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Assofond: 2023 di decrescita. Incognite sul futuro

Preoccupa il CBAM. Continua la transizione verde: le fonderie destinano all’ambiente il 20% degli investimenti

Translated by Deepl

Un 2024 alla ricerca della ripresa, ma con un’industria fusoria che ha tutte le carte in regola per superare le sfide e le incognite che la aspettano il prossimo anno. Ne è convinto il presidente di Assofond Fabio Zanardi.

Presidente Zanardi, può farci un resoconto del 2023?

Il comparto arrivava da un anno, il 2022, che è stato il migliore degli ultimi 6 anni, che ha interrotto il trend di perdita che durava da molto… Il 2022 è stato un anno eccezionale, con risultati molto positivi per quasi tutti gli indicatori di performance. Questo è stato possibile grazie a una domanda che si è confermata tonica per tutto l’anno, nonostante i continui aumenti che abbiamo dovuto applicare ai prezzi di vendita dei prodotti per evitare di produrre in perdita a causa dell’incremento dei costi energetici, dei materiali ausiliari, dei servizi di subfornitura. Nel 2023, invece, lo scenario è cambiato completamente. Le quotazioni di materie prime ed energia hanno ritracciato, ma sono comunque due-tre volte superiori a quelle del periodo precrisi; la domanda è in calo e la mancata conferma oltre il secondo trimestre dei crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e di gas ci portano a ritenere che il 2023, pur iniziato sotto buoni auspici, si concluderà con un andamento decrescente che apre non poche incognite sul futuro.

Quali sono state le performance delle fonderie di acciaio quest’anno e come si collocano rispetto al resto del comparto?

Le fonderie di acciaio si collocano in controtendenza rispetto all’andamento generale del settore. Se negli anni di grande ripresa dopo il Covid la loro performance è stata meno esaltante rispetto a quella degli altri comparti, in momenti di difficoltà come quello che stiamo vivendo negli ultimi mesi storicamente dimostrano una maggiore tenuta. L’ultima indagine congiunturale del Centro Studi Assofond, relativa al terzo trimestre 2023, ha rilevato che il comparto ha fatto segnare risultati positivi a livello tendenziale sia per produzione (+16% rispetto allo stesso trimestre del 2022) sia per fatturato (+19,2% sempre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno). Questa dinamica può dipendere dal fatto che una quota parte dei prodotti realizzati da queste aziende è destinata ai cosiddetti settori difensivi o anticiclici (che si contrappongono, cioè, a quelli che hanno natura ciclica): si tratta di settori industriali che reggono meglio in fasi di rallentamento o durante una recessione, ma di contro hanno performance meno brillanti in fasi di recupero o di espansione dell’economia.

Quali sono le vostre previsioni almeno per la prima parte del 2024? La visibilità degli ordini è in linea con il recente passato? Avvertite un ritorno della domanda?

Il 2024 si prospetta essere un anno con molte incognite. Al momento non abbiamo ancora sentore di ripresa, e crediamo che si dovrà probabilmente attendere la seconda metà dell’anno per vedere qualche segnale. Del resto, il rallentamento del 2023 è stato almeno in parte dovuto alle notevoli scorte di magazzino che molti clienti avevano accumulato lo scorso anno; scorte che, visto il calo della domanda finale, non sono ancora state smaltite del tutto. Ci auguriamo quindi che a partire dal secondo semestre si possa assistere a una ripartenza della domanda, anche se è molto presto per fare previsioni.

Cosa si aspetta dall’introduzione del CBAM?

In linea di principio il CBAM è un provvedimento giusto, pensato per sostenere le produzioni europee e ridurre il rischio di delocalizzazione. Tuttavia, per il nostro settore rischia di essere un vero boomerang. Fra i prodotti coinvolti dal meccanismo così come è impostato adesso, infatti, ricadono praticamente tutte le nostre materie prime - che quindi subiranno aumenti di prezzo -, mentre pochissimi dei codici doganali con i quali vengono classificati i getti saranno daziati. Questo significa che il nostro costo di produzione aumenterà perché le materie prime costeranno di più, mentre i getti importati in Europa da Paesi quali Cina, India o Turchia non saranno colpiti dai nuovi dazi. Di conseguenza, i concorrenti extra Ue potranno proporre sul nostro mercato prodotti a prezzi inferiori ai nostri perché potranno approvvigionarsi di materia prima a costi più bassi. Per noi è quindi fondamentale fare in modo che, prima dell’entrata in vigore definitiva del 2026, anche i nostri prodotti finiti vengano inseriti fra le merci colpite dal dazio, per proteggerci dalla concorrenza sleale. A questo stiamo lavorando, sia come Assofond sia soprattutto come CAEF, l’associazione europea di fonderia, con interlocuzioni continue con la Commissione europea.

I costi dell’energia preoccupano ancora?

Assolutamente sì. Oggi l’energia è due-tre volte più cara rispetto al 2019, cioè l’ultimo anno “normale” (escludendo il 2020 pandemico) prima della crisi energetica iniziata nel 2021. Ma c’è di più: già dallo scorso luglio, da quando, cioè, non è più possibile beneficiare di crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas, la nostra competitività nei confronti dei concorrenti esteri è messa a dura prova. Noi oggi acquistiamo energia a costi del 30% superiori a quelli dei competitor europei. Con i nuovi aiuti alle imprese decisi dalla Germania, così come quelli che a breve saranno approvati in Francia, le imprese manifatturiere di questi due Paesi potranno coprire almeno parte dei propri consumi elettrici con forniture al costo di circa 70€/MWh, quando in Italia siamo intorno a quota 130€/MWh. Fortunatamente il Governo, nel decreto-legge sulla Sicurezza energetica, ha accolto le nostre richieste e predisposto due misure strutturali di grande importanza quali electricity e gas release, che permetteranno di assegnare alle imprese energivore quote di energia elettrica e di gas a prezzi convenzionati. È però fondamentale accelerare con i decreti attuativi per fare in modo che queste misure entrino in vigore il prima possibile.

Come sta procedendo il processo di “transizione verde” dell’industria fusoria?

Le fonderie italiane sono già all’avanguardia in Europa in fatto di efficientamento energetico, decarbonizzazione e autoproduzione di energia rinnovabile. Secondo i dati contenuti nel report di sostenibilità del settore, realizzato da Assofond, le nostre imprese destinano all’ambiente circa il 20% dei loro investimenti, a fronte di una percentuale media dell’industria italiana che non arriva al 2%. Di più: le fonderie italiane, rispetto a quelle degli altri principali Paesi europei, hanno già da molti anni intrapreso la strada verso l’elettrificazione della produzione, che resta la via maestra per azzerare le emissioni dirette. La strada da fare è però ancora lunga e sarà fondamentale poter disporre di risorse e finanziamenti adeguati a sostenere le imprese in questa fondamentale sfida.

Su quali altri temi si è concentrato principalmente il lavoro di Assofond nel corso dell’anno?

La transizione ecologica ha rappresentato e continuerà a rappresentare il focus principale della nostra attività. Le fonderie, del resto, sono molto esposte alle pressioni normative e alle richieste dei clienti sull’assessment ESG. Per aiutare le imprese associate Assofond ha costruito un network di consulenti e di centri di ricerca universitari che offrono servizi specifici per il settore, in grado di sostenere le fonderie nel costruire un piano di transizione organico di lungo periodo, definire le risorse e le competenze interne necessarie per affrontarlo, acquisire gli strumenti per misurare i processi e supportare le scelte da attuare. Il nuovo servizio sta riscuotendo notevole interesse e credo che nei prossimi anni diverrà sempre più centrale nell’ambito delle attività dell’associazione.


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