamento di Francesco Semino mette in guardia dalle «false soluzioni». Il che significa che qualsiasi cosa si farà, la si dovrà fare «con grande attenzione e regolando complessivamente il mercato. Dobbiamo fare un salto culturale: non è pensabile seguire regole vecchie in un mondo completamente nuovo».


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