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Ex Ilva: i commissari durissimi con ArcelorMittal

La memoria presentata in relazione alla richiesta di recesso è diventata un deciso atto di accusa

Nella tarda serata di ieri, i legali dei commissari straordinari dell'ex Ilva hanno depositato alla scadenza del termine fissato dal giudice Claudio Marangoni, una memoria di 86 pagine per rispondere a quella presentata lo scorso 16 dicembre da ArcelorMittal, nel procedimento sul ricorso cautelare e d'urgenza dei commissari contro l'atto di recesso dal contratto d'affitto dei rami d'azienda del gruppo ex Ilva. I legali della multinazionale hanno adesso tempo fino a fine mese per il deposito di ulteriori controrepliche.

Nella memoria i legali dei commissari, gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellanie Marco Annoni, di fatto riprendono argomenti e punti già affrontati nel ricorso cautelare contro il recesso dal contratto, rispondendo molto duramente ai rilievi della multinazionale.  

La prima accusa è che ArcelorMittal «non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati, né ha eseguito il programma di manutenzione concordato nell'ambito del Contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio». E «non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità».

Per i legali dei commissari l'azienda «non ha in alcun modo neppure considerato di estendere ad Afo 1 e Afo 4 le misure di sicurezza organizzative che le concedenti hanno già da tempo implementato su Afo 2.  Anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operatività non più di due contemporaneamente. Ciò incide molto negativamente sulla durata, efficienza e sicurezza degli altiforni». Per i commissari, anche l'incidente mortale del 10 luglio 2019 sullo sporgente 4 del porto di Taranto, al di là dell'evento atmosferico scatenante, sarebbe ascrivibile «a gravi carenze organizzative di sicurezza di ArcelorMittal».

Gravissime sarebbero le ripercussioni conseguenti all'abbandono della gestione del gruppo ex Ilva. «Le conseguenze economiche attivate dall'inadempimento di ArcelorMittal, porterebbero ad un impatto economico pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno» scrivono i legali. «Il danno sarebbe incalcolabile e concretamente irreparabile in ragione sia della sua dimensione, e natura, che delle sue caratteristiche, con pregiudizi diffusi a carico dell'intero tessuto socioeconomico delle aree interessate» si legge ancora. Anche perché l'ex Ilva in amministrazione straordinaria «non ha né la struttura, né i mezzi per reagire all'inadempimento di Mittal per mitigarne i danni».

Per i legali dei commissari straordinari la tesi di ArcelorMittal di un'esatta esecuzione del contratto di affitto degli stabilimenti di Taranto «è del tutto mistificatoria» e coprirebbe in realtà la volontà del gruppo «di non adempiere regolarmente al contratto» con «il livello del proprio inadempimento gradualmente accresciuto man mano che la controparte comprendeva la propria inabilità a gestire in modo economicamente efficace i rami d'azienda presi in carico».

Quel che si rileva «è che ArcelorMittal tenta oggi di calpestare bellamente gli impegni presi e gli assetti di interessi concordati». A causa della «riscontrata propria incapacità di sapere efficacemente gestire i rami d'azienda (ed in particolare quello tarantino) nel quadro di un mercato europeo dell'acciaio peggiore di quanto avesse preventivato».

Viene criticata anche l'attuale gestione che avviene «su una base nettamente depressa ed insufficiente rispetto alla capacità produttiva». In più, «la consistenza del magazzino anziché essere orientata all'approvvigionamento è fortemente sbilanciata sul prodotto finito. Con la controparte che si rifiuta ostinatamente di consentire verifiche e sopralluoghi». 

Per dimostrare la tesi secondo la quale il disimpegno ha natura economica e industriale, nella memoria si sottolinea che «nel primo anno di conduzione in affitto dei Rami d'Azienda la controparte - stando al risultato di consuntivo dalla stessa predisposto - ha realizzato un risultato economico ben peggiore di quello ottenuto dalla procedura commissariale».

Ed ora vorrebbe «una vera e propria socializzazione di quei costi di ristrutturazione e di quelle perdite operative che secondo le intese contrattuali all'epoca raggiunte dovrebbero invece - evidentemente - gravare esclusivamente su ArcelorMittal stessa». In altri termini, per i legali dei commissari, ArcelorMittal «ha insomma portato avanti le consuete logiche ex post di un certo tipo di capitalismo d'assalto secondo le quali se a valle dell'affare concordato si guadagna, allora guadagno io, mentre, se invece si perde, allora perdiamo insieme».

In questo quadro, «non è inutile ricordare - proprio per evidenziare la siderale distanza tra l'approccio odierno di controparte e gli accordi stipulati inter partes - che ArcelorMittal cerca oggi di imporre surrettiziamente una riduzione del personale di circa 5.000 unità (e quindi di dimezzare l'occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700 dipendenti)».


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