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La continuità dell’impresa tra teoria e pratica

L’analisi del “Decreto Liquidità” di Claudio Teodori (Università di Brescia)

Alcuni giorni fa, esattamente l’8 aprile, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un Decreto legge molto atteso, battezzato «Decreto liquidità». Il ritardo è in parte riconducibile alla definizione della collocazione politica di Sace, con due soggetti (MEF e CDP) che assumeranno ruoli che si spera non confliggano.
Il provvedimento, al di là della sua denominazione e per quanto qui di interesse, affronta più aspetti, anche legati al bilancio, alla continuità delle imprese, alle procedure concorsuali.
Come sempre in Italia, il testo è molto complesso e farraginoso, soprattutto per le PMI, le realtà che maggiormente necessiterebbero di questo supporto finanziario.
Le domande che vengono spontanee dalla sua lettura sono molte: saremo inondati di denaro? Come potremo utilizzarlo? Come dovremo fare il bilancio? Come sarà letto? Quando un’impresa sarà considerata in crisi?

Rispondere a queste domande non è semplice ma vi sono alcuni punti che vale la pena esaminare, partendo proprio dalla liquidità, visti i 400 miliardi di cui si sente continuamente parlare, che devono però aspettare, almeno in parte, il semaforo verde dell’Ue. Nel decreto non ci sono regali, risorse a fondo perduto dove le imprese possono attingere ma garanzie per permettere alle stesse di indebitarsi verso il sistema bancario, al fine di superare i problemi finanziari che inevitabilmente nascono quando l’attività viene bloccata o significativamente ridotta. Lo Sato, attraverso Sace e il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, agevola le imprese verso l’ottenimento di quelle risorse che le dovrebbero permettere di assolvere ai pagamenti in scadenza e, laddove possibile, di preparare la ripartenza che però non si sa quando sarà.

Bene, si potrebbe pensare, vista la situazione sarà sicuramente immediato ottenere tali finanziamenti: non proprio, perché regole certe non ci sono. Il disciplinare di Sace non è ancora disponibile e, quindi, neppure la nuova modulistica da utilizzare, che si auspica sia semplice. Inoltre, non sono ancora disponibili tutte le coperture.

Il sistema delle garanzie, assai complesso anche in termini di vincoli, è sostanzialmente articolato in base alla dimensione delle imprese: al crescere di quest’ultima, si riduce la percentuale garantita, compresa tra il 90% e il 70%. Appare evidente che, esclusi i pochi casi dove la garanzia potrebbe arrivare al 100% (piccole imprese con prestiti fino a 25 mila euro con procedura automatica di assegnazione), negli altri è previsto (e necessario) un processo valutativo del merito creditizio. In sostanza, non ci sono automatismi e neppure certezze di ottenere il finanziamento. In questo ambito, fondamentale sarà il ruolo delle banche, che dovranno dimostrare alta flessibilità, riducendo al minimo gli aspetti burocratici, anche in merito alle domande di moratoria. In altri termini, così procedendo, la responsabilità sulla concessione dei finanziamenti cadrà totalmente sugli istituti di credito.

Non dimentichiamoci, però, che si tratta di prestiti, che andranno restituiti e, considerata la situazione attuale, neppure in tanti anni: entro sei, troppo pochi in molti settori di attività. Il valore garantito è determinato in base ad alcuni parametri: il fatturato (il riferimento è il 25%) e il costo del lavoro (il riferimento è il doppio).

In ogni caso, la liquidità serve per fare ripartire le imprese italiane ma, almeno fino al 3 maggio, molte saranno ancora chiuse, mentre sono operative le sedi all’estero e soprattutto i concorrenti esteri: in questa situazione, non certo equa, il tema degli investimenti per non poche imprese non è certo prioritario. Le risorse eventualmente ottenute da una parte possono permettere di respirare; dall’altra potrebbero però rappresentare un primo vincolo sul futuro se la ripartenza non sarà immediata.

Nel decreto non c’è però solo liquidità: l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza è differita di un anno e rinviata a settembre 2021. Si tratta di una decisione condivisibile, in quanto in questi mesi è difficoltoso introdurre nuove regole. Tuttavia, il Codice contiene degli strumenti di allerta che le imprese dovrebbero comunque utilizzare, verificando la loro collocazione rispetto alle soglie definite che, si ricorda, sono molto generose: ciò significa che se non vengono rispettate la situazione è comunque grave, anche se non scattano le segnalazioni. In sostanza, il rinvio del Codice non ferma le crisi, semplicemente ne rinvia gli effetti e, ironia della sorte, le valuterà inizialmente proprio sui bilanci 2020.

Contestualmente sono sterilizzate le perdite di esercizio, nel senso che non scattano i provvedimenti legati alla riduzione del capitale sociale e alla conseguente possibile liquidazione, con esclusione anche della responsabilità degli amministratori.

Inoltre, vi è il blocco delle istanze di fallimento fino al 30 giugno (ad eccezione di quelle avanzate dal pubblico ministero) e sono previsti alcuni interventi dilatatori sui concordati preventivi e sugli accordi di ristrutturazione del debito.

Sono anche favoriti i finanziamenti dei soci o di chi esercita attività di direzione e coordinamento verso l’azienda, sospendendo fino al 31 dicembre 2020 la clausola della postergazione al momento del rimborso, indipendentemente dalle condizioni economiche dell’impresa che li riceve: si tratta di un ulteriore stimolo per fare arrivare liquidità alle imprese, con un rischio “minore” per chi eroga.

Con riferimento al bilancio, infine, l’anno di interesse è il 2020. Per il bilancio relativo al 2019 non vi sono osservazioni da formulare, salvo la necessità di assegnare un adeguato spazio alle informazioni sull’impatto, fino alla data di approvazione dello stesso, dell’emergenza sanitaria. Tale illustrazione dovrà essere effettuata in nota integrativa (fatti di rilievo intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio) e in relazione sulla gestione (evoluzione prevedibile della gestione): più la data di approvazione si posticipa, maggiori saranno le informazioni da fornire.

Tornando al bilancio 2020, si “congela” per un anno qualsiasi valutazione sulla possibilità dell’impresa di continuare ad operare, purché tale condizione sia presente al momento di chiusura del bilancio 2019 (meglio, del bilancio chiuso con data antecedente al 23 febbraio 2020): i criteri di valutazione saranno quindi applicati nella prospettiva di funzionamento (come sempre) e non di liquidazione. Su questo punto si attendono, nei mesi futuri, le posizioni degli organismi contabili, professionali e scientifici. Per rientrare in questa fattispecie è necessario che la situazione di crisi sia indotta dall’emergenza sanitaria: se già presente prima, le misure non sono applicabili.

In conclusione, il decreto certamente rappresenta uno “sforzo teorico” importante, sui cui effetti operativi paiono esservi alcune incertezze che si auspica vengano eliminate in sede di conversione.

 

Claudio Teodori


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