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«Dove corre la corrente?»

Riemerge la crisi in Medio Oriente

Nelle ultime settimane la ripresa degli scontri in Medio Oriente ha nuovamente portato agitazione sui mercati energetici. Lungo questo periodo i prezzi dell’energia sono aumentati con Il Brent e il WTI che hanno sforato i loro range raggiungendo i picchi più alti del 2014. Al momento il Brent, che per la maggior parte dell’anno si è mosso fra i $104 e i $110 al barile supera i $114/barile mentre il WTI, che è rimasto la maggior parte dell’anno fra i $90 e i $110 al barile è attualmente leggermente al di sotto dei $107/barile. Ancora una volta il “colpevole” di questi movimenti dei prezzi è stato l’incremento delle tensioni geopolitiche.
Negli ultimi mesi i mercati globali si sono concentrati principalmente sui disordini e le incertezze in Ucraina che derivavano dalle proteste e dall’allontanamento del leader di vecchia data Viktor Yanukovych; registrando aumentiti quando la Russia ha annesso la Crimea e posizionato gli eserciti sui confini orientali dell’Ucraina. Gli operatori di mercato sono diventati più ansiosi quando nell’area sud-est dell’Ucraina le proteste hanno continuato a farsi sentire con gli attivisti pro-Russia che cercavano di far rientrare questa regione sotto il controllo della Russia. Tuttavia con il passare delle settimane il conflitto nel sudest dell’Ucraina è continuato senza un’incursione militare diretta da parte della Russia ed i mercati energetici hanno iniziato di conseguenza ad adeguarsi a questa situazione turbolenta. Inoltre le trattative continuamente interrotte e riprese fra il nuovo Governo ucraino guidato da Petro Poroshenko e la Russia hanno dato ai mercati una cauta speranza che forse è possibile arrivare ad una qualche risoluzione fra i due Paesi.
Mentre la situazione ucraina continua a ribollire sullo sfondo, i mercati energetici globali sono stati colpiti da un’altra crisi; nelle ultime settimane infatti gli insorti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante/Siria (comunemente detti ISIS) hanno intrapreso una pesante offensiva in Iraq. Il gruppo militante che ha combattuto con successo contro il regime di Assad in Siria, a quanto sembra, ha ora rivolto la sua attenzione all’Iraq. In una serie di attacchi lampo, ISIS ha superato le forze di sicurezza irachene e preso la città di Mosul, la seconda città più grande del Paese. Poco dopo, ISIS ha consolidato queste conquiste prendendo le città di Tikrit e Ramadi ed attualmente stanno chiudendo Bagdad spingendo gli Stati Uniti ed altre Nazioni ad evacuare il personale non necessario dalle loro ambasciate. ISIS sta anche combattendo le forze del Governo iracheno nella città di Baiji che ospita la più grande raffineria petrolifera dell’Iraq e le forze Curde Peshmerga hanno preso il controllo della città di Kirkuk.
Gli eventi in Iraq stanno evolvendo rapidamente tanto che gli Stati Uniti hanno mosso le strutture militari nell’area per dare al Presidente Obama delle opzioni militari dal momento che gran parte delle aree controllate dall’esercito americano durante la guerra dell’Iraq sono andate perdute. In mancanza di truppe stazionarie in Iraq e data la probabilità quasi nulla che vengano reimpiegate, l’unica opzione reale per gli Stati Uniti è quella di compiere degli attacchi aerei strategici per supportare il Governo di Maliki. Nel valutare queste opzioni, gli USA hanno ventilato l’ipotesi di una cooperazione con l’Iran per supportare in modo congiunto il Governo iracheno per respingere la minaccia ISIS. Questo, tuttavia, metterebbe sicuramente il Governo Obama in una posizione problematica dato che sta imponendo della sanzioni all’Iran reputandolo un sostenitore del terrorismo globale. Queste discussioni al momento sembrano essere poco credibili e riteniamo sia molto improbabile che possano avere seguito.
Negli ultimi anni, l’Iraq è diventato il secondo più importante esportatore di petrolio per l’OPEC. Dopo la guerra in Iraq il Paese ha costantemente aumentato la sua produzione a 3.3 milioni di barili al giorno (prima degli avvenimenti recenti puntava a 4.0 milioni di barili al giorno entro la fine dell’anno) ed esportazioni di circa 2.6 milioni di barili al giorno verso i mercati energetici globali. Come conseguenza delle sanzioni la produzione/esportazioni dell’Iran sono diminuite negli ultimi anni e i disordini in Libia hanno significativamente ridotto le esportazioni sul mercato nell’ultimo anno; di conseguenza qualsiasi diminuzione produttiva in Iraq sarebbe un duro colpo per i mercati energetici globali. Sebbene l’Arabia Saudita dichiari di avere una capacità produttiva in eccesso di circa 2.5-3.5 milioni di barili/giorno e gli USA stiano producendo a livelli mai visti dalla fine degli anni 80, la perdita concreta del contributo iracheno sarebbe difficile da compensare. Secondo quanto riportato negli ultimi notiziari, la produzione e le esportazioni irachene non sono state colpite dai recenti eventi. Infatti, la maggior parte della strutture irachene attuali per la produzione ed esportazione si trovano nel sud del Paese e quindi hanno subito solamente delle interruzioni limitate. Tuttavia, dal momento che ISIS si sta muovendo sempre verso Bagdad è più probabile che le organizzazioni internazionali dovranno ritirare altri operatori dalla zona e prendere delle misure precauzionali che potrebbero effettivamente ripercuotersi su queste strutture produttive. Come dichiarato durante gli scontri in terra araba che hanno avuto luogo in Medio Oriente e nel Nord Africa nel 2011, noi abbiamo sempre creduto che le transizioni del potere politico siano dei processi difficili, soprattutto in Paesi gestiti da dittatori di vecchia data con delle istituzioni o un potere politico troppo debole. La Libia, e ora l’Iraq, hanno dimostrato che laddove si ha un vuoto politico, le divisioni settarie/religiose riemergeranno creando degli scontri fra diverse frange della popolazione. In Iraq il Governo di Maliki, che è dominato dal gruppo sciita, ha ampiamente escluso i suoi rivali sunniti da qualsiasi partecipazione significativa al Governo. ISIS, che è un’organizzazione di matrice sunnita, al momento sta sfruttando il malcontento della propria comunità per fomentarla nel tentativo di destituire il Governo iracheno e garantirsi il controllo di una porzione significativa del Paese. Sembra sempre più probabile che l’Iraq verrà diviso in tre regioni autonome basate principalmente sulle linee religiose: curdi, sunniti e sciiti. L’unico possibile barlume di speranza per i mercati è che, se dovesse verificarsi questa suddivisione, ciascuno dei gruppi religiosi rivali avrà bisogno di fondi per supportare e costruire il potere/controllo politico nelle rispettive aree. Non ci sono dubbi che la fonte di questi fondi sarebbero i ricavi petroliferi e di conseguenza sarebbe interesse di ciascun nuovo Governo regionale di schierarsi con i consumatori globali di energia.
Tuttavia è importante sottolineare che l’attuale stato delle cose in Iraq rende estremamente difficile la previsione di un percorso futuro chiaro.
I mercati energetici globali che sono già molto preoccupati dalla perdita di produzione di uno dei produttori principali devono ora affrontare la situazione incerta dell’Iraq e, di conseguenza, la volatilità diventerà un problema dominante. Qualora gli Stati Uniti decidessero di supportare il Governo iracheno attraverso un attacco aereo strategico o con i droni e dovessero riuscire a bloccare/respingere le forze ISIS e diminuirne le disponibilità, si potrebbe ottenere un effetto calmierante sui mercati. Ma se gli Stati Uniti continueranno ad esprimersi in modo ambiguo, l’Iran non supporterà attivamente il Governo sciita di Maliki e ISIS continuerà ad avanzare verso Bagdad ed il sud dell’Iraq, molto probabilmente assisteremo ad un aumento dei prezzi e ad una grande volatilità dal momento che la prospettiva di una concreta interruzione della produzione diventerebbe più probabile.

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