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Acciaio: serve una digital-enabled BMI

La riflessione di Antonio Maresca di Ernst & Young sulla Business Model Innovation in siderurgia

L’industria dell’acciaio ha svolto un formidabile ruolo di traino per l’economia italiana, sin dal dopoguerra e fino a oggi: ha consentito il boom economico del secolo scorso ponendo solide basi per il nostro attuale livello di benessere. Infatti l’acciaio è tuttora una delle materie prime maggiormente utilizzate dalle principali industrie “storiche” del Made in Italy: la meccanica, l’automotive, la cantieristica, gli elettrodomestici bianchi, solo per citarne alcune. Negli ultimi anni l’industria si è trovata a patire da un lato le grandi tensioni internazionali, derivanti principalmente dall’eccesso di capacità produttiva a livello mondiale; dall’altro le problematiche specifiche dell’economia nazionale, tuttora in affanno. Così come evidenziato da Siderweb in Industria e acciaio 2030 questo duplice fronte ha comportato, soprattutto a partire dalla crisi del 2007, una riduzione massiccia della produzione e dei consumi (dell’ordine rispettivamente del 20% e del 30%). L’assetto stesso dell’industria italiana dell’acciaio è ora minacciato. Appare pertanto sempre più necessaria (oltre che utile) un’autentica rivoluzione culturale: l’innovazione può e deve esserne il fulcro.

Dopo le fisiologiche incertezze iniziali, interi settori economici stanno rivoluzionando sé stessi attraverso il digitale. Si tratta di fenomeni che vanno al di là di informatizzazione, tecnologia, Industria 4.0: sono vere e proprie rivoluzioni culturali che trasformano l’essenza stessa delle filiere. Proprio questo è il motivo per cui riteniamo che affrontare in modo verticale due concetti “classici” quali innovazione di prodotto e innovazione di processo sia per certi versi limitante. Partendo dall’ecosistema complessivo dell’acciaio, infatti, un primo passo è disegnare quella che è la catena del valore in senso ampio, includendo non solo i settori a monte e a valle ma anche quelli “adiacenti”, che potrebbero in qualche modo essere impattati o che potrebbero influenzare. È dalla conoscenza del posizionamento dei nostri player nazionali all’interno di questa catena del valore che possono nascere idee di innovazione radicali: attraverso processi di contaminazione, clusterizzazione e integrazioni è possibile pervenire a nuovi (radicalmente nuovi) modelli di business. Non parliamo qui di capire quale sia la tecnologia produttiva del futuro: la nostra industria ha già le capacità necessarie per innovare nel proprio campo. Bisogna invece capire se esistano dei canali di monetizzazione alternativi in grado di sopperire ai cali di fatturato di cui si è detto, magari più che compensandoli.

Ma cosa significa, in pratica, innovare i propri modelli di business? Si tratta di ricercare modalità alternative per rendere profittevoli i propri asset produttivi, attraverso il ripensamento dell’offerta (fornendo ad esempio servizi anziché prodotti, oppure prodotti diversi) o l’integrazione lungo la filiera (a monte o a valle). I player nazionali possono insieme trovare modalità di collaborazione che li portino a nuovi modelli. Il concetto di contaminazione con professionalità diverse può e deve essere applicato; in questo senso le iniziative di Siderweb sono assolutamente opportune per un rilancio del settore. In primo luogo, quindi, serve un cambio di mentalità e un’apertura all’esterno delle nostre imprese. Dove sono in effetti le nuove opportunità? Sono nel posizionamento attuale degli operatori o sono forse nascoste in un posizionamento ibrido in cui operatori diversi approcciano il mercato in modo diverso? Inoltre, le esperienze di altri paesi e altri settori insegnano che spesso le innovazioni radicali di business model non provengono, almeno inizialmente, dai grandi player storici. L’innesco avviene invece dentro un ecosistema di innovatori che riescono a trovare il giusto sostentamento e il giusto incentivo allo sviluppo. Spesso infatti ci si dimentica che innovare vuol dire pensare fuori dagli schemi e rischiare. Il tutto potrebbe essere riassunto con una frase di Gianni Potti, presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici: “Le startup saranno il reparto R&D delle fabbriche”. In questo senso una capacità di scouting continuo del mercato e delle sue piccole realtà innovative, unita all’attitudine all’incubazione e integrazione continua, rappresentano importanti ambiti di crescita che aziende di altri settori hanno imparato a gestire, anche con funzioni e/o figure executive appositamente create.

Gli stessi modelli operativi delle aziende vanno riformati. Separare le vendite dal marketing dalle tecnologie aveva senso anni fa; adesso l’integrazione è la chiave di volta. C’è bisogno di funzioni agili, vicine al cliente, che possano modellare l’azienda stessa per rispondere alle esigenze del mercato, continuamente. Vicinanza al cliente, in effetti, non è uno slogan ma vuol dire intraprendere una serie di azioni ben precise: una leadership che guarda al mercato, formazione interna a tutti i livelli per capire, sistematicamente, l’impatto che ciascun dipendente ha sul mercato stesso, metriche di misurazione interna e/o esterna che siano market driven, conoscenza dei mercati finali che, seppur intermediati, guidano le scelte dei propri clienti e rappresentano colture fertili di opportunità non ancora colte. Si tratta dunque di un cambio di passo per le aziende, con uno sguardo a quello che il mercato non solo richiede ma ha anche da offrire in termini di innovazione. Senza però dimenticare che il Sistema Italia ha in sé delle peculiarità che vanno affrontate. Innanzitutto a livello governativo, con iniziative di pressione sulle istituzioni volte a favorire e incentivare un “rinascimento” dell’acciaio. In questo senso le recenti disposizioni del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda in materia di Industria 4.0 sono incoraggianti e vanno assolutamente intercettate e interiorizzate dal comparto nei suoi macro-filoni complessivi: governance, infrastruttura abilitante (es. banda larga), formazione mirata, ricerca e open innovation.

All’interno di questo framework, infatti, l’industria italiana dell’acciaio può muoversi per “educare” i potenziali utilizzatori, comunicando loro nuove forme di utilizzo dei prodotti. L’esempio fornito dalle piccole e medie imprese appare molto calzante. Il nostro tessuto economico ne è estremamente ricco, ma esse devono spesso convivere con la limitatezza delle risorse, sia in termini di conoscenza che di innovazione. Sebbene attori determinanti e spesso di successo nello svolgere un ruolo globale con forte impronta locale, alcune PMI manifestano ritardi importanti nell’intercettazione di nuovi prodotti che potrebbero rivoluzionare il loro modo di operare. Si pensi al caso dei pali in acciaio per vigneti dotati di sensori utili alle pratiche agronomiche. L’Italia (e non solo) è piena di vigneti e gli operatori del vino sono a caccia di “pratiche” che migliorino e stabilizzino la qualità del prodotto: quante opportunità può portare questo concetto, sia ai “vignaioli” a valle che alla stessa industria dell’acciaio? Quanti altri prodotti potrebbero essere inventati (o diffusi) attraverso la collaborazione tra settori, con un significativo potenziale di rilancio per intere industrie?

Altra opportunità da cogliere, di cui si parla spesso, è la diffusione capillare di pratiche costruttive antisismiche nell’edilizia italiana. Anche in questo caso, innovazione e integrazione opportune tra chi l’acciaio lo produce, chi lo trasforma, chi lo distribuisce e chi lo utilizza possono semplificare i processi produttivi, riducendo gli oneri economici e agevolando l’avvio della “rivoluzione”. È chiaro infatti che gli utilizzatori devono essere informati delle potenzialità dei prodotti, eventualmente anche di quelli sostitutivi. È altrettanto chiaro che la maturità del settore è altamente variabile, per cui anche solo una forte opera di comunicazione e formazione che innalzi il livello di competenze degli operatori a valle potrebbe bastare per portare enormi vantaggi a tutti.

Un altro tema di interesse è quello dell’economia circolare, che per un paese privo di materie prime come l’Italia rappresenta una vera e propria nuova frontiera che può agire da volano per il settore dell’acciaio e non solo. Un recente studio stima che la transizione verso modelli di economia circolare digital-enabled possa generare 4,5 trilioni di dollari di crescita globale entro il 2030, attualmente messi in discussione da modelli di business insostenibili. L’Unione europea quantifica poi in 600 miliardi di euro e 2 milioni di posti di lavoro le opportunità del pacchetto di norme sull’economia circolare. Può l’Italia giocare un ruolo da protagonista con un sistema innovativo di filiera grazie alle tecnologie digitali? A nostro avviso può, anzi deve. Ma solo un settore unito e compatto può riuscire a orientare in modo organico in primis l’azione legislativa in questo ambito.

Per concludere, le potenzialità esistono, ma vanno colte. Fenomeni quali la volatilità della domanda, la sua insufficienza, lo scarso incremento di produttività, la sovraccapacità non devono bloccare il settore. Ma il rinnovamento della terminologia non è una risposta sufficiente. Digital supply chain, cloud, b2b integration, analytics e big data, IoT, digital commerce e automation non bastano di per sé. È la Business Model Innovation la vera svolta. Digital-enabled. Perché le tecnologie abilitano, ma è l’uomo che fa le rivoluzioni.


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