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Mes alla Cina: l’assenza di una strategia comune rischia di consegnare a Bruxelles un conto molto salato

Il tempo stringe. E l’Europa rischia di perdere l’ultima occasione per proteggere le proprie produzioni manifatturiere di fronte al dragone cinese. A poco più di un mese del riconoscimento a Pechino, da parte del Wto, dello status di economia di mercato, a Bruxelles si è concluso in un sostanziale nulla di fatto il Consiglio europeo dedicato ai temi del commercio internazionale. O meglio, la decisione è stata rinviata di nuovo perché tra i 27 (che formalmente sono 28 visto che Londra non ha ancora attivato l’articolo 50 e quindi siede ancora al tavolo) non hanno trovato un accordo tale da comporre una maggioranza qualificata per dare il via libera alla proposta della Commissione Ue.

Il timore di un ricorso
La situazione è abbastanza complessa visto che il timore di Bruxelles è, dopo aver individuato i nuovi parametri di misurazione del dumping operato da Paesi esportatori (ed è chiaro il riferimento alla Cina), di incorrere in un ricorso cinese di fronte allo stesso Wto. Al momento, la proposta comunitaria in discussione è collegata all’indicazione formulata proprio dall’Organizzazione mondiale del commercio, ovvero l’applicazione della regola del “dazio inferiore” che prevede che l’Ue, dopo aver certificato una condotta sleale da parte di un'impresa, possa imporre alla stessa un dazio a un livello inferiore rispetto al margine di dumping (definito come la differenza fra il prezzo che l'esportatore applica a un prodotto nel mercato di provenienza e il prezzo dello stesso esportatore sul mercato della Ue) qualora questo livello sia giudicato sufficiente per eliminare il pregiudizio.

La controproposta della Commissione
La Commissione, da parte sua, propone di modificare le modalità di calcolo del dumping nelle future inchieste antidumping relative alle importazioni da Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, le cui economie sono distorte per via del costante intervento dello stato. L'idea è utilizzare valori di riferimento o i corrispondenti costi di produzione e vendita, che possono anche essere quelli di un Paese opportunamente rappresentativo con un livello di sviluppo economico analogo a quello del Paese esportatore.

I timori dell’Italia
Da molti Stati membri, in primis l’Italia, questa formulazione è considerata un indebolimento delle difese commerciali dell’Unione, tanto che il ministro Calenda ha al momento espresso la sua contrarietà ad un’ipotesi del genere, proprio indicando nel rischio di ricorsi al Wto la falla principale della proposta. Pur non sbilanciandosi sugli effetti dell’elezione di Trump, nei circuiti europei serpeggia una certa preoccupazione se è vero, come sembra, che il neo eletto presidente Usa al momento del suo primo incontro con il presidente cinese Xi Jinping discuterà innanzitutto delle questioni commerciali cercando un accordo Washington-Pechino; uno scenario che andrà sicuramente a detrimento degli europei.
Vi è poi una critica metodologica alla proposta comunitaria. Secondo l’Italia risulta molto complicato calcolare i prezzi di produzione e di vendita per un’economia come quella cinese per poi metterli a confronto con le economie Ue.

Una corretta percezione del rischio
La dura verità è che l’Unione europea, ed in particolare la Commissione, al di là delle dichiarazioni di principio, deve fare i conti con una nuova economia di mercato, quella cinese, che trarrà grandi vantaggi dal riconoscimento del proprio status e contro cui si possono utilizzare meno strumenti che in passato.
Il problema nel settore manifatturiero, ed in particolare in quello dell’acciaio, è reale: dal 2008 in Europa i posti di lavoro sono diminuiti del 20% e oggi sono 320mila i lavoratori europei che guardano con preoccupazione ai recenti sviluppi e alla mancanza di decisione da parte dell’Europa.

E la Cina non sta a guardare
Ma anche la Cina non sta a guardare e per rendere il clima ancora più infuocato, Pechino fa sentire la sua voce attraverso il ministro del Commercio, Gao Hucheng, che in una nota pubblicata sul sito del Mofcom ha sottolineato: «L’Unione europea ha ignorato lo positiva cooperazione delle industrie cinesi e continua ad usare meccanismi sleali e ingiusti per imporre tariffe più alte sui prodotti cinesi danneggiando gli interessi delle industrie cinesi».
Non solo. In un’intervista rilasciata alle agenzie di stampa cinesi è intervenuta anche la direttrice del Beijing Lange Steel Information Research Center, Wang Guoqing che non ha certo smorzato i toni: «Le industrie dell’acciaio europeo accusano la Cina di aver colpito duramente le loro produzioni attraverso le proprie esportazioni d’acciaio. Ma è sbagliato e sleale che le industrie europee scarichino sulla Cina i loro problemi».
Infine venerdì scorso, proprio al termine della riunione del Consiglio europeo del commercio, è intervenuto il ministero degli Esteri cinese esprimendo la propria contrarietà anche alla proposta del nuovo meccanismo di antidumping in discussione tra i 27.
All’orizzonte si annuncia, oltre alle tensioni diplomatiche, anche una durissima battaglia legale all’interno del Wto. E le cartucce in mano a Bruxelles, oggi priva di una strategia comune, rischiano di essere poco efficaci.

 

 


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