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Trump: i primi tre mesi da presidente

Stati Uniti: una politica commerciale ancora incerta

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Sono passati quasi tre mesi dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ed in molti ancora si interrogano su quale sarà la politica commerciale americana. 
Alcune indicazioni, tuttavia, cominciano ad emergere.

Innanzitutto l’impostazione della nuova amministrazione sembra essere quella di una destrutturazione degli accordi multilaterali a favore di un’impostazione basata su di una serie di rapporti bilaterali. In questo senso va letta la decisione di far saltare il Nafta, il Tpp e di cancellare da qualsiasi discorso ufficiale il Ttip che, per altro, già negli ultimi mesi dell’era Obama era stato affossato dai dubbi degli Stati europei.

Più in generale l’approccio di Trump potrebbe essere considerato come di estrema riluttanza alla globalizzazione di cui gli stessi Stati Uniti sono stati il dominus incontrastato dal secondo dopoguerra.

Washington sembra quasi voler abdicare al suo ruolo di potenza economica guida dell’Occidente per diventare una potenza economica slegata.

Non si spiega altrimenti l’intenzione lasciata trapelare da qualche settimana da parte dell’amministrazione di voler addirittura uscire dal Wto, l’idea dell’America First lanciata durante la corsa alla Casa Bianca dallo stesso Trump si traduce infatti nell’idea per cui gli Stati Uniti vogliano tornare ad essere una potenza economica slegata dalle regole del commercio internazionale.
Non si tratta di semplice suggestione, piuttosto di un’idea che l’America ha spesso accarezzato, ma che in altri momenti storici è risultata impraticabile per ragioni differenti.

Ora che il sistema internazionale è caratterizzato da un declino relativo della potenza americana e dall’ascesa della potenza cinese, Washington preferisce un’azione di retrenchement rispetto che il farsi carico dei costi di gestione di un sistema ormai multipolare, in cui l’egemone (gli Usa) con maggiore fatica tiene saldamente in mano il timone.

In scia a queste considerazioni vanno letti gli attacchi al surplus tedesco che sfrutterebbe un euro apprezzato per avvantaggiarsi sul mercato globale, ma anche l’annuncio di dare nuovo slancio all’industria pesante americana (che per ora è solo un annuncio) per tornare ad essere competitiva dal punto di vista manifatturiero.
Così come l’attacco normativo alle leggi verdi promosse da Obama dovrebbe garantire all’amministrazione Trump una crescita occupazionale nel settore energetico ed un aumento degli investimenti americani sul proprio territorio per le fonti energetiche non rinnovabili (Trump vorrebbe addirittura riaprire le miniere di carbone, prospettiva decisamente inattuale).

In quest’ottica la decisione della Fed di rialzare i tassi del dollaro va letta controluce. E’ indubbio che ci siano state frizioni tra lo stesso Donald Trump e Janet Yellen, numero uno della Federal Reserve, ma, da un lato, l’aumento del costo del dollaro rende meno appetibile il prodotto americano (e in questo si va contro i sogni di grande stimolo alle industrie statunitensi).

D'altra parte, per contro, viene neutralizzata l’operazione dell’Opec di ridurre la produzione di petrolio per far crescere il prezzo del petrolio. L’azione americana potrebbe provocare presto divisioni nel variegato fronte Opec e non è escluso che nei prossimi mesi ognuno dei principali produttori di petrolio possa defezionare dalle politiche di contenimento della produzione di barili giornalieri decise, un po’ a sorpresa, nel dicembre scorso.

Tornando sul piano del commercio internazionale, le cautele del segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, al recente G20 economico-finanziario che si è svolto a Baden Baden è indicativo di come la linea americana sia ancora in via di definizione.

Ma due aspetti su tutti vanno osservati con molta attenzione. Gli Stati Uniti non hanno reagito alla minaccia tedesca di introdurre una border tax per tutelare il manifatturiero tedesco (ed europeo). E, soprattutto, nel documento finale del vertice è stato tolto qualsiasi riferimento al rifiuto del protezionismo: si è trattato certo di un compromesso al ribasso per gli europei che, nel medio periodo, potrebbe favorire proprio gli Stati Uniti, ma anche la Cina.

Privando il commercio internazionale di una struttura regolatrice efficace, come potrebbe essere il Wto, viene lasciato spazio a ciò a cui punta davvero Trump: un accordo tra grandi potenze in uno scenario win-win per Pechino e Washington, con l’Europa al palo.

 


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