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Federacciai: un 2022 complesso ma positivo per l’acciaio

Moderato ottimismo sul 2023 nonostante la siderurgia dovrà far fronte al rallentamento economico

Nonostante sia in arrivo un 2023 ricco di sfide, dal rallentamento economico alla trasformazione ambientale, la siderurgia italiana resta moderatamente ottimista. A confermarlo il presidente di Federacciai Antonio Gozzi che oltre a offrire un bilancio del 2022 e a descrivere le aspettative sul nuovo anno, parla delle grandi sfide dell’acciaio Made in Italy, a partire dal rilancio del siderurgico tarantino.

Presidente, anche il suo ritorno alla guida di Federacciai l’ha vista dover affrontare un anno complicato per l’acciaio e non solo. Quali sono le sue valutazioni sul 2022?

Il 2022 è stato senza dubbio un anno complesso per i siderurgici italiani e non, un anno senz’altro condizionato dall’invasione russa in Ucraina che ha avuto come prima conseguenza l’esplosione del prezzo dell’energia, che tra l’altro arrivava da un finale di 2021 già di decisa crescita. Un fenomeno con cui ci dovremo confrontare ancora, almeno fino a quando non si farà il decoupling data l’attuale simbiosi tra il prezzo dell’elettricità e quello del gas. Devo però dire che da questo punto di vista gli interventi del governo Draghi prima e poi dell’attuale esecutivo guidato da Giorgia Meloni un po’ hanno calmierato la situazione con il credito di imposta. Come aziende abbiamo fatto di tutto per evitare stop fuori programma, surfando sui picchi di costo energetico. A livello di prodotti la prima parte dell’anno non è andata male, spinta anche da approvvigionamenti dettati da timori di shortage di materiale. Nella seconda parte dell’anno, da giugno/luglio in poi, i prodotti piani hanno visto una caduta di domanda e di prezzi significativa. I prodotti lunghi ne hanno risentito meno dal momento che sono invece legati alle costruzioni e alle infrastrutture. E qui il PNRR incide e inciderà molto, basti pensare agli ultimi investimenti annunciati da Ferrovie dello Stato.

Che aspettative ha invece sul 2023?

Per il prossimo anno io non sono pessimista. La definizione più consona è “moderatamente ottimista”. Ritengo che nei prossimi mesi anche la crisi energetica potrà ridursi. Resta il fatto che per il 2023 saremo di fronte ad un rallentamento dell’economia che impone anche un rallentamento della domanda siderurgica e di conseguenza una caduta dei prezzi, anche se ritengo per ora non drammatica. La questione che tutti in questa fase si pongono è quella relativa alla possibilità in uno scenario del genere di procedere o meno a fermi produttivi fuori programma. Ovvero la capacità di poter produrre senza perdite strutturali nel nuovo scenario di costi all’input. Questa domanda ci accompagnerà anche nei prossimi mesi. Per ora siamo rimasti in attività, ma le vacanze estive sono state più lunghe del solito, ritengo che lo saranno anche quelle invernali. La cosa che mi spaventa un po’ di più sono i maggiori limiti di budget che il governo Meloni ha rispetto al suo predecessore. Limiti che potrebbero ridurre quegli interventi di sostegno keynesiano a famiglie e imprese che ci hanno permesso di crescere più degli altri paesi nel 2021 e 2022.

Qual è secondo lei uno dei temi principali su cui l’Italia dovrà lavorare?

Uno dei temi del giorno per l’Italia e per l’acciaio italiano è senza dubbio quello delle forniture di gas e della carbon capture per poterlo utilizzare come energia di transizione. L’Italia è una piattaforma in un mare di gas, abbiamo rapporti con i Paesi fornitori del Nord Africa come Algeria, Egitto e Cipro per citarne alcuni che possono essere degli ottimi fornitori per il futuro, senza contare un’ottima infrastrutturazione fisica intesa come pipeline. Abbiamo inoltre tre rigassificatori che diventeranno cinque. Possiamo dire che siamo uno dei migliori hub del gas a livello europeo. Bisogna però far sì di poter usare il gas decarbonizzato. Anche in questo campo abbiamo degli ottimi leader tecnologici a livello nazionale. Queste possibili collaborazioni internazionali sono molto interessanti anche in vista del nostro progetto di realizzare lo scouting su dove poter realizzare un impianto consortile per la produzione di 2,5 milioni di tonnellate di DRI laddove il costo della materia prima lo consenta. Anche questo progetto rientra nei due driver su cui le nostre elettrosiderurgie si stanno muovendo per poter restare competitive anche in futuro, vale a dire un prezzo energetico sotto controllo e una materia prima alternativa al rottame da fonti di approvvigionamento dirette.

L’ultima domanda è inevitabilmente sul futuro dell’ex Ilva di Taranto, di cui lei negli anni ha seguito la vicenda da vicino. Cosa sta succedendo e cosa si aspetta? (NB intervista realizzata il 16 dicembre)

La situazione di Taranto purtroppo è chiara e difficile. I temi sul tavolo, vitali per il futuro dell’azienda, sono la sua capitalizzazione, la governance e il piano industriale. Staremo a vedere l’evoluzione del confronto in atto da settimane tra ArcelorMittal e governo, sperando che dallo stesso emergano fatti positivi perché così non si può andare avanti. In questa situazione così complicata l’unico elemento positivo e da cui ripartire è il fatto che dal punto di vista ambientale il polo di Taranto è un impianto completamente ambientalizzato, se per ambientalizzato intendiamo le emissioni di sostanze nocive per le persone. Ovviamente bisogna lavorare anche su questo aspetto, ma come stanno facendo tutti i siderurgici d’Europa. Credo che un elemento cruciale su cui si dovrà lavorare sarà la formazione e il reperimento del personale, un tema che però è comune a tutta la siderurgia italiana.

L’ARTICOLO FA PARTE DELLO “SPECIALE 2022” DI SIDERWEB, CLICCA SU QUESTO LINK PER SCARICARLO NELLA VERSIONE INTEGRALE


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