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Petrolio: checkpoint dopo il primo trimestre

Enriquez (Nus Consulting): «Quotazioni su solo se l’accordo OPEC tiene, altrimenti si torna a 45 dollari»

Dopo un 2016 caratterizzato da un’elevata volatilità sul fronte delle quotazioni dell’oil & gas, inizia l’approfondimento che Siderweb vuole dedicare a questo particolare settore utilizzatore di acciaio, tra i più penalizzati lo scorso anno. Ad aiutare la community dell’acciaio a capire meglio quali saranno i punti nodali per il 2017 è, in questa occasione, Claudio Enriquez, amministratore delegato di Nus Consulting, società specializzata nella consulenza alle aziende in materia energetica.



Il recupero si basa su una promessa

«Il 2017 si è aperto al centro di una ripresa del mercato che è stata accesa da un accordo tra i membri dell'OPEC per ridurre la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno (BPD) – spiega Enriquez-. Accordo che inoltre è stato esteso ad alcuni produttori non OPEC che si sono impegnati a ridurre l’output di ulteriori 600.000 barili al giorno, di cui 300.000 sono in capo alla Russia. Questi elementi, sul finale del 2016, hanno portato le quotazioni del greggio anche a superare i 50 dollari al barile. L’intesa è entrata in vigore il 1 ° gennaio 2017 e continuerà per un periodo di sei mesi, prorogabili se le circostanze lo giustificheranno».

Per questo motivo quindi si è assistito ad una fase di mercato con un trend delle quotazioni particolarmente ottimista sul finale dello scorso anno, ma che ora si sono stabilizzati perché si attende la conferma degli impegni di taglio OPEC/non-OPEC.

«La logica alla base di questo accordo è creare un meccanismo con il quale “drenare” le scorte mondiali di petrolio – prosegue Enriquez -. In teoria, la riduzione delle scorte globali avrebbe dovuto creare una base ai prezzi accelerando il riequilibrio del mercato. Non ci sono dubbi sul fatto che i principali produttori di petrolio a livello mondiale (Arabia Saudita e Russia) necessitino di stabilizzare i prezzi per alleviare l'espansione dei deficit di bilancio dei loro governi a causa della loro forte dipendenza dalla tassazione dei proventi dei ricavi del petrolio. Il recente aumento dei prezzi ha funzionato parzialmente, ma non ha risolto questo problema. La vera minaccia al rispetto di questo accordo risiede quindi nella continua necessità di diversi partecipanti di aumentare o massimizzare i ricavi del greggio per sostenere i bilanci pubblici nazionali. Chiaramente, se tutti (o almeno i maggiori) membri OPEC e non-OPEC non rispetteranno i loro impegni, allora l'intero accordo andrà in fumo. Ovviamente, la cosiddetta parte del leone sui tagli di produzione OPEC la dovranno fare l’Arabia Saudita e l’Iraq, mentre la maggior parte delle riduzioni non OPEC dovrà arrivare dalla Russia».




Nigeria e Libia sono le incognite

La società internazionale di consulenza valuta con fiducia il fatto che l’Arabia Saudita applichi effettivamente i tagli annunciati, anche perché si inseriscono in un piano di moderata riduzione produttiva che il Paese aveva già deciso di intraprendere. Tuttavia è molto probabile che resterà l’allerta relativa all’effettivo rispetto degli accordi che potrebbe essere condizionato dal timore di perdere quote di mercato.

«Per quanto riguarda l'Iraq, non siamo così ottimisti - afferma il manager-. Nel corso delle trattative OPEC, l'Iraq ha sostenuto che dovrebbe essere esentato dalla partecipazione a causa dell'impatto della guerra in Iraq e della sua attuale battaglia con l’ISIS. Alla fine, l’Iraq - a malincuore - ha accettato di partecipare, contribuendo alla riduzione di 210.000 barili al giorno. È da ricordare inoltre che una parte materiale della produzione di greggio dell'Iraq è al fuori della compagnia petrolifera nazionale di controllo (North Oil Company), che giace in mani curde. Sembra altamente improbabile che questa regione semi-autonoma sia disposta a rispettare i termini di un accordo OPEC a cui non ha partecipato. Un’ulteriore incognita viene inoltre dal fatto che dall’intesa sono state esentate Libia e Nigeria.

Negli ultimi mesi la Libia ha continuato ad aumentare le sue cifre di produzione giornaliera - distribuendo attualmente 700.000 barili al giorno rispetto ai 580.000 barili al giorno del mese di novembre.
Inoltre, di recente, il libico NOC (National Oil Corporation) ha riferito di aver riaperto l'ultimo dei suoi principali nove terminal di esportazione (Zawiya), che dovrebbe nuovamente aumentare la produzione a 900.000 barili al giorno. Prima della rivolta libica, che ha rovesciato il suo Governo nel 2011, il NOC produceva 1,6 milioni di barili al giorno. Inoltre, per quanto riguarda i membri non-OPEC, la Russia si è impegnata a ridurre la produzione a 300.000 barili al giorno. Dopo l'accordo, i funzionari russi hanno affermato che eventuali tagli sarebbero stati attuati "gradualmente" a causa di problemi tecnici e che il loro impegno era subordinato al rispetto dei patti da parte di tutti i membri dell'OPEC».




Domanda stabile e investimenti ancora alla porta

In aggiunta a questi fattori vi è il fatto che l’innalzamento delle quotazioni abbia reso nuovamente competitivi diversi impianti americani di estrazione da scisto. Secondo Nus Consulting il primo checkpoint per capire la reale tenuta dell’accordo si potrà avere solo al termine del primo trimestre dell’anno, anche perché un ruolo fondamentale per poter valutare in maniera completa le prospettive dell’anno verrà dato dalla verifica sui livelli della domanda effettiva.

«Quando si analizza il mercato dell'energia, l'altra parte dell'equazione è il livello di richiesta globale –conclude Enriquez-. Come per l’anno 2016, continua ad essere nostra opinione che il 2017 sarà un anno di crescita bassa (al di sotto della tendenza). Questo nonostante l'amministrazione Trump abbia promesso di concentrarsi sull'economia nazionale ed in particolare sullo sviluppo del lavoro, sulle spese per le infrastrutture, sulla revisione regolamentare e sulla riduzione delle tasse. Chiaramente questi sono nobili obiettivi di politica e potrebbero presumibilmente accelerare la crescita economica. Tuttavia, l'attuazione di queste politiche sembra remota se si guarda all’enorme debito degli Stati Uniti. Anche al di fuori degli USA non sembra esserci una grande quantità di opzioni per l'accelerazione della crescita.

L’Europa continua ad essere impantanata e il tasso di crescita della Cina sembra moderato. Pertanto, è nostra opinione che la domanda complessiva per il petrolio rimarrà stabile e pertanto non prevediamo alcun aumento significativo della domanda globale.  In sintesi, riteniamo che il mercato globale dell’energia rimarrà nel corso dell’anno 2017 in overcapacity rispetto ad una domanda che sarà stabile. Di conseguenza, è presumibile che i prezzi internazionali resteranno sui livelli attuali nella prima parte dell’anno.

In seguito, se i tagli non si concretizzeranno come promesso, il mercato darà indietro una gran parte del recente rialzo stabilizzandosi in un range simile a quello già visto lo scorso anno, tra 35 e i 45 dollari per barile. Se, invece, i partecipanti dovessero rompere con la storia e ridurre per davvero la produzione per adempiere ai loro impegni, il mercato potrebbe prendere un'altra strada con conseguente aumento dei prezzi».

In questo bivio si colloca anche il riavvio o meno degli investimenti di settore, il vero driver della domanda mondiale di acciaio in termini di oil & gas. Se il mercato al termine del primo trimestre prenderà la via della discesa, i progetti di nuovi impianti resteranno, tranne alcuni casi, chiusi nel cassetto. Se invece ci si troverà di fronte ad una vera ripresa, anche in questo caso ci si potrà trovare dinnanzi ad una vera e propria rivitalizzazione delle richieste.


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