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HRC: «Realistico che i prezzi tornino vicini agli 800 €/t»

Emanuele Norsa a MERCATO & DINTORNI. «Ma la domanda è debole e il trend globale è incerto»

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Dopo aver sfiorato i 600 euro la tonnellata lo scorso ottobre, i prezzi dei coils laminati a caldo (HRC) in Nord Europa hanno fatto registrare una ripresa sostenuta essenzialmente da un aumento dei costi delle materie prime; a cui si aggiunge un miglioramento del sentiment dopo un lungo periodo di debolezza della domanda. Tra novembre e gennaio, il principale produttore europeo, ArcelorMittal, ha alzato le proprie offerte quattro volte. Tuttavia, l’ultimo prezzo-obiettivo (800 €/t) non è ancora stato raggiunto, con i prezzi di transazione che sono rimasti per ora attorno ai 750 €/t circa.

È iniziata da qui la presentazione di Emanuele Norsa (Kallanish e collaboratore siderweb) durante il webinar di siderweb MERCATO & DINTORNI, dedicato alle prospettive per il settore dei piani.

Cosa succederà nei prossimi mesi? Secondo Norsa, è «realistica la possibilità che si torni a livelli vicini agli 800 €/t», ma è anche possibile che le spinte ribassiste – la scarsa domanda e un trend internazionale "incerto" – abbiano la meglio. Esaminando l’andamento dei prezzi dei coils nelle principali regioni del mondo, l’analista ha evidenziato come in Cina e Giappone la ripresa sia stata meno marcata che in Europa e, addirittura, come abbia lasciato posto a una lieve diminuzione nelle ultime due settimane. Per contro, i prezzi dei coils a caldo dall’India, grazie alla spinta della domanda interna, risultano più alti di quelli dei suoi competitor asiatici. Anche le quotazioni turche hanno registrato una ripresa, in questo caso dovuta al rimbalzo del rottame, e oggi risultano le più care. 
Quanto ai prezzi statunitensi, per quanto «scollati» da quelli del resto del mondo dopo l'introduzione dei dazi della Section 232, si osserva oggi una flessione che potrebbe impattare sui prezzi nel Nord Europa nel breve periodo. «Va notato tuttavia che il prezzo degli HRC negli Usa è riuscito ad avvicinarsi molto ai picchi del 2023, cosa che non si può dire per il prezzo in Nord Europa», ha sottolineato Norsa.

Concentrandosi sulla Cina, Norsa ha ricordato che il Paese esce da un 2023 relativamente complicato, caratterizzato da una flessione della domanda di acciaio e una produzione che, seppur stabile rispetto al 2022, è stata comunque più alta del previsto. «C’è stato quindi un surplus di materiale, e non è un caso che la Cina sia tornata ad affacciarsi prepotentemente sull’export. Ne è una prova il fatto che in Brasile le importazioni dalla Cina sono quasi raddoppiate rispetto agli anni precedenti», ha affermato l’analista. Quest’anno, l’output cinese dovrebbe risultare in linea con quello dello scorso anno, mentre la domanda dovrebbe mostrare un recupero. «Nel lungo periodo, tuttavia, come riconosciuto anche dalla CISA (China Iron and Steel Association, ndr), la Cina vedrà una diminuzione della domanda interna e dunque una necessaria riduzione dell’output di acciaio». Riduzione che potrebbe avere un impatto limitato sul resto del mondo, a patto che ad essa corrisponda l’ottenimento di quote importanti da parte dell’India, ad oggi il Paese con le maggiori potenzialità di crescita.

Sul fronte delle materie prime, il minerale di ferro lo scorso anno si è mantenuto su prezzi molto al di sopra delle aspettative. Prezzi che recentemente hanno mostrato segni di cedimento ma che, ha commentato Norsa, «rimangono comunque molto alti». «Quest’anno – ha evidenziato – hanno già raggiunto livelli superiori ai massimi del 2023, cosa che non si può dire per gli HRC. Da ciò si evince che la redditività resta un importante fattore cui fare attenzione».

In sintesi, «mercati globali e prezzi del minerale di ferro puntano al ribasso, mentre i costi di importazione puntano al rialzo, considerate le difficoltà legate alle quote della Salvaguardia Ue, le tensioni nel Mar Rosso e l’aumento dei costi di nolo». A proposito di Salvaguardia, Norsa ha rimarcato come le quote trimestrali maggiormente utilizzate siano per esempio quelle relative agli HRC da “altri Paesi” e agli zincati cinesi, prodotti per i quali gli importatori hanno dovuto pagare una percentuale del dazio. «Per il secondo trimestre – ha affermato – ci si aspetta che le quote assegnate ad “altri Paesi” vengano utilizzate rapidamente, così come una parte di quelle assegnate all’India, Paese che negli ultimi mesi ha visto numerosi ordini. La Turchia resta invece scarsamente competitiva, dunque le relative quote dovrebbero essere ampiamente disponibili». Per quanto riguarda un eventuale rinnovo delle misure, l’analista ha detto che «ci si aspetta che la Salvaguardia verrà confermata per almeno un anno, in modo che faccia da ponte col CBAM (il cui avvio è fissato per il 1° gennaio 2026)». E ha ricordato che «in Germania le regioni in cui sono presenti acciaierie hanno chiesto di prolungare le misure per due anni».

Chiudendo sulla crisi del Mar Rosso, Emanuele Norsa ha spiegato che «oggi le spedizioni dall’Asia verso l’Europa impiegano 14 giorni in più per fare il giro dal capo di Buona Speranza; un elemento da tenere in considerazione, in quanto rende i fornitori indiani, cinesi e giapponesi meno competitivi sull’Europa dal punto di vista dei costi». E che, inoltre, «offre nuove possibilità ai fornitori turchi e anche una riapertura del dialogo con la Russia, attualmente colpita da sanzioni. Il 2024 potrebbe infatti essere un anno di risoluzione dei conflitti e questo potrebbe portare a una normalizzazione dei rapporti con la Russia. In tal caso, lo scenario cambierebbe completamente, vista la riapertura di un importante canale per l’Europa». «Ad oggi, tuttavia – ha concluso l’analista – la situazione nel Mar Nero è quella che sappiamo e fa sì che la potenziale discesa dei prezzi asiatici sia bilanciata da costi più alti. I produttori europei hanno dunque a che fare con una competizione “controllata” sull’import e non hanno urgenza di abbassare i prezzi».

  


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