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Innovazione e I4.0, una sfida per il futuro

Le riflessioni del coordinatore del tavolo Massimiliano Panarari

La strada degli Stati Generali dell'ACCIAIO, che porta alla edizione 2017 di Made in Steel, è lunga e tuttavia (fortunatamente) più che di ostacoli appare costellata di riflessioni e spunti interessanti. Come quelli emersi nel corso degli interventi della mattinata del 30 settembre, in cui si è svolto l'incontro del Tavolo “Innovazione e Rivoluzione digital” organizzato da Siderweb all'interno della sede milanese dell'Associazione Italiana di Metallurgia.

Un appuntamento decisamente ricco che ha visto una trentina di interventi (dopo le introduzioni di Emanuele Morandi, Lucio Dall'Angelo e Carlo Mapelli), e che ha ridefinito l'impostazione di partenza dei lavori, la quale aveva identificato quali elementi cardine del dibattito e della sua organizzazione i tre ambiti dell'innovazione di prodotto, di processo e tecnologica.

Ma la digital transformation è, come i partecipanti al Tavolo hanno sottolineato in maniera pressoché concorde, un “flusso” che oltrepassa e, in qualche modo perfino trascende, la dimensione pur centrale dei processi produttivi e delle tecniche e tecnologie che presiedono al loro funzionamento. Essa si fa e diviene “cultura”, un tema caro a Siderweb e uno dei focus e delle filosofie ispiratrici dei percorsi degli Stati generali dell'Acciaio (nonché dei contributi specifici che si vogliono portare a “Made in Steel” 2017). Perché la rivoluzione digitale, hanno rimarcato interventi come quelli di Riccardo Trichilo (di AQM, il quale ha evocato espressioni quali “Rinascimento digitale” e “Umanesimo digitale”, perorando l'opportunità di parlare di un' “Era 4.0” al posto della formula “Industria 4.0”), di Giancarlo Gervasoni (ZeroUno), di Claudio Morbi (STAIN), di Marino Piotti (Superpartes) e di Francesca Morandi (Morandi Group, con un intervento particolarmente riferito alle giovani generazioni), è tale nella sua complessiva portata cognitiva e, potremmo dire, “gnoseologica”; ovverosia, cambia anche i nostri punti di vista e le nostre modalità di comprensione, mentre modifica l'economia dopo avere già mutato la nostra way of life

I concetti di disruption e disruptive economy si rivelano così “a 360 gradi” e globali, dal momento che il combinato disposto di processi di digitalizzazione, manifattura 4.0 e Internet delle cose valica il livello della produzione intelligente per farsi direttamente “spirito dei tempi”.

L'acquisizione di questa consapevolezza, seppur all'insegna di accenti differenti correlati ai diversi ruoli ricoperti all'interno della filiera economica e produttiva, si può ampiamente considerare “cosa fatta” tra i ricercatori e i consulenti come Giacomo Copani (Cnr), Guido Chiappa (Csm) e Antonio Maresca (E&Y); i dirigenti bancari (come Costantino Miri e Stefano Dorigatti del Banco Popolare); gli esponenti dei grandi gruppi siderurgici e dei loro partner produttivi, industriali e della distribuzione come Bruno Sonetti (Marcegaglia), Rolando Paolone (Danieli), Alessandro Trivillin (ABS) ed Enrico Frizzera (Manni); Fausto Capelli (Centro Inox) e Simona Martelli(Fondazione promozione acciaio). Ma proprio la sua declinazione sul piano pratico è quella che ha puntualmente attraversato varie riflessioni, e che richiede un intervento convinto e fattivo da parte dei decisori e dei policy-makers, in aggiunta all'impegno (da tutti apprezzato ed elogiato) del governo (e, in particolare, del Ministero dello Sviluppo economico presieduto da Carlo Calenda) sul programma “Industria 4.0”. Di qui, tra i suggerimenti, una richiesta all'esecutivo di estensione degli sgravi fiscali o di forme di premio alle scelte di cambiare e aggiornare i vari software aziendali. In buona sostanza, l'informazione di per se stessa – come nei due motori della rivoluzione digitale (quello globale, gli Usa, e quello europeo sotto il profilo industriale, la Germania) – dovrebbe venire vista alla stregua di un'opportunità reale di business, da cui l'esigenza di radicare un'economia di condivisione che “sfidi” pratiche e consuetudini inveterate (la gelosia-segretezza dell'imprenditore riguardo i propri prodotti e asset) e che, nel mutamento epocale che viviamo, possa (sebbene “per gradi”) venire introiettata.   

In Italia esiste un ritardo sul piano pratico, fondamentalmente per due ordini di ragioni, come messo in rilievo da Nicola Pastorelli e Fiorenzo Castellini: la prima (a chi serve?) concerne il come utilizzare al meglio da parte di aziende medio-piccole i benefici della digital transformation(in un'ottica che vada al di là della pur utile e rilevante diffusione della sensorizzazione). E la seconda (a cosa serve?) rimanda alla questione dei benefici per clienti-utenti e per il sistema-Paese nel suo complesso: e di questo (fondamentale) aspetto, giustappunto, esiste la contezza, ma rimane il problema di una sua efficace ed efficiente declinazione (se, per fare uno dei tanti esempi possibili, le macchine della burocrazia pubblica per prime non riescono a garantire la semplificazione amministrativa, di cui dovrebbero essere esse stesse le destinatarie, riverberando così una serie di esternalità negative sul bisogno e la voglia di fare, e “semplificare”, dell'imprenditoria privata).

La strada è, dunque, ancora lunga, ma l'incontro ha prodotto una discussione estremamente ricca di spunti e ha espresso un format di condivisione di tante idee e di alcune prassi apprezzato da tutti i presenti. Da cui il Tavolo ripartirà per il prossimo appuntamento, avendo ben presente la finalità di convertire spunti e suggestioni in istanze concrete e richieste operative da consegnare ai policy-makers nei prossimi mesi.



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