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La dimensione finanziaria per la sostenibilità futura

Teodori (Università di Brescia): «Necessario ricorrere agli stress test per le aziende della filiera»

In questi giorni, alla luce della drammatica situazione che stiamo vivendo, si sentono sempre più frasi come “nulla sarà più come prima” o “siamo in guerra”. Certamente l’ansia e la paura portano a condizioni di pessimismo ma dobbiamo pensare, in tempi brevi, a come ripartire e, soprattutto, a comprendere quali saranno gli effetti di questa crisi mondiale sui conti delle singole imprese e sulla loro sostenibilità. Il tema è molto complesso ma va affrontato in tempi rapidi all’interno di ogni impresa, anche se la situazione è totalmente nuova, almeno su scala così grande. Non sappiamo se sarà come prima ma dobbiamo in qualche modo cercare di stimarne gli effetti; non sappiamo se è una guerra perché il nemico è invisibile, non distrugge le cose ma uccide le persone e stravolge le relazioni.

Dobbiamo allora verificare la resistenza delle nostre imprese attraverso il ricorso agli stress test, finalizzati a verificare la sostenibilità a fronte di situazioni di crisi, determinando i punti di non ritorno. Gli stress test seguono, necessariamente, l’analisi strategica che porta alla definizione degli scenari (oggi difficili da definire vista la grande aleatorietà) e fanno riferimento a tre dimensioni rilevanti:

  1. reddituale;
  2. patrimoniale;
  3. finanziaria. 

L’output atteso è la costruzione di un “budget finanziario” fondato su più scenari, anche molto diversi. L’articolazione temporale dovrebbe essere la più ridotta possibile, non superiore al trimestre, preferibilmente inferiore. Nel contesto italiano, le imprese hanno sempre dedicato minore rilevanza alla dimensione finanziaria e agli strumenti per la sua gestione: è giunto il momento di recuperare il terreno perso negli anni passati. Bisogna agire subito!

Riprendendo brevemente le tre dimensioni citate, l’impatto reddituale va determinato prendendo avvio dalla riduzione attesa dei ricavi complessivi, se possibile articolati su differenti famiglie di prodotti o aree geografiche o altro elemento rilevante. A fianco dei ricavi, è necessario stimare l’impatto sui costi, con particolare riguardo:

  1. ai costi variabili, sostanzialmente le materie prime e le lavorazioni;
  2. ai servizi;
  3. alle possibilità di intervento sui costi fissi (leva operativa), con prevalente riferimento al costo del lavoro e agli ammortamenti (anche se non hanno riflessi finanziari).

In questo modo si ottengono dei conti economici previsionali, fino al reddito operativo, necessari per conoscere i risultati economici parziali (Ebitda, Ebit) e per valutare i covenant fondati sull’Ebitda. Questo è molto importante, perché la riduzione della redditività può influire sulla sostenibilità del debito e sul suo mantenimento. Infine, questa dimensione fornisce molte delle informazioni necessarie per la valutazione dell’impatto finanziario.

La seconda dimensione è quella patrimoniale, necessaria per valutare se l’emergere di eventuali perdite è compatibile con la grandezza dei mezzi propri. Si tratta di un aspetto molto importante, considerato che il nuovo codice della crisi pone come primo elemento di allerta proprio il patrimonio netto negativo.

La terza dimensione, quella più critica, è la finanziaria. È articolata in tre parti, strettamente collegate:

  1. l’attività operativa corrente;
  2. l’attività di investimento;
  3. l’attività di finanziamento.

L’attività operativa corrente è finalizzata a determinare gli effetti sul capitale circolante, sia per valutarne le variazioni, sia per verificare la liquidità prodotta o assorbita. In particolare:

  1. il punto di partenza sono i conti economici previsionali di cui sopra;
  2. i crediti verso clienti vanno definiti considerando i tempi medi di incasso e le potenziali situazioni di difficoltà (maggiori dilazioni) o default dei clienti;
  3. per i debiti verso fornitori valgono osservazioni analoghe, partendo dalle nuove politiche di approvvigionamento;
  4. per il magazzino va esaminata la sua gestione e le eventuali politiche ad esso connesse. Si tratta, comunque, di un aspetto che a livello monetario non influisce.

L’attività di investimento rappresenta un elemento di forte criticità, perché da una parte vi è la tendenza al rinvio, dall’altra la necessità di essere pronti nei prossimi mesi quando si ripartirà. L’ analisi riguarda la determinazione della grandezza e dei tempi degli investimenti già oggetto di programmazione: si tratta di valutare la loro rilevanza strategica e recuperabilità alla luce dei nuovi scenari oppure di definirne dei nuovi, alternativi o aggiuntivi, tra cui anche la possibile acquisizione di imprese in difficoltà. L’output finale è la determinazione dei tempi e dell’impatto finanziario indotto, articolato in:

  1. uscite connesse a investimenti già decisi (ordini effettuati);
  2. uscite connesse a investimenti emergenti dalla nuova analisi;
  3. entrate connesse a eventuali disinvestimenti.

L’ultima parte riguarda l’attività di finanziamento, cioè il servizio del debito. Inizialmente si fa riferimento ai debiti finanziari esistenti, differenziando quelli a breve da quelli a lungo. In particolare:

  1. sui debiti a breve verso le banche vanno esaminate eventuali condizioni vincolanti o tempi di rimborso contrattualmente previsti;
  2. sui debiti a medio-lungo si considerano i piani di ammortamento e il valore dei covenant che potrebbero anche non essere rispettati.

L’analisi dei debiti in essere permette una prima determinazione degli oneri finanziari, che deve essere integrata dopo la valutazione complessiva degli effetti finanziari.

L’analisi congiunta delle tre parti porta alla determinazione, per ciascuno degli scenari previsti, dell’impatto finanziario totale, cioè delle risorse finanziarie necessarie a supportare la situazione di crisi e dei tempi di reperimento. Questo, oltre a richieste verso il sistema bancario se i fabbisogni sono superiori agli affidamenti disponibili non utilizzati, porta alla valutazione della necessità di eventuali rinegoziazioni dell’esistente, anche tenendo conto che i tassi di interesse potrebbero aumentare a fronte di una maggiore rischiosità diffusa.

 

Claudio Teodori

 


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