2 gennaio 2024 Translated by Deepl
Anche dopo un 2023 tutt’altro che semplice, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi non perde il suo ottimismo. La propensione a vedere il bicchiere mezzo pieno lo porta a guardare le tante opportunità che potrebbero concretizzarsi se verranno risolte le tensioni internazionali che hanno generato incertezza negli ultimi mesi.
Presidente Gozzi, come definirebbe questo 2023 per i produttori di acciaio?
L’anno si è presentato con due facce, forse tre se consideriamo anche le ultime settimane. I primi mesi, almeno fino a maggio, sono stati positivi seguendo l’onda lunga del 2022. Poi abbiamo assistito ad una fase di forte destoccaggio legata ad un sensibile rallentamento delle richieste anche di fronte ad una domanda tutt’altro che inesistente, anche se ben più fiacca rispetto a quella vista nel 2021 e 2022. Le nostre stime ci indicano che comunque anche il 2023 vedrà una produzione complessiva superiore ai 20 milioni di tonnellate, volumi ben diversi da quelli degli anni di crisi che abbiamo vissuto in passato. Anche il 2023 perciò è stato un anno con diversi lati positivi. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono avvertiti i segnali legati alla fine del destoccaggio. Segnali però che, con l’avvento di dicembre, sono difficili da decifrare appieno. Il mese finale dell’anno vede acquisti dettati da logiche di bilancio e di magazzino, per cui non segue esclusivamente il naturale trend del mercato.
Uno degli slogan più citati nel 2023 siderurgico è stato “green steel”. Cosa ne pensa?
Come ho già ricordato in più occasioni nel corso dell’anno, la siderurgia italiana è già il campione europeo della decarbonizzazione ed ora ambisce a diventare campione mondiale. Il fatto che la nostra produzione nazionale avvenga per l’80% da forno elettrico è sicuramente d’aiuto per mantenere ai livelli minimi il tasso di emissioni di CO2 per tonnellata. Siamo impegnati in un importante lavoro sui nostri Scope 2 per vincere il campionato mondiale e, come ha rilevato anche siderweb, le nostre aziende hanno investito miliardi di capitale privato per vincere le sfide della transizione green. Sicuramente non c’è ancora chiarezza sul tema del “green steel”, perché c’è una profonda divisione a livello di Eurofer. I produttori da ciclo integrale che ridurranno le emissioni del 20% vogliono che anche il loro acciaio possa fregiarsi della denominazione green. Per noi invece non conta la riduzione bensì il livello di emissioni complessive e, siccome il rapporto è di 1 per il forno elettrico a 10 per il ciclo integrale, se anche i produttori da altoforno arrivassero a 8 il medesimo rapporto resterebbe comunque sbilanciato. Ritengo che, come spesso accade, a decidere questo contenzioso saranno direttamente i clienti con le loro scelte di acquisto. Ormai l’attenzione verso i piani di decarbonizzazione è massima, così come l’esclusione di chi punta soprattutto a fare greenwashing senza impegni concreti.
Taranto, Piombino e decisamente meno Terni restano ancora al centro della cronaca italiana. Ritiene che il prossimo anno potrebbe essere quello della svolta?
Partiamo da Terni. Al di là dell’allungamento dei tempi sull’accordo di programma, Acciai Speciali Terni è di proprietà di un gruppo e di un imprenditore di primordine del panorama italiano, per cui una volta risolte le impasse ritengo che non ci saranno problemi per la concretizzazione definitiva dei progetti di sviluppo. Per Taranto il mio pensiero resta quello che ho già espresso. A costo di ripetermi, ribadisco che, se la maggiore siderurgia mondiale presente nel capitale societario vuole mettere capitale e management per il rilancio dell’ex Ilva, non c’è soluzione migliore. Se invece, come appare dai continui rinvii e dal memorandum presentato, che questa ipotesi non si concretizzi, non deve essere un tabù che il Governo spinga per un cambio di passo per non perdere uno dei pezzi più importanti della siderurgia nazionale. Su Piombino si è sentito parlare di progetti miliardari; ritengo che sia troppo presto per dare giudizi compiuti viste le informazioni ancora limitate pervenute su diversi aspetti. Ciò che ho chiesto però al ministro Urso è di fare attenzione al fatto che un progetto simile non vada a penalizzare, soprattutto sul fronte degli approvvigionamenti di rottame, le aziende siderurgiche nazionali. Soprattutto se progetti simili vengono realizzati ricorrendo anche a finanziamenti pubblici. Come ho già detto, però, per ora le informazioni di cui dispongo sono ancora incomplete per formulare un giudizio.
Che cosa si aspetta dal 2024?
Per quanto riguarda il prossimo anno, io sono moderatamente ottimista. Direi che potrebbero verificarsi le condizioni per lasciarci definitivamente alle spalle le difficoltà del 2023, in primis per la fine della fase di destoccaggio che menzionavo prima e poi perché potrebbero trovare soluzione le due fonti di tensione internazionale quali la guerra in Ucraina e i conflitti in Medio Oriente; elementi che alimentano quel sentimento di incertezza che funge da freno ai mercati internazionali. C’è anche da dire che sia l’economia americana che quella asiatica, Cina a parte, si sono riprese. Se a questo aggiungiamo che alla luce della discesa dell’inflazione si potrebbe verificare un allentamento sui tassi di interesse, ritengo ci siano tutte le condizioni per essere ottimisti.
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