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Ferriera di Servola: termina una storia secolare

Nata sotto l'impero austro-ungarico, è stata sempre protagonista della storia della città di Trieste

Quando venne costruita la Ferriera di Servola – nel 1896 dalla Krainische Industrie Gesellschaft di Lubiana, per la produzione di ghisa e ferrolega destinate a rifornire altri impianti – Trieste era ancora parte dell'impero austro-ungarico che sulla città puntava molto. C'era infatti stata, nel 1857, la costruzione della prima grande ferrovia dell'impero (Südbahn), che la collegava con Vienna, e poi del Porto Nuovo, che portarono ad una rapida espansione del commercio triestino.

undefinedLa storia industriale della città – la prima colata, alla Ferriera, avvenne il 24 novembre del 1897 e la foto, tratta da Wikipedia, è relativa ai primi anni del '900 – si è sempre intrecciata con quella politica e sociale, visto che Trieste, insieme a Trento, fu tra i centri principali dell'irredentismo italiano, che voleva l'annessione all'Italia di quei territori, per lo più abitati da italiani.

Poi, quando alla fine della Prima guerra mondiale, l'impero si dissolse, si avviò una lunga fase che determinò – non senza tensioni di carattere nazionalistico – la situazione attuale, ma nel frattempo Krainische Industrie si ritrovò con tre stabilimenti localizzati in altrettanti territori governati da Paesi diversi: uno nel Regno dei serbi, dei croati e degli Sloveni; uno in Austria e uno – Servola – in Italia.

Una prima svolta si registrò nel 1924, quando la Ferriera fu presa in affitto dalla Società Altiforni e Acciaierie della Venezia Giulia, che la controllò fino al 1931, quando lo stabilimento entrò a far parte di Ilva (che allora era di Iri-Finsider), che avviò una fase di ammodernamento e potenziamento che ne determinò una crescita importante, tanto che nel 1939 a Servola lavoravano 1.670 persone.

Tra gli anni '60 e '80 del secolo scorso, la Ferriera cambiò pelle pelle più volte: nel 1961; in seguito alla fusione di Ilva con Acciaierie di Cornigliano e la nascita di Italsider, che divenne proprietario dell'impianto triestino; l'acciaieria viene dismessa ma si ampliò il reparto fonderia. Nel 1982, lo stabilimento passò ad Attività Industriali Triestine, controllata dalle Acciaierie di Terni a sua volta parte del gruppo Iri-Finsider.

Nel 1988, poi, arrivò la privatizzazione: il gruppo Pittini (unico produttore di pani di ghisa in Italia) divenne il nuovo proprietario ed investì 300 miliardi di lire per riammodernare l'altoforno e costruire una nuova acciaieria a colata continua, ma la crisi del mercato del1993 non gli permise di rientrare dei capitali investiti e la Ferriera, il cui nome era stato cambiato in Altiforni e Ferriere di Servola - AFS S.p.A., venne commissariata e tutti gli impianti, ad eccezione della cokeria, furono fermati.

Nel 1995, per una somma di 53 miliardi di lire, il controllo di tutto venne assunto dal consorzio composto all'80% da Lucchini e per il 20% da Bolmat (Bruno Bolfo – titolare di Duferco – e Vittorio Malacalza) che rimise gradualmente in marcia gli impianti e dando lavoro a 600 persone.

Nel 2002, però, l'acciaieria venne di nuovo chiusa ed a febbraio del 2005 il gruppo russo Severstal acquisì il 62% della Lucchini, arrivando progressivamente fino al 100%.

Il 21 dicembre del 2012, dopo la richiesta di amministrazione straordinaria presentata dalla stessa azienda, il ministero dello Sviluppo economico designò Piero Nardi quale Commissario di Lucchini S.p.A. (e quindi anche della Ferriera di Servola) in amministrazione straordinaria.

ferriera servola alto

Nel 2015, l'impianto - che nella foto vediamo dall'alto, nel frattempo inserito tra quelli facenti parte di “area di crisi complessa” e spesso chiamato «l'Ilva del Nord-Est», non sempre con un'accezione positiva – venne acquisito dal gruppo Arvedi, che sottoscrisse un accordo di programma con le istituzioni per la messa in sicurezza ambientale e la reindustrializzazione dell'intera area.

Il resto è storia di questi giorni: con lo spegnimento – stavolta definitivo – dell'altoforno, che rappresenta un passo epocale, visto che era ormai l'ultimo esistente in Italia oltre a quelli di Taranto, oggi in gestione da ArcelorMittal.


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