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Sono le bramme le più colpite dall’onda d’urto del conflitto

Toccati prezzi senza precedenti. Ferrari (siderweb): «Sostituire le forniture ucraine non sarà facile»

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A causa dell’onda d’urto dello scoppio della guerra in Ucraina l’Italia nel 2022 perderà il 2,2% di Pil, secondo il Centro Studi Confindustria, fermandosi a +1,9% e la crescita degli investimenti fissi lordi scenderà dal 4,5% di quest’anno al 3,2% del 2023.

E la siderurgia? «Il costo di produzione di una tonnellata di acciaio con altoforno è aumentato del 14,4% rispetto a prima della guerra, quello di una tonnellata di acciaio con forno elettrico è cresciuto del 21,2%». A dirlo è un modello elaborato dall’Ufficio Studi siderweb e la causa di questi aumenti è la crescita dei prezzi delle materie prime (minerale di ferro a +14,7% rispetto al 24 febbraio, carbone a +17,9%, rottame a + 16,2%; energia elettrica a +59,2% e gas a +56%).

E di quello che, in dettaglio, è successo al comparto nazionale dei prodotti piani si è parlato nel webinar di siderweb “Russia-Ucraina: l’impatto sul mercato dei piani”, che si è tenuto questa mattina.

Se per i prodotti piani in acciaio al carbonio e legati «si potrà abbastanza facilmente coprire quel 6% di mercato italiano lasciato scoperto dalle forniture mancanti da Russia e Ucraina, in tutto circa 650mila tonnellate, non sarà per nulla semplice trovare nuovi canali per le bramme» ha spiegato il responsabile dell’Ufficio Studi siderweb, Stefano Ferrari.

L’Italia importa dalla Russia 443mila tonnellate di bramme, il 17% del totale (2,5 milioni di tonnellate); per la Russia, l’Italia rappresenta il 5,5% del suo export di questo prodotto. Dall’Ucraina l’Italia importa 1,9 milioni di tonnellate di bramme, il 75% del totale, che rappresentano il 63% del suo export di questo semilavorato. «Circa l’80% delle bramme importate dall’Ucraina – ha spiegato Ferrari – è destinato al 62,5% alla produzione di lamiere da treno e per il 37,5% alla produzione di coils da parte di due laminatoi presenti in Italia del gruppo siderurgico ucraino Metinvest. Il restante 20%, insieme alle importazioni dalla Russia e da altri Paesi, in tutto circa 980mila tonnellate, è destinato ad altre imprese italiane produttrici di piani».

La possibilità di sostituire questi volumi con l’import da altri Paesi teoricamente esiste, ma i problemi sono di non facile risoluzione: i tempi e i costi delle consegne, la qualità dei prodotti, il loro formato. «Ci si potrebbe rivolgere agli altri grandi esportatori, come Brasile e Giappone. Ci sono due grandi svantaggi: la distanza geografica – ha spiegato Ferrari – e rapporti commerciali non consolidati, pressoché a zero». La soluzione più semplice sarebbe guardare al blocco europeo di produttori (Germania, Polonia, Francia) «dove gli acquisti italiani oggi sono molto bassi. Ovviamente non si può pensare di sostituire tutti i volumi mancanti, ma si possono costruire rapporti commerciali» secondo Ferrari.   

Una situazione di shortage improvviso che ha portato i prezzi delle lamiere da treno a subire un vero shock. «Oggi il prezzo la tonnellata è di 1.900 euro, in circa 5 settimane è salito di 850 euro. E il trend sembra ancora in crescita: nell’ultima settimana l’aumento è stato di circa 100 euro» ha illustrato Ferrari. Dal 2011 al 2020, la media era stata di 571 euro la tonnellata. Il picco più alto lo si era toccato a maggio-giugno 2021, con circa 1.050 euro/t.

Aumenti fuori scala anche per i coils sul mercato nazionale. «I coils a caldo, oggi intorno a 1.350 euro la tonnellata, sono intorno al triplo della media storica 2009-2020 (466 euro/t) e 200 euro sopra il massimo storico precedente dell’estate 2021» ha ricordato Ferrari. Inoltre, è aumentata la forbice tra il prezzo dei coils a caldo e i coils a freddo sempre rispetto alla media storica.

Per quel che riguarda i mercati internazionali, infine, per i piani «l’Europa è al momento il più caro a livello mondiale», con i suoi 1.435 dollari/t per i coils a caldo in Nord Europa, contro i 1.407 degli USA e i 906 dollari/t della Cina.


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