27 marzo 2020
Quale impatto sta avendo ed avrà il coronavirus sull’economia italiana ed europea? Quali sono le ricette per l’uscita dalla crisi che seguirà all’emergenza sanitaria? Questi due dei principali argomenti dell’intervista di siderweb a Pio De Gregorio, Head of Industry Trend & Benchmarking Analysis di UBI Banca.
Il coronavirus si sta velocemente diffondendo in tutto il mondo. Qual è l’impatto immediato sull’economia?
«L’impatto sarà profondamente recessivo, molto più grave di quello mai registrato a partire dal Dopoguerra. La scala della caduta del PIL mondiale non sarà confrontabile con quella delle recessioni precedenti, che avevano tutt’altra natura, anche nello scenario più ottimistico. Ciò è dovuto sia alla diffusione geografica del calo di attività economica, sia alla trasversalità settoriale. Non c’è area geografica o settore economico che non saranno impattati negativamente dalla pandemia. Le crisi precedenti non sono nemmeno lontanamente confrontabili con un fenomeno di questa portata».
In prospettiva di più lungo termine cosa si aspetta?
«Quando la pandemia sarà superata ci sarà una ripresa più rapida in alcuni settori e più graduale in altri. I settori che recupereranno più velocemente sono quelli legati ai consumi delle famiglie, che in questa fase sono stati forzatamente fermati. Tuttavia, la propensione alla spesa delle famiglie sarà condizionata dai vincoli di bilancio che in molti casi potrebbero risentire negativamente del deterioramento della situazione occupazionale, che sarà tanto più pesante quanto più lunga l’emergenza sanitaria. I settori legati agli investimenti delle imprese recupereranno molto più lentamente, via via che i livelli di utilizzo degli impianti risaliranno».
Come vede la posizione della filiera della metallurgia e della siderurgia?
«Per il settore siderurgico e metallurgico molto dipenderà dalla capacità da parte del governo, ma soprattutto dell’Unione Europea, di varare dei grandi piani di investimento straordinari orientati verso quei settori che già prima della crisi sanitaria erano stati individuati come basilari per lo sviluppo futuro, soprattutto in chiave ‘green’. Sotto questo aspetto la crisi in atto rappresenta un’opportunità storica senza uguali per rilanciare significato e scopo dell’Unione Europea. Ad eccezione forse della Germania, nessun Paese è in grado di uscire da questa crisi da solo e la stessa Germania ha bisogno di una forte ripresa nel resto dell’Europa per ripartire stabilmente, visto il ruolo centrale giocato nell’economia tedesca dalle esportazioni verso i partner europei».
Ciò, tuttavia, ripropone l’annosa questione degli Eurobond. Potrebbe essere questa la volta buona?
«La crisi avrà un effetto pesantissimo sulle finanze pubbliche di tutti i Paesi europei. È evidente che gli squilibri conseguenti saranno più gravosi per quei Paesi, come l’Italia, che partono da livelli di debito più elevati in rapporto al PIL. In questo quadro, a mio avviso, gli Eurobond devono essere usati per il finanziamento dei programmi straordinari di spesa pubblica che, una volta superata l’emergenza sanitaria, serviranno da un lato per l’attivazione degli indispensabili ammortizzatori sociali e dall’altro per l’avvio dei piani di investimento utili per il rilancio dell’economia europea. La questione della mutualizzazione del debito da parte dei Paesi nordeuropei è mal posta: in questo caso si tratta di mobilitare le risorse necessarie per l’attivazione di iniziative comuni che, proprio in quanto tali, possono dare la spinta propulsiva massima alla ripartenza dell’intera economia europea».
Come valuta le contromisure annunciate dai governi e dalle banche centrali mondiali?
«In questa fase il ruolo delle banche centrali è assicurare che il sistema economico abbia tutta la liquidità necessaria per impedire che si creino strozzature che potrebbero destabilizzare le finanze tanto delle famiglie quanto delle imprese. Sotto questo aspetto, le misure annunciate mi sembrano sufficienti. In secondo luogo, le banche centrali devono garantire la stabilità dei sistemi finanziari in una fase di enorme turbolenza. Il rischio è che i complessi meccanismi che regolano la finanza internazionale possano nuovamente incepparsi in presenza di un ‘cigno nero’, molto più nero di tutti quelli precedentemente visti. Se ciò accadesse, la crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria condurrebbe ad una ancor più grave crisi finanziaria, con conseguenze inimmaginabili su scala globale. Di fronte a questo pericolo di crollo sistemico, le banche centrali devono essere pronte a fornire sostegno illimitato al sistema finanziario, come recentemente annunciato dalla FED. Quando la crisi sanitaria sarà superata bisognerà riflettere ancora sulla resilienza del sistema finanziario globale che a mio avviso, nonostante le misure prese dopo le ultime crisi finanziarie, continua ad essere insufficiente».
Qual è l’impatto sul sistema bancario nazionale in particolare?
«Negli ultimi anni i principali operatori bancari italiani hanno fatto molti progressi verso il rafforzamento patrimoniale, rispettando pienamente i più stringenti requisiti richiesti dalle autorità. Inoltre, negli anni scorsi hanno sempre superato i diversi ‘stress test’ che sono stati imposti dalla BCE per verificare la capacità di tenuta di fronte a rischi sistemici. Le principali banche nazionali, quindi, appaiono oggi meglio attrezzate per superare una crisi, anche profonda, come quella che stiamo attraversando».
Quali sono i rischi e le opportunità che si presenteranno per le imprese alla riapertura?
«I rischi sono legati alla possibilità che la ripresa sia graduale, vale a dire a U anziché a V. Il motivo sta nella diversa natura di questa crisi rispetto a quelle precedenti. In effetti nelle crisi precedenti il fattore scatenante era esogeno rispetto al sistema famiglie/imprese, in questo caso invece è endogeno. Come il virus, questa crisi rappresenta qualcosa di totalmente nuovo e sconosciuto. Ma questo implica anche che il superamento della crisi potrebbe aprire delle nuove opportunità per molti settori: non c’è dubbio, ad esempio, che le risorse che saranno destinate al settore sanitario allargato saranno molto maggiori rispetto a quelle allocate negli ultimi decenni».
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