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«Perché non cominciare da un sistema ed un mercato energetico veramente unificato per tutta Europa?»

E’ da parecchi mesi che si continua a discutere sulla sperimentazione della nuova tecnologia introdotta dall’Ilva di Taranto di utilizzare pellets di ferro preridotto insieme ai minerali ed il gas metano insieme al carbone coke per rendere sempre più “pulita” ed efficiente la più grande acciaieria d’Europa. Sulla base dei primi dati diffusi dall’azienda sembrerebbe che l’utilizzo di questa nuova tecnologia stia portando a buoni risultati. Ma se da un lato è vero che questo dovrebbe portare ad un effettivo risparmio energetico e ad un forte abbattimento delle emissioni di CO2 è anche vero che per raggiungere degli obiettivi concreti è necessario un piano economico di sviluppo che si basa su costanti investimenti in innovative tecnologie. Pertanto se da un lato esiste la certezza che le nuove tecnologie implicano un imponente piano finanziario e radicali trasformazioni impiantistiche, a nostro avviso esiste anche l’incertezza di come questi investimenti potranno essere ripagati. In un mercato dove le attuali quotazioni dei titoli di CO2 sono di poco superiori a 6,4 € e sino a qualche settimana fa erano sotto i 5,4 € per tonnellata diventa veramente difficile pensare che ci si possa ripagare gli investimenti in efficienza energetica. Chi è in grado oggi di fare investimenti senza la certezza che il relativo payback avvenga in un tempo ragionevole? Solo qualche anno fa e precisamente nel Giugno del 2008, si era registrato il prezzo record delle quote a 32,25 € per tonnellata di CO2, ma nonostante una previsione di raggiungere un valore di mercato pari a 40/45 €, che avrebbe quindi sostenuto gli investimenti, le quotazioni si sono dimezzate in soli sei mesi per poi precipitare progressivamente a valori che sono persino arrivati sotto 1 € per tonnellata di CO2. Il 23 Novembre 2007 le quotazioni hanno infatti registrato una quotazione di 0,06 € al diritto. Ci sono svariati fattori a cui possiamo attribuire la caduta dei prezzi dei titoli di CO2 ma sicuramente uno fra tutti è riconducibile alla pressante e continua crisi economica che ha portato ad una over capacity di titoli sul mercato continentale della CO2 dovuta ad un rallentamento della produzione da parte delle aziende che tuttavia hanno conservato i diritti di emissione. L’unica possibilità per riportare il mercato a valori che possano supportare investimenti nell’efficienza energetica è senza dubbio ritirare quote di tonnellate di CO2 dal mercato, bilanciando lo squilibrio tra domanda e offerta perché, seppur tra numerose difficoltà e imperfezioni, i sistemi di scambio delle emissioni continuano ad essere e lo saranno per molto tempo lo strumento di policy principale per la riduzione delle emissioni. Non dobbiamo tuttavia confondere la riduzione delle emissioni di CO2 come un passo in avanti per l’economia. Perché sostengo questo? Principalmente per il fatto che le emissioni di CO2 sono scese sensibilmente solo a causa di una crisi economica che si ripercuote in tutta Europa. Agli stessi valori di produzione e consumo di energia precedenti al 2008, le emissioni di CO2 sarebbero senza dubbio aumentate. Quindi non possiamo certo gioire per i risultati raggiunti nel contenimento delle emissioni se questo è dovuto ad un sistema industriale in continua contrazione. C’è da considerare infatti che i fabbisogni di energia elettrica nel nostro Paese sono ritornati ad essere analoghi a quelli del 2001 ossia sotto i 300 miliardi di kWh a fronte di previsioni che ci proiettavano a  420 miliardi di kWh. Mancano quindi all’appello 120 miliardi di kWh, dovuti alla crisi economica. Ma gli investimenti in nuove tecnologie mirati alla decarbonizzazione devono senza dubbio tenere conto anche di un altro fattore determinante: il prezzo del gas. Se è vero che gli attuali valori di mercato del gas possono ritenere remunerativa l’operazione c’è senza dubbio da considerare l’evoluzione che il prezzo del gas potrà avere negli anni a venire. Infatti, se da un lato la progressiva sostituzione del carbone con il gas porta ad un miglior impatto ambientale c’è però da considerare l’impatto che si avrebbe da un punto di vista industriale , di un possibile aumento delle quotazioni del gas. Perché un conto è fare analisi considerando il prezzo del gas metano ed un altro sentire parlare di prezzi dello “shale gas”. Il prezzo del gas negli Stati Uniti è un terzo di quello in Italia. E se ci basiamo solo sulla differenza fra gas naturale e shale gas il rapporto diventa di un quinto. Ed è proprio grazie a questa politica energetica che negli Stati Uniti oggi si sta assistendo ad un radicale processo di reindustrializzazione che sta portando le grandi multinazionali a riportare in patria la produzione che negli ultimi decenni era stata delocalizzata in Paesi come india e Cina. Purtroppo però in Europa, e soprattutto in Italia, sta avvenendo proprio il contrario. Si sta assistendo sempre più ad una delocalizzazione perché il costo delle energie è sempre più alto. Gli imprenditori e gli investitori in questo momento sono quasi costretti a fuggire per andare ad abbracciare un’alternativa di produzione che possa beneficiare di agevolazioni energetiche sussidiate. E per costo delle energie non si fa riferimento al puro costo della materia prima ma all’intera fattura che le aziende italiane devono sostenere, partendo dai prezzi di generazione passando per i costi di trasporto e dispacciamento per arrivare agli oneri di sistema ed alle tasse. Infatti seppur, da più di tre anni si assiste ad una costante e progressiva diminuzione del costo dell’energia di generazione su mercati spot dove si è passati da un costo medio di acquisto 2012 superiore ai 75,5 €/MWh agli attuali valori Calendar 2015 inferiori a 56,65 €/MWh, grazie a continue delibere e direttive gli oneri per la copertura dei costi di trasmissione, dispacciamento e soprattutto di sistema sono lievitati esponenzialmente andando ad annullare i benefici della riduzione dei prezzi dei mercati spot. La ripresa dell’economia Europea ma soprattutto Italiana è a rischio a causa degli elevati costi dell’energia. Cosa possiamo quindi fare per uscire da questa situazione? Prima di tutto non possiamo stare a guardare. Se è vero che da una parte anche lo shale gas ha dei problemi legati al rischio di inquinamento ed a fattori sismici è anche vero che dobbiamo assolutamente analizzare se in Europa questo combustibile può essere sfruttato, può essere competitivo e compatibile con l’ambiente. Probabilmente da noi non potrà mai avvenire ciò che è successo negli Stati Uniti, non avremo quantità di shale gas come loro, ma inevitabilmente dobbiamo comunque valutare le possibilità esistenti. Al tempo stesso e parallelamente dovremo comunque trovare altre strade. Non c’è bisogno di produrre più energia perché in questo momento ne abbiamo fin troppa. Abbiamo solo la necessità di renderla meno cara per poter essere competitivi con Paesi come Stati Uniti, Cina e India che grazie ai bassi costi di approvvigionamento sono e si rafforzeranno sempre più come poli industriali nel mondo. Pertanto non possiamo non reagire anche perché ne vale della nostra capacità di competere. Soprattutto in Italia dobbiamo studiare un complesso ma necessario piano energetico che possa aiutare l’intero comparto industriale a ridurre i propri costi per approvvigionamento energetico. Perché non cominciare da un sistema ed un mercato energetico veramente unificato per tutta Europa?

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Claudio Enriquez
Ad NUS Consulting Group 

 

 


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